Roma, 30 luglio 2014 – Impedire l’utilizzo dei poligoni militari italiani per l’addestramento delle forze armate israeliane, sospendendo ogni forma di vendita d’armi allo stato di Israele per un congruo numero di anni dalla cessazione di qualsiasi attività bellica, a Gaza o altrove. E’ l’auspicio contenuto in una interrogazione parlamentare (allegata) a prima firma Roberto Cotti e sottoscritta da altri 11 parlamentari cinquestelle, indirizzata al ministro della Difesa e depositata quest’oggi al Senato.
Il “Programma per il secondo semestre 2014″ delle esercitazioni militari, stilato dal ministero della Difesa, prevede infatti l’utilizzo dei poligoni militari della Sardegna da parte delle forze armate dello stato di Israele. In particolare, su quello di Capo Frasca, sempre in Sardegna, si eserciterà l’Iaf (Israel Air Force), ovvero l’aeronautica militare israeliana attualmente impegnata nei combattimenti di Gaza.
Per Cotti, “le oltre 1000 vittime civili prodotte dal conflitto in atto sulla Striscia di Gaza dovrebbero spingere a rivedere da subito tutti i programmi militari che contemplino, seppur indirettamente, il coinvolgimento del nostro Paese nell’addestramento di forze militari straniere belligeranti, tanto più se queste – come nello specifico lo stato di Israele – dal 1948 ad oggi non hanno rispettato 73 risoluzioni dell’ONU, aggravando di fatto i rapporti interni con i palestinesi e le tensioni con i Paesi confinanti, spesso sfociati in conflitti armati”.
Già in passato le forze armate israeliane sono state impegnate in conflitti armati dopo aver aver concluso le proprie esercitazioni in aree militari italiane, come nel caso dei bombardamenti del luglio 2006, effettuati a seguito di esercitazioni aventi proprio come base l’aeroporto militare di Decimomannu in Sardegna.
“L’articolo 11 della Costituzione italiana, così come gli accordi internazionali che vietano la vendita di armi a stati belligeranti – conclude Cotti – avrebbero dovuto vederci già impegnati nell’assunzione di atti che non favoriscano paesi terzi in guerra, come per l’appunto Israele, peccato però che ancora una volta si preferisca fare orecchie da mercante, sottovalutando le conseguenze politiche, diplomatiche e di vite civili sacrificate sull’altare di interessi mercantili poco pacifici e spesso inconfessabili, che denotano l’ipocrisia di un Paese, il nostro, che non trova il coraggio di muovere un concreto passo verso la risoluzione dei conflitti bellici, anche e solo vietando l’utilizzo dei propri poligoni militari e la vendita di sofisticati sistemi d’arma”.