“Internet, così diversa dalla stampa alla quale spesso si paragona senza la dovuta cautela,/ ne condivide pur tuttavia la peculiarità di conferire agli individui che ne fanno uso/ un potere di controllo e di dominio sul linguaggio.” - Dopo la democrazia? Derrick de Kerckhove
Le parole di Derrick de Kerckhove sono importanti, poiché introducono e, al tempo stesso, chiariscono la vera natura di Internet che, per il sociologo belga naturalizzato canadese, è un luogo in cui all’utente viene dato il controllo della parola sullo schermo. Internet, infatti, si distingue per tre fondamentali caratteristiche: connettività, ipertestualità e interattività, cosicché in esso esiste una vera e propria tensione verso una memoria globale, sebbene l’accesso sia individuale. In realtà il sociologo ha ereditato l’insegnamento da parte del maestro Marshall McLuhan, il quale a proposito dei mass media, asserisce che: «nel villaggio elettronico il rumore è la realtà».
Partendo, dunque, dal concetto di «villaggio globale» – di natura metaforica e ossimorica –, elaborato da McLuhan nella celebre opera La galassia Gutenberg: nascita dell’uomo tipografico del 1962, i mezzi di comunicazione di massa – o mass media, appunto – hanno permesso di accorciare i tempi e le distanze del mondo, di modo che lo stesso appare come un villaggio all’interno del quale vi è un continuo scambio di tradizioni, stili di vita, lingue ed etnie che sono resi sempre più multiculturali. In tal caso, il ruolo di Derrick de Kerckhove è stato decisivo nel definire il concetto, poiché si è spinto là dove si era fermato lo stesso McLuhan, esplorando il rapporto dei nuovi media che hanno condotto l’uomo ai cambiamenti e all’innovazione.
Tuttavia de Kerckhove oltre a ereditare gli insegnamenti del suo maestro, indirizza il suo pensiero sulla scia degli studi effettuati da Pierre Lévy, il quale sostiene che Internet sia uno spazio «vivo», poiché vive, appunto, di una presenza collettiva, attiva e umana. Infatti, per il filosofo francese che studia l’impatto di Internet sulla società, il mondo virtuale è una trasformazione da un modo di essere all’altro: «Non è una derealizzazione (la trasformazione di una realtà in un insieme di possibili), ma un cambiamento d’identità, uno spostamento del centro di gravità ontologico dell’oggetto in questione: anziché definirsi fondamentalmente attraverso la sua attualità (una “soluzione”), l’entità trova ora la propria consistenza essenziale in un campo problematico. Virtualizzare una qualsiasi entità consiste nello scoprire una problematica generale cui essa si rapporta, nel far evolvere l’entità in direzione di questa domanda e nel ridefinire l’attualità di partenza come risposta a una precisa richiesta».
Certo, il discorso può essere maggiormente approfondito ma in questa sede è necessario comprendere che: «L’uomo non pensa, non scrive e non parla: comunica con i messaggi e lascia l’iniziativa ai mezzi che portano i messaggi», secondo la Scuola di Toronto – il più autorevole centro dove si realizzarono le teorie deterministe utili a studiare e approfondire il rapporto fra i media e la cultura –, o, come direbbe lo stesso McLuhan – che pure è il principale esponente della scuola: «Il medium è il messaggio». Internet, quindi, è un medium potentissimo, poiché è multimediale, in altre parole riassume in sé tutti gli altri media. Pertanto, secondo de Kerckhove, l’uomo attinge le informazioni dall’ambiente che lo circonda e assume un tipo di linguaggi utili affinché possa comunicare con le persone.
Questa premessa è importante, poiché oggi si parla sempre più spesso d’innovazione, che è strettamente legata alle nuove tecnologie digitali dunque non può prescindere da queste ultime. In un mondo che si sta sempre più digitalizzando è importante saper cogliere gli aspetti socioculturali utili per stabilire la propria posizione all’interno della società stessa; tanto più che viviamo in un periodo di transizione tra la cultura di tipo analogica a quella digitale. Per questo motivo nascono progetti e iniziative importanti come l’Internet Festival di Pisa, che è giunto ormai alla sua quarta edizione.
L’Internet Festival (9 – 12 ottobre 2014) è un evento che inaugura la Settimana della Cultura CoolT in Toscana, e lo fa esponendo gli argomenti principali che lo distinguono: tecnologia, web, innovazione e scienza. Per l’occasione sono stati realizzati diversi incontri fra workshop, panel, convegni e altre iniziative che coinvolgeranno anche i più giovani. D’altra parte è uno dei maggiori eventi europei dedicati al mondo digitale, perciò l’impegno da parte della Regione Toscana, e dal Comune di Pisa, dall’Università di Pisa, dall’Istituto di Informatica e Telematica del Cnr, dalla Scuola Superiore Sant’Anna e dalla Scuola Normale Superiore insieme a Camera di Commercio, Provincia di Pisa e Associazione Festival della Scienza è fondamentale per la riuscita dell’evento.
Il tema scelto per l’edizione del 2014 è: le Economie della Rete, articolato in otto sezioni quali, appunto, Take the money, Make it good, Go Green, Design to innovate, Culture is smarter, Cooperation wanted, Break the rules e Play the Game. Ogni sezione ha in sé progetti diversi, esposti dai relatori ognuno dei quali ha scelto un tema per parlare di nuove tecnologie, di digitalizzazione e d’innovazione.
Fra le sezioni più interessanti c’è Break the rules, una serie di panel organizzati presso la Scuola Normale Superiore. Il messaggio di Break the rules è questo: «Il lato oscuro del web ospita la sfida tecnologica degli hacker che da “dominatori” della tecnologia spezzano i vincoli della riconoscibilità e tracciabilità per accedere e svelare limitazioni e controlli della e sulla Rete. L’oscurità si addice al porno che nella rete ha trovato strumento di rapida diffusione e di “sperimentazione” di metodologie e di approcci di richiamo diventati “case history”. I confini oscuri testano la Cybersecurity tra difesa dei dati sensibili, tutela degli elementi di fragilità e uso consapevole del web».
L’ultimo panel inserito nella sezione, dal titolo Pornoculture elettroniche. La carne online, è il frutto di un lavoro che vede insieme un gruppo di studiosi guidati da Claudia Attimonelli – ricercatrice in Teorie del Linguaggio e Scienze dei Segni è responsabile delle attività artistiche e transmediali presso la Mediateca Regionale Pugliese e insegna Cinema, Fotografia e Televisione all’Università Aldo Moro di Bari – e Vincenzo Susca, maître de conférences in Sociologia dell’immaginario all’Università Paul-Valéry di Montpellier e ricercatore al Centre d’étude sur l’actuel et le quotidien dell’Università Paris Descartes Sorbonne (Parigi). McLuhan Fellow all’università di Toronto, nel 2008 ha fondato, con M. V. Dandrieux, la rivista Les Cahiers européens de l’Imaginaire (CNRS éditions, Parigi), di cui è il direttore editoriale.
Long live the new flesh – letteralmente Lunga vita alla nuova carne – oltre ad essere la frase rilevante del noto capolavoro di David Cronenberg, Videodrome (film del 1983), che affronta il tema della mutazione della carne e della fusione fra la tecnologia e l’uomo, è anche la frase adottata per esporre gli argomenti del panel curato da Claudia Attimonelli e Vincenzo Susca, con la collaborazione di Emanuela Ciuffoli, Marco Mancassola, Sergio Messina, Alberto Abruzzese, Jürgen Brüning, Philippe Joron e Gaetano Occhiofi no aka Torto OG.
Si tratta di una frase che esprime il concetto della metamorfosi e del passaggio da uno stato di materia all’altro. Come ha affermato lo stesso Cronenberg: «Io credo che noi pensiamo che la nostra esistenza fisica sia relativamente stabile, ma io non penso che lo sia. Il nostro corpo è come un uragano: muta costantemente, è solo un’illusione che si tratti dello stesso corpo giorno dopo giorno, ma non è mai lo stesso da un momento all’altro. Per questo la questione dell’identità diventa ancora più urgente. Avvertiamo che siamo qualcuno che continua, che ha una storia, che ha un futuro, ma non lo puoi provare. È impossibile».
Videdrome, dunque, è un film in cui il regista usa il mezzo televisivo per esplorare il confine labile che divide le diverse realtà che circondano l’uomo. Il protagonista della storia è Max Renn, il proprietario di una TV via cavo chiamata Civic TV, che trasmette contenuti violenti e pornografici; grazie all’aiuto di un amico riesce a entrare in contatto con Videodrome, una trasmissione satellitare in cui si vedono torture, mutilazioni e stupri. Tuttavia Videodrome, con le sue onde elettromagnetiche, è capace di influenzare il cervello creando delle allucinazioni. Il film è importante per diverse ragioni, poiché pone in evidenza gli effetti dei mass media sulla mente.
In realtà, anche in questo caso è importante la riflessione compiuta da Marshall McLuhan – che ha ispirato il personaggio del film, il professor Brian O’Blivion –, secondo cui il mezzo tecnologico determina i caratteri strutturali della comunicazione e produce degli effetti pervasivi sull’immaginario collettivo.
A questo punto che cosa si può dire degli effetti prodotti dai media sull’uomo, a proposito di film come Videodrome? In primo luogo l’uomo, entrando a contatto con i mezzi di comunicazione di massa, sovrappone e fonde il suo corpo – fatto di sangue e muscoli – al corpo elettronico, che gli permette di rinnovare le sue capacità sensoriali; in seguito, entrando a contatto con il mondo digitale, sperimenta su di sé esperienze nuove e interessanti. D’altra parte l’uso delle nuove tecnologie e di Internet ha generato nuove abitudini, creando un diverso impatto sulla quotidianità.
Ma in che modo avviene la connessione tra la frase di Videodrome e il tema della pornocultura? Videodrome, si è detto, è un programma pirata che trasmette contenuti violenti che tendono al masochismo, pericoloso poiché produce effetti devianti sulla mente. Allo stesso modo, Internet oltre ad offrire luoghi dov’è possibile comunicare con gli altri utenti, contiene luoghi oscuri che tuttavia sono molto frequentati. Spazi, questi, in cui a dominare è la pornografia. Siti come YouPorn svettano ai primi posti e creano nuove zone di sociabilità, gli utenti si dimostrano quindi maggiormente emancipati.
Questo modo di agire ha portato alla nascita, e al conseguente sviluppo, di una cultura diversa – che oggi si lega bene con la cultura pop – definita, appunto, ‘pornocultura’ che, come ha spiegato lo stesso Vincenzo Susca, in un articolo del 2009 pubblicato su L’Espresso si tratta di: «Una sensibilità che attraversa la rete e contamina ogni aspetto della vita sociale. A ben vedere, un filo rosso collega i video di Youporn alle immagini provocanti tramite cui la pubblicità seduce il passante delle strade o lo spettatore della tv, alle curve sinuose del design contemporaneo, così come alle derive sessuali e alle leggende erotiche che pullulano attorno ai leader politici, dal tormentone su Silvio Berlusconi a Nicolas Sarkozy nel suo ménage con Carla Bruni sino ai presunti rapporti tra Hugo Chávez e Naomi Campbell». In questo contesto, spicca il nome di Alberto Abruzzese, direttore dell’Istituto di Comunicazione dell’Università Iulm di Milano, per il quale: «Come il voyeur ottocentesco vagava per le strade della metropoli passando tra prostitute e vetrine, anche il corpo del passante virtuale cede all’appeal delle lucciole digitali. In tal modo Youporn si rivela essere l’inferno di Internet».
La pornografia è, dunque, una rappresentazione, poiché a dominare è l’immagine. I corpi appaiono come un prodotto visivo da consumare, che sfrutta le potenzialità offerte dalla cultura di massa. In tal senso ricorda il fenomeno socioculturale della Pop art che, con esponenti come Andy Warhol, si è manifestata per mezzo della cultura popolare. L’artista, infatti, elevava la merce e la comunicazione pubblicitaria ad arte, lo stesso accade nella pornocultura. Eppure, afferma ancora Vincenzo Susca: «Una volta spalmata negli interstizi spaziali e temporali più ordinari del quotidiano – dal lavoro allo studio, dal loisir alla vita domestica – la pornocultura viene lentamente metabolizzata e si banalizza, smarrendo progressivamente la propria originaria carica trasgressiva».
Se da un lato, quindi, Internet assomiglia a quel «villaggio globale» dov’è possibile scambiarsi informazioni e vivere la multiculturalità, dall’altro nasconde alcune insidie che dapprima sembrano affascinare l’utente – proprio come avviene nel film di Cronenberg –, ma poi lo portano ad avere dipendenza dal mezzo di comunicazione. Il discorso è più ampio e può essere affrontato con saggi come quello scritto da Umberto Eco, Apocalittici e integrati del 1964 in cui lo studioso rileva alcune argomentazioni che sono pro e contro la cultura di massa e i suoi effetti. Certo, come per ogni cosa, tutto si plasma secondo l’uso che si fa del mezzo.
Written by Maila Daniela Tritto
Info