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Insubria terra d’Europa 2012 – convegni

Creato il 23 maggio 2012 da Cuoreinsubre @cuoreinsubre

Insubria terra d’Europa 2012 – convegni:

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festival di cultura, economia, musica e ambiente


Tra Lombardia, Piemonte e Svizzera&lInsubria senza confine !

Organizzazione

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CONVEGNI

Giovedì 24 maggio ore 20:45
Varese, Sala Montanari (ex Cinema Rivoli)
convegno
“Et in Helvetia ego”: Giuseppe Prezzolini, percorsi d’esilio

Giuseppe Prezzolini (1882 – 1982) ha narrato se stesso in un “Diario”, consegnato controvoglia alle stampe grazie alla lungimirante insistenza di Alfredo Cattabiani, che tutti dovrebbero leggere. Non si tratta, come si sarebbe indotti a pensare, dello sfogatolo privato di un narcisista civettuolo tipo quello di Thomas Mann che, con ossessiva e maniacale precisione, annotava perfino le proprie abitudini autoerotiche , quasi che la cosa fosse di capitale importanza per la posterità. Anzi, chi con morboso spirito inquisitorio cercasse nelle pagine dello zibaldone prezzoliniano pruriginose storie di lenzuola cincischiate e di stravaganze sessuali resterebbe deluso e dimostrerebbe di non conoscere l’indole più autentica del maledetto toscano che era poi quella di un uomo riservato e retto, un tipo tutto d’un pezzo, come si sarebbe detto una volta. “Piego men che posso l’arco della schiena” è la frase che apre il “Diario” e a questa massima egli si attenne sempre: la sua spina dorsale non s’inarcò mai al cospetto di nessuno, nemmeno del Padreterno. Nato all’insegna dell’indipendenza, anarchico ma conservatore, fece della libertà la propria religione e della sua vita un romanzo dove nulla è inventato. Neppure l’età riuscì a mitigare la ruvidezza del carattere ed il gusto per la spezzatura che furono il tratto inconfondibile del suo stile. Prezzolini era l’uomo meno gregario e meno incline alla retorica che si potesse immaginare, non amava nuotare in branco come i tonni e la rotta se la sceglieva da sé, ubbidendo solo al proprio dettato interiore: anche a costo di andare incontro a scogli, marosi o pescecani, mai si sarebbe messo a rimorchio di qualcuno o di qualcosa. “Rispondo solo di me stesso, e anche con qualche difficoltà”, amava ripetere. Il piglio del bastian contrario si traduceva, nei suoi scritti, in uno stile scarno, essenziale, che agli arabeschi cabalistici di parole prediligeva sempre l’aforisma, come il sua amato Lichtenberg, che per certi versi gli somigliava e del quale era stato il primo a tradurre in italiano alcune massime. La sua scrittura mirava al nocciolo delle questioni, tralasciando i bizantinismi fumosi per cogliere le verità primarie, infondeva coraggio, ma toglieva ogni illusione. Parlava per esperienza diretta Prezzolini perché, nel corso di un’esistenza lunghissima, aveva avuto modo di conoscere tutta la fauna politica e letteraria del Novecento. Era, insomma, un testimone scomodo, il cui giudizio tranchant metteva a nudo le miserie e le meschinità delle consorterie culturali di ogni orientamento, specie nostrane, che lo ripagarono condannandolo all’ostracismo. Alla vergogna del conformismo preferì, fedele a se stesso, la via dell’esilio.
La sua indole irrequieta e la miope grettezza di chi lo aveva osteggiato perché indocile e non classificabile, lo portarono a cercare riparo in un primo tempo negli Stati Uniti. Chiamato dal rettore Nicholas Murray Butler a tenere un corso estivo di Letteratura italiana presso la Columbia University, Prezzolini sbarcò una prima volta ad Ellis Island nel 1923. Fin dal suo primo soggiorno al di là dell’Atlantico lo scrittore toscano percepì istintivamente l’America come un porto sicuro in cui riporre i resti di una vita raminga e, bruciate le navi alle proprie spalle, come Cortés, in America mise radici e si risolse a rimanervi per quarant’anni, prendendo perfino la cittadinanza nel 1940. Rientrato in Europa nel 1962, dopo un breve soggiorno in quel di Vietri, perseguitato dagli agenti del fisco, riparò in Svizzera, quella Nazione dove, secondo Hemingway, “tutte le storie finiscono e nessuna è mai cominciata”. A Lugano, suo ultimo rifugio, prese dimora in un appartamento di via Motta al civico 36, nel cuore della città vecchia e, nel contesto di una ritrovata serenità familiare accanto alla seconda moglie americana Jackie, iniziò a collaborare stabilmente con la “Gazzetta Ticinese” per la quale scrisse alcuni articoli profondamente critici nei confronti dell’allora nascente Unione Europea. Rivendicava a se stesso la patente di autentico intellettuale europeo e cosmopolita, lui che, naturalizzato americano, aveva vissuto a lungo in Francia e parlava correntemente inglese, francese e tedesco. Proprio questo suo europeismo culturale lo induceva ad essere scettico verso il modello dello Stato continentale che andava delineandosi all’orizzonte, convinto che la più grande ricchezza dell’Europa risiedesse nella pluralità. Tra New York e Lugano si compie, nell’arco di un secolo, la parabola umana e letteraria di uno scrittore atipico, che più e meglio di altri si era prodigato nell’immane sforzo di internazionalizzare la cultura italiana, mosso dall’illusione che fosse possibile stimolare una mutazione antropologica del proprio popolo attraverso il pensiero, facendo leva sul carattere più che sulle istituzioni. L’ingratitudine con la quale fu ricompensato lo convinse che l’impresa era vana. Poco prima di morire fece dono del suo immenso archivio alla Biblioteca Cantonale di Lugano, dove tutt’ora si trova, estremo, meritatissimo schiaffo a quell’Italia matrigna e meschina che lo aveva ripudiato.

