Inizia con Alessandro Vizzino, editore e autore dell’antologia collettiva Crisalide un giro di interviste agli autori che hanno partecipato al progetto. Non mancate dunque di seguirmi nelle prossime settimane per poterli conoscere.
Parafrasando il tuo racconto La vicenda del cantastorie afono: perché continuare a scrivere se spesso è difficile farsi pubblicare e poi leggere?
Il continuare a scrivere del cantastorie afono è in realtà un continuare a vivere. In fondo, in questo mondo, siamo un po’ tutti cantastorie afoni, a prescindere dal lavoro che si fa e dalle proprie passioni: siamo troppi, e tutti troppo presi da noi stessi, piombati in un vortice d’egocentrismo che riflette forse una solitudine generalizzata e non dà scampo all’osservazione dell’altro, alla visione oggettiva delle cose; così un gesto di solidarietà spesso assume le sembianze di un atto d’eroismo, quando si tratta semplicemente di una predisposizione verso l’altro che dovrebbe sempre apparire normale, pulsione naturale. Eppure non è così, in un mondo di cantastorie afoni dove tutti gridano e nessuno sa più ascoltare, magari lontano dalle luci della ribalta.
Parlaci un po’ di Drawup, casa editrice da te fondata e diretta.
Edizioni DrawUp costituisce un progetto editoriale per molti versi innovativo e, oggi come oggi, una realtà che si va consolidando giorno dopo giorno. Quando EDU è nata, si è posta come obiettivo un fattore essenziale: la necessità di dare agli autori sommersi ciò che di norma la piccola-media editoria non dà loro, soprattutto in termini di serietà, servizi, presentazione e promozione, distribuzione, vale a dire il mantenimento di tutti gli impegni contrattuali. Abbiamo cercato sin dal primo istante di proporre ampie fette d’arrosto e di non vendere fumo, e questo ci ha premiato e ci continua a premiare, anche grazie a un gruppo di autori che, prima di qualsiasi altra cosa, è diventato un gruppo di colleghi e amici sinceri.
È stato difficile come editore coordinare un progetto collettivo come questo?
Assolutamente