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Interstellar, il buco nero di Christopher Nolan

Creato il 22 novembre 2014 da Wsf

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Era una gioia appiccare il fuoco. Era una gioia speciale vedere le cose divorate, vederle annerite, diverse. Con la punta di rame del tubo fra le mani, con quel grosso pitone che sputava il suo cherosene venefico sul mondo, il sangue gli martellava contro le tempie, e le sue mani diventavano le mani di non si sa quale direttore d’orchestra che suonasse tutte le sinfonie fiammeggianti, incendiarie, per far cadere tutti i cenci e le rovine carbonizzate della storia. Col suo elmetto simbolicamente numerato 451 sulla solida testa, con gli occhi tutta una fiamma arancione al pensiero di quanto sarebbe accaduto la prossima volta, l’uomo premette il bottone dell’accensione, e la casa sussultò in una fiammata divorante che prese ad arroventare il cielo vespertino, poi a ingiallirlo e infine ad annerirlo.”

Fahrenheit 451 – Ray Bradbury

In molti sono partiti per lo spazio profondo. Alcuni sono tornati spingendo il progresso verso un nuovo centro creativo. Altri, sono semplicemente scomparsi dietro alla luce di un pianeta morto. Nolan con il suo film rimane in un cosmo limbico fatto di computer grafica, nozioni e buchi, neri come l’inchiostro su cui é scritta la sceneggiatura. Il plot della storia é già stato sezionato e visto più volte. In un imprecisato futuro gli Stati Uniti stanno morendo. Il motivo? Una tempesta di polvere sta ricoprendo lentamente la terra rendendo sterili i campi coltivati. Cooper ex astronauta imprestato alla coltivazione del grano, vive in una tipica cittadina americana, in una di quelle casette lignee a due piani, che mantengono quell’odore di sacra ruralità. Qui insieme al protagonista, vive Murphy (la figlia), Tom ed il nonno. I continui fenomeni paranormali che si susseguono all’interno della camera di Murph porteranno padre e figlia a scoprire la presenza di un campo gravitazionale autonomo; ma sarà solo grazie ad un codice binario recuperato da un drone che la loro ricerca avrà definitivamente una svolta inaspettata.

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Interstellar é un semplice prodotto commerciale, nulla di più. Innegabilmente perfetto sotto il profilo attoriale e registico, ma assolutamente semplicistico nei contenuti.

Il regista pare non aver compreso in fase di sceneggiatura, l’essenza ultima del genere fantascientifico, che non può e non deve solamente essere una messa in scena di navicelle spaziali ipertrofiche, quanto più, quella di ricreare uno spazio concettuale e filosofico all’interno del quale i timori esistenziali possano trovare un motivo di esistenza: perché esisto, da dove vengo, chi sono? Tutto questo non solo non viene assolutamente sfiorato, ma anzi seppellito sotto una mera quantità di formule quantistiche e geometriche.

La geometria del cerchio che si tridimensionalizza e diventa una sfera solida calcolabile secondo un’ unità di misura definita dai punti dello spazio euclideo.

Menzione a parte va rivolta al concetto di tempo, che secondo la fisica quantistica altro non è che una variabile intermedia, non una quantità.

Pertanto, il tempo non esiste.

Il viaggio cosmico dei personaggi diventa dunque un percorso che pone al centro la dialettica filosofica kantiana, anzichè l’equazione matematica che definisce il presente come unica realtà possibile.

Queste poche nozioni spicciole di fisica quantistica non bastano a dare spessore ad una pellicola che gioca tutte le sue carte nella sfera grafica e scenografica, lasciando, nelle quasi tre ore di girato, una forte sensazione d’incompiutezza.

La storia mutua il suo esistere su due grandi opere di genere: Matrix sotto il profilo architettonico concettuale e “Ghiaccio 9” di Kurt Vonnegut.

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Nessun viaggio indietro nel tempo o alla velocità della luce, nessun comandante Kirk o xenomorfo aggressivo, solo la lenta ed inesorabile disgressione all’interno di un buco nero, che tutto risucchia non lasciando più spazio a nessuna metrica.

Interstellar é indubbiamente un film ricco di possibili citazioni, che “spaziano” dal pensiero kantiano del “progresso verso il meglio” a pellicole del passato come Solaris e 2001 Odissea nello spazio rimanendo però lontano da quella fantascienza classica fatta di cosmi interiori e non di buoni sentimenti ed immagini spettacolari.

Un film da vedere dunque, se si cerca la spettacolarità, dimenticando per sempre che Discovery 9 e Hal 9000 sono ancora in viaggio, in quell’universo parallelo, in cui il tempo non esiste.

Christian Humouda


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