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Venerdì 25 maggio ore 20:45
Varese, Via Sacco, Salone Estense
convegno
 I Passi alpini. Strade di genti e culture tra Insubria e Europa

Un’antica leggenda tramandata dalle popolazioni Walser che vivono a ridosso del Monte Rosa narra che in un’epoca remota, là dove oggi brilla il ghiacciaio del Lyskamm, c’era una meravigliosa città di nome Felik che era allora un’importante via di comunicazione tra i due versanti della montagna. Una sera d’autunno un viandante lacero ed infreddolito, che vi aveva chiesto ospitalità, fu rifiutato dagli abitanti di Felik. Questi, che altri non era se non un demone delle rocce, attirò allora una maledizione sull’opulenta ma egoista cittadina, sì che da quel momento la neve cominciò a cadere per giorni e giorni, finché la città scomparve con i suoi abitanti, formando quello che ancora oggi si chiama ghiacciaio di Felik. La tradizione aggiunge che alcuni pastori, dotati forse di una vista meravigliosa, riuscirono a vedere, durante un’estate di terribile siccità, un campanile della mitica città emergere da una fessura di ghiaccio. Si racconta anzi che uno di loro, precipitato in un profondo crepaccio, fosse riuscito a visitare la città e ad uscirne miracolosamente indenne. La fiaba, che riecheggia il mito ancestrale dell’Età dell’Oro, ebbe lunga vita nella valle del Lys, se è vero che proprio l’impulso alla ricerca della Valle Perduta indusse nel 1778, in piena epoca dei Lumi, sette cacciatori di camosci di Gressoney su per il versante meridionale del Rosa, nella convinzione che al di là delle creste più alte esistesse una sorta di Paradiso Terrestre popolato di animali e cosparso di rigogliosi frutteti, antica patria dei loro antenati. Giuliano l’Apostata ammoniva che nell’accostarsi ai miti non bisogna fermarsi alla nuda parola, ma ricercare la verità che vi è riposta, poiché essa custodisce una scintilla di rivelazione. La montagna ci si rivela allora per simboli ed enigmi, le alte vette lucenti, con le loro forme nitide e scolpite, determinano i contorni di quel mondo iperuranio al quale desideriamo solo ritornare. La montagna è anche potenza di visione e d’illuminazione: lotta contro i fantasmi interiori, vittoria sulla solitudine, sul silenzio, sul vuoto, capacità di risveglio del divino che è nell’umano, forza di trascendenza che ci permette di ascendere vittoriosi alla vetta dell’Io. Accostarsi alla montagna, assaltarne la cima, diventa quindi palestra fisica di rudimento interiore, con le inevitabili vittime ed i rari vincitori, non ci si può accostare ad essa impreparati, necessitando di un lungo tirocinio: la montagna infatti non ama i compromessi e non perdona ai vili e agli inetti…solo così l’ascesa diventa ascesi.

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  Sabato 26 maggio

Varese, Via Sacco, Salone Estense
convegno

ore 10:00
Le Alpi che uniscono. 
Relazioni tra altopiano elvetico, Ticino e Cisalpina nell’età del ferro celtica

Celti d’Italia e d’Oltralpe VIII – III secolo a.C.

Passi, percorsi e insediamenti: attraverso le Alpi Centrali nell’età dei Metalli

Il sito di Tremona Castello

Oltre Helicone e Eluveitie: 
esempi di materiali e influenze culturali elvetiche e vallesane nel territorio insubre e cisalpino
IV-II secolo a.C.

