Accendere la televisione verso le 7.30 della mattina o le 4 del pomeriggio significa assistere ad un sempre crescente tripudio di pubblicità di giocattoli e merendine. Le prime sono ambientate in stucchevoli atmosfere rosa o azzurre e raccontano di maschietti saputelli e femminucce cinguettanti e truccate. Le merendine trovano invece alloggio in cucine di famiglie felici che, già la mattina presto, sfoggiano pettinature impeccabili, abiti senza una grinza ed enormi sorrisi. E fuori splende sempre il sole. Quanti tipi di merendine e biscotti ci saranno in circolazione? Un centinaio? Di più? Chi sceglie? Come resistere?
Nei primi anni ottanta spopolavano la girella motta, con la sua pubblicità da cartone animato, i buondì, quelli a cui si è ispirato il designer della prima twingo, e la fiesta versione tradizionale. I mulini bianchi avevano appena cominciato ad affacciarsi all’orizzonte. A casa mia le merendine erano una rara concessione, non per mancanza di denaro ma per concezione salutistica. Io ero quella, un pò sfigata, che all’intervallo mangiava una fetta di torta fatta in casa. Ottima, ma quando hai sette anni ti preme l’omologazione con il gruppo, non la differenza. I figli dei vicini di casa invece erano tirati su a merendine preconfezionate e già partecipavano alle raccolte punti. Ricordo l’invidia per la loro tenda di Toro Farcito, conquistata con le centinaia di confezioni della su menzionata girella. O le gommine del mulino bianco, fatte a forma di saccottini e tegolini: cose sacre. Non si usavano per cancellare, si esibivano, subito dopo lo scambio di figurine e qualche partita ad elastico.
E poi, spesso, c’erano le merende del pomeriggio a casa della nonna e lì le cose funzionavano tramite semplicissimi e felici accostamenti di cibi base alla michetta:
- un pezzo di pane e qualche quadretto di cioccolato;
- pane, burro e zucchero;
- pane con l’uva;
- pane con i fichi;
- pane, burro e marmellata
- banana schiacciata con limone e zucchero- senza pane, stavolta, ma con un bicchiere di tamarindo o orzata
e via di questo passo. L’ingente consumo di burro era giustificato anche dall’utilizzo analgesico che se ne faceva. La tradizione popolare locale voleva che fosse un ottimo rimedio da spalmare su lividi e contusioni: era inevitabile che girassimo tutti con la fronte unta e i capelli appiccicosi.
Preistoria. Chissà se qualche golosastro è sopravvissuto all’invasione dei gormiti.