James Hilman, Saggio su Pan, (1972).Adelphi, Milano 1977, traduzione di Aldo Giuliani.
Era tanto che non mi masturbavo così volentieri come dopo aver letto questo brano. Era dai tempi in cui me l'ordinò il dottore, l'urologo, tempi in cui soffersi di una fastidiosa prostatite che mi provocò finanche emospermia. Dio, come rimasi impressionato vedere sangue proprio lì. Ma il dottore disse di non preoccuparmi, anzi, di dargliene secche, di aumentare i coiti o provvedere all'uopo nel caso in cui. Optai per la seconda soluzione per ragioni che ora sarebbe inopportuno rammentare qui. E iniziò un bel rapporto tra me e me, pressoché quotidiano. Portavo e porto volentieri il mio corpo alla mente. Vero, capitano anche giorni in cui non mi sopporto e allora cambio partner. Busso a delle porte che a volte si aprono a volte no. Generalmente, quando si aprono, nella soddisfacente celebrazione di un amplesso, succede un po' come quando si tradisce qualcuno sentendosi in colpa: non si vede l'ora di poter tornare, nel silenzio che autoassolve, tra le braccia del partner tradito – e così accade per me sovente, ma non è una cosa triste, no, è gioiosa, un ritrovarsi, un riconciliarsi con la propria parte misterica.E pensare che ci fu un periodo della mia vita, da giovane, che pensavo che fosse peccato masturbarsi. Mi ricordo persino che chiedevo perdono a un'Entità superiore con la barba (!)per aver commesso atti impuri. Atti impuri? Ma veramente non mi sono mai toccato senza prima lavarmi le mani, così come mi piace nettarmi dipoi per non sentirmi appiccicoso.Scherzi a parte, ho la presunzione di ritenerechecolui che si sa masturbare, ossia chi prova piacere bastante nel fare l'amore con sé, difficilmente soffre di squilibri mentali, ha manie di sopraffazione, di violenza, di sopruso sessuale. Ma ripeto: la mia è una ipotesi dettata dalla sicumera che tutti godano masturbandosi quanto me. Certo, a volte, in alcuni momenti e situazioni, le proprie mani non riescono a donare la stessa gioia che si avrebbe con particolari mani altrui vicino. Mani e non solo mani. Genitali, ok, ma soprattutto presenza reale dell'immaginato “soggetto” del desiderio. E mi viene in mente una cosa che allego a latere alla presente.
Da giovane, quando ero innamorato di qualcuno (lascio volutamente l'impersonale maschile per non insistere troppo sulla mia vocazione eterosessuale), tendevo a masturbarmi meno, ma, quando lo facevo, cercavo disperatamente soggetti desiderabili diversi da quello che invece mi riempiva il cuore. Suppongo che questo fosse un residuo della mia educazione cattolica, almeno credo, a cui penso di avere rimediato. Forse perché ritenevo che masturbandomi pensandoci, il soggetto d'amore si deturpasse per causa mia. Che sciocco. Ci voleva, anni dopo, un'amica, di cui fui peraltro innamorato, a svegliarmi, ovvero a farmi considerare la cosa da un'altra prospettiva, in altri termini confessandomi che le piaceva toccarsi pensando a me. Io le dissi la stessa cosa e fu una gioia comunicarselo (e purtroppo non c'erano all'epoca né cellulari né skype). Ce lo scrivevamo (è il caso di dirlo) di pugno: come scorreva bene la stilografica sulle nostre profumate lettere d'amore.
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