Le Alpi furono, nei secoli prima di Cristo, un luogo oscuro, selvaggio, aspro e inabitabile? Infames frigoribus Alpes, così venivano definite dall’autore latino Tito Livio riflettendo un concetto che avrà molta fortuna nella concezione degli antichi Romani. L’archeologia ce ne restituisce però un immagine del tutto differente e questo convegno ne darà evidenza. In particolare, le Alpi Centrali furono al centro del commercio di beni ed oggetti, di scambio di idee, lingue e culture e del trasferimento di persone e gruppi tribali, in un ricco e articolato contesto generale.
L’appuntamento con l’archeologia si focalizza sui rapporti esistenti tra l’area insubre (a cui appartiene il territorio del Canton Ticino e della Val Mesolcina) e l’altopiano elvetico nel periodo di tempo in cui si assiste in Europa alla fioritura delle culture celtiche, a nord e a sud delle Alpi (Hallstatt Occidentale, La Tène, Golasecca) e noto come età del Ferro.

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ore 15:00
La frontiera contesa. Tra Svizzera e Lombardia popoli e patrie fluttuanti.

1167-1291, Le due Leghe Lombarde e il patto del Grütli. Un’analisi comparata.

1512-1515, da Novara a Marignano: i tre anni in cui Milano è stata svizzera

Dalla Lombardia alla Svizzera. Storie di esuli e rifugiati politici.

Il convegno toccherà alcuni particolari momenti della storia svizzera e insubre. Sarà per prima cosa fatta un’analisi comparata tra il patto del Grütli del 1291, atto di fondazione della confederazione elvetica, e le due Leghe lombarde del XII e XIII secolo, che pur potendo contare su una potenza militare ed economica ben superiore non sono riuscite, al contrario di quanto avvenuto in Svizzera, ad evolversi in una più stabile e duratura unione politica.

Saranno inoltre analizzati gli anni in cui, all’inizio del XVI secolo, il dominio svizzero si estendeva fino a Milano e a gran parte al suo Ducato, fino alla sconfitta delle truppe elvetiche nella battaglia di Marignano che segnerà la fine di questa breve esperienza.

Saranno infine narrate le storie di alcuni grandi personaggi della storia lombarda che, per scelta o per necessità, hanno fatto della Svizzera la loro seconda patria, trovandovi spesso la possibilità di realizzare i progetti che non avevano potuto portare avanti nella loro Terra di origine.

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Domenica 27 maggio
Varese, Via Sacco, Salone Estense
convegno

ore 15:00

Svizzera e Insubria: modelli istituzionali ed economici a confronto. 

Insubria… Cantone Svizzero?

La recente provocazione circa un’eventuale annessione della Lombardia alla Svizzera, lanciata dal ministro della difesa della Confederazione Elvetica, Ueli Maure, ha riportato in auge la vexata quaestio dei rapporti tra la Confederazione Elvetica ed i territori italiani di confine.
Da tempo deputati e leader politici svizzeri hanno rilanciato la provocatoria idea dell’allargamento a sud della Confederazione Elvetica con l’annessione di alcune province dell’Insubria storica quali Varese, Como e Sondrio, Verbania (e per qualcuno anche Bergamo).
La boutade, forte del sostegno mediatico di alcuni amministratori locali operanti al di qua del confine, è stata presa in considerazione perfino da alcuni Consiglieri Comunali di Lugano che hanno chiesto di verificare una tale ipotesi tramite uno studio ad hoc che chiarisca le conseguenze fiscali ed economiche dell’aggregazione.
La provocazione è pertanto quanto mai allettante, e soprattutto attuale.
Cosa sarebbe la Svizzera italofona con l’allargamento a sud delle province di confine, da Verbania a Varese e da Como a Sondrio?
La potenza economica delle province lombarde unita alla straordinaria piazza finanziaria luganese potrebbero dare vita ad una regione oltremodo ricca e vitale.
Un sogno? Forse.
Ma la Storia si muove e di questi tempi, grazie anche alla perdita di credibilità politica della Comunità Europea, nulla può essere escluso.
Negli interventi ci limiteremo a giocare con i numeri e con le ipotesi
Chissà mai che la grande Insubria elvetica, da sogno statistico, non diventi una realtà.
Il futuro, in ogni caso, è come sempre nelle mani dei Popoli.

insubria terra d'europa 2012

Insubria terra d'Europa 2012; Terra Insubre; Giuseppe Prezzolini; Alberto Longatti; Romano Bracalini; Paolo Mathlouthi

fonte: http://www.insubriaterradeuropa.net

tags: Insubria terra d’Europa 2012; Terra Insubre; Andrea Mascetti; Varese

http://www.insubriaterradeuropa.net/2012/img/testata.jpg May 23, 2012 at 05:01AM



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