Spoiler alert per chi non ha visto il film, just in case. di Rina Brundu. Svegliarsi il giorno dopo tre ore di cinema real sci-fi con programmazione terminata alle due di notte vuol dire soprattutto vagare per la casa senza meta e con un grande mal di testa. Se poi il film in questione era “Interstellar” di Christopher Nolan (2014), significa anche continuare a conservare la mutezza che il lavoro in questione ti consegna in chiusura e da cui diventa quasi impossibile liberarsi.
Il problema è che questo blockbuster holliwoodiano – che voglio chiamare di real sci-fi dato che per imbastire la parte scientifica della trama hanno scomodato un vero fisico teorico, Kip Thorne del California Institute of Technology – è che si presenta spaccato in due sotto molteplici punti di vista, cioè composto da due anime diverse che mal si conciliano l’una con l’altra.
La prima parte del film è a mio giudizio un flop completo e fosse per me né Nolan stesso nella sua qualità di sceneggiatore, né lo scenografo Nathan Crowley dovrebbero mai più lavorare in produzioni di questa rilevanza. Per giustificare la mia tesi elenco qui di seguito, tra i tanti, alcuni dei perniciosi elementi che rendono finanche la specie aliena Ferengi della formidabile serie sci-fi Star Trek, eticamente più credibile del plot concepito da Nolan e dai suoi.
Comincio subito dunque con il problema dell’eroe stile John Wayne della prima ora, paninaro sprezzante americano, anticatartico per eccellenza, ovvero quel Cooper interpretato da Matthew McConaughey che lo spettatore deve “subire” per quasi tre ore e che definire elemento cinematograficamente osceno della vicenda è ancora ancora fargli un complimento. Di fatto la scelta dell’attore che è l’eroe del film è stato il primo macro-errore fatto da Nolan nel pianificare questo lavoro, un primo errore da cui ne derivano tanti altri, che risolvono poi nella cagione principale per cui per almeno un’ora e mezza diventa quasi impossibile perdersi nella trama e quindi vivere una catarsi degna di questo nome.
C’é poi il problema scenografico in senso lato, quando per scenografia si intende tutto l’apparato tecnico che presenta l’età spazio-temporale raccontata dalla storia. Ebbene, nonostante il film fosse ambientato secoli avanti a noi, le navette spaziali, dotate di monitor stile Apollo, di computer tipo obsoleti macchinari anni ’40 erano totalmente “disallineate” rispetto alla capacità tecnologica futura che ci si sarebbe aspettati, finanche “disallineate” rispetto a quelle che sono le capacità tecniche attuali dato che tutti noi ci confrontiamo ogni giorno con una tecnologia touch-screen che diamo ormai per scontata. Da questo primo errore tecnico sostanziale derivano tutta un’altra serie di errori “tecnici” che vanno ad impattare direttamente sul “plot” rendendolo non-credibile. Tra i tanti cito il momento in cui una volta arrivati nella nuova galassia, non avendo abbastanza “carburante” per visitare due pianeti che potrebbero ospitare la vita e quindi dovendo sceglierne uno, anziché fare affidamento sui dati tecnici che potrebbero chiarire subito per quale pianeta occorrerebbe optare, l’eroe fa la sua scelta basandola su argomenti assolutamente opinabili e non-scientifici.
E mi fermo qui…mi fermo qui perché altrimenti occorrerebbe parlare di naïveté dei personaggi, di manifesta incompetenza sceneggiaturale, di didascalismo fastidioso, di effetti speciali ridicoli, di produzione al risparmio e di un più generale piano di lavoro mal pensato, mal costruito e mal diretto.
Ma allora dove si salva “Interstellar”? Si salva nella seconda parte e si salva sia grazie allo straordinario input dato alla trama dalle moderne teorie quantistiche sia in virtù della filosofia fictional di fondo che lo fa vivere.
Raramente si era visto infatti un film sci-fi dove gli impatti delle leggi einsteniane della relatività vengono mostrati con così grande lucidità. Tra tutti ricordo il momento in cui l’eroe torna a casa ancora giovane e di fatto assisterà alla morte della figlia – che aveva lasciato bambina alla partenza – ormai diventata vecchia signora e fisico di fama.
Nell’universo ricreato si fondono inoltre e molto bene anche le teoria della Nuova Fisica, e in particolare le predizioni della M-Theory rispetto al problema della forza di gravità considerata come una sorta di passaporto privilegiato verso le altre dimensioni. Anche per questi motivi il successivo attraversamento del buco nero che diventa porta di accesso verso la cosiddetta quinta-dimensione non risulta situazione totalmente impensabile per chiunque conosca anche minimamente le dinamiche fondanti la fisica quantistica.
Sul lato emotivo, emozionale, della storia è apprezzabile, apprezzabilissima, la rappresentazione dell’immutabilità della natura umana anche in presenza di catastrofi cosmiche di eccezionale gravità. In virtù di questo la lotta tra i due astronauti sul suolo del freddo pianeta alieno mentre la terra brucia e vive la fine dei suoi giorni, diventa elemento perfettamente credibile, giustificabile; soprattutto diventa climax importante capace di sigillare finalmente la catarsi e di consegnare lo spettatore a quella “mutezza” finale di cui ho già detto.
In conclusione si può senz’altro dire che la parte scientifico-emotiva di Interstellar ha funzionato benissimo ma non è stata adeguatamente supportata dall’apparato tecnico che sarebbe stato necessario mettere in piedi e dall’indispensabile genialità sceneggiaturale che serve per trasformare un qualsiasi film in un capolavoro. Anche per questi motivi a mio avviso non è opportuno accostare il film di Nolan al capolavoro 2001: Odissea nello Spazio di Stanley Kubrick….
Au contraire, Interstellar di Christopher Nolan è soprattutto un’occasione cinematografica mancata…. e la mutezza che impone in chiusura è, forse, proprio data dalla tardiva realizzazione dello spettatore che in fondo è davvero un peccato che sia andata a finire così.
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