- Anno: 2016
- Durata: 150'
- Genere: Drammatico
- Nazionalita: Francia
- Regia: Léa Fehner
Léa Fehner, regista acclamata di Qu’un Seul Tienne Et Les Autres Suivront (Silent Voice) proiettato alla Mostra di Venezia nel 2009, presenta a Rotterdam Les Ogres, opera corale su una compagnia teatrale itinerante portatrice sana di disordine e fantasia. E di Cechov. Eccentrici, chiassosi, mattatori per vocazione, eccessivi e orgogliosi, questi divoratori di vita vivono in tribù, condividono senza privacy di sorta i loro amori, dissapori, tradimenti. L’arrivo di un bambino e il ritorno dell’amante del “capo tribù” scuotono l’equilibrio – se così si può chiamare – dei teatranti ambulanti e riaprono vecchie ferite, imprimendo un nuovo corso alle sorti di questa grande famiglia di sangue e di adozione. Diretti, sardonici e tendenti a mettere in scena il dolore oggettivizzandolo, e quindi allontanandolo, sono creature fiere e ferine, mostruosamente vive e violente. Les Ogres (gli orchi), il titolo non poteva meglio cogliere l’essenza degli attori del Davai Theatre, sono animali da palcoscenico che si spostano di città in città con i loro camper, le tende, i costumi di scena, la voglia di vivere e di recitare e di portare negli angoli più remoti della loro terra il teatro, Cechov per tutti. Il palcoscenico e il dietro le quinte sono un tutt’uno per gli orchi, i quali ogni sera non mancano di ubriacarsi, amare e odiare, litigare senza preoccuparsi di essere visti o sentiti.
Léa Fehner mette in scena un’esperienza personale, la sua famiglia negli anni ’90 aveva infatti articolato uno spettacolo teatrale ambulante, e chiama in scena il padre, la madre, la sorella e il figlio. Il rischio di essere assorbita e sopraffatta da ricordi e relazioni intime si trasforma nelle sue mani e occhi in opportunità e, sin dalle prime scene vorticose, colorate e vivide, assaporiamo l’energia di questa grande famiglia di teatranti. Come in tutte le buone famiglie non mancano vecchi rancori e amarezze, come quelli nutriti da Mr. Déloyale (Marc Barbé) per l’egocentrico direttore Francois (Francois Fehner) e raccontati brillantemente e tristemente attraverso il gioco del teatro, o quelli della figlia di Francois per i genitori opprimenti e ingombranti. Il tutto chiaramente mostrato, urlato e forzatamente partecipativo.
Il ritmo del film incalza fino alla fine, quando gli orchi si guardano dentro, affondo, e intorno e confrontano i propri fantasmi senza ricorrere all’uso del teatro come mezzo di distanza e di protezione. La vita del Davai Theatre è un carrozzone in viaggio, alcuni lo abbandonano per strada e altri salgono a bordo afferrandolo in corsa. Ciò che conta è vivere, recitare, sentire.
Francesca Vantaggiato