Il “fenomeno” Trump continua a tenere banco in vista delle presidenziali americane. La tattica è quella di attirare l’attenzione, ma dietro ci sono solo idee razziste e retrograde
Di Arianna Pescini
All’annuncio ufficiale della propria candidatura, nel gigantesco grattacielo che porta il suo nome, a New York, Donald Trump si presentò con abito blu, camicia bianca e cravatta rossa: una modesta personificazione della bandiera americana con capelli improbabili e denti bianchi e splendenti. Che altrettanto modestamente dichiarò che gli Stati Uniti hanno bisogno di un grande leader, un vincente: «Sono più serio di quanto non lo sia mai stato prima, perché l’America è nei guai» – così ha convinto la platea, lui che minacciava di candidarsi ad ogni tornata elettorale, più o meno ininterrottamente, dal 1988.
In tempi che dovrebbero essere sobri e di riflessione, a buttare benzina sul fuoco ci pensa lui, l’emblema del “self-made man” americano amante degli show, sempre allegro e dotato di bordate mediatiche (nonché dispensatore di attacchi ai giornalisti) che in confronto alcuni personaggi di casa nostra impallidiscono. Basta dare un’occhiata al sito ufficiale della campagna del miliardario, dove campeggia in prima pagina il motto “Make America great again!”, ovvero “Facciamo tornare grande questo Paese”. (Guarda qui: https://www.donaldjtrump.com/ )
Immigrati vs “nativi” Usa Riprendendo culture politiche razziste e retaggio di idee emerse nei secoli passati, il magnate di hotel e resorts di lusso ha cominciato le sue “sparate” sui social e sui giornali quattro anni fa, innescando una polemica sulla riforma sanitaria e sulla persona di Obama, che secondo una teoria sarebbe nato in Kenya e non avrebbe avuto, quindi, il diritto di essere Presidente. Dall’inizio della corsa alle primarie Trump si è scagliato poi, nell’ordine: contro l’immigrazione proveniente dal Messico: «I messicani che entrano clandestinamente negli Usa sono tutti criminali e stupratori, bisogna costruire un muro sul confine»; contro gli 11 milioni di immigrati irregolari (per i quali Obama ha firmato il permesso per restare a vivere negli Stati Uniti): «Annullerò quegli ordini, vanno cacciati tutti»; e, cavalcando l’onda della paura e degli eventi, contro tutti i musulmani, compresi quelli che sono cittadini americani e si trovano momentaneamente all’estero: «Vietiamo l’ingresso negli Usa ai musulmani, almeno fino a quando chi ci rappresenta non sarà in grado di capire quello che sta succedendo». Una deriva ideologica preoccupante, che alimenta la paura in potenziali nemici interni ed esterni.
Donald il salvatore La lista delle sparate trumpiane è lunga, e comprende anche la chiusura economica nei confronti della Cina: «Nel mondo ridono di noi. I cinesi ci uccidono e si prendono i nostri lavori. Io vincerò contro la Cina, sempre!». Arrivano poi l’invito a chiudere Internet e i social networks, «covo e fucina di estremisti», e la promessa di parlarne personalmente con Bill Gates. Ma Donald il Salvatore ha dichiarato anche che da Presidente avrebbe potuto evitare la tragedia dell’11 settembre: «Adottando una politica sull’immigrazione più restrittiva, il commando di Al Qaeda non sarebbe entrato nel nostro Paese».
Tattica pericolosa Erano anni che non si vedeva un candidato alle primarie così paradossale e allo stesso tempo potente. Si, perché seguendo il cliché del politico-imprenditore che difende la grandezza statunitense, a suon di comizi il boss dell’edilizia sta puntando con successo (lo dicono i sondaggi, anche se una vittoria alle primarie pare molto dubbia) sui punti deboli degli americani, appena usciti dal grosso della crisi economica ma sensibili a temi come la sicurezza e il mantenimento dei valori autoctoni ed occidentali. L’enorme capitale di Trump (si aggira sui 9 miliardi di dollari, grazie alla multinazionale Trump Organization, ereditata in giovane età dal padre) è da mesi al servizio di una campagna elettorale delirante, che sta di fatto spostando all’estrema destra molti sostenitori del partito repubblicano, i cui candidati contendenti sono stati spesso accusati di fare solo retorica dallo stesso miliardario.
Fonte: Diritto di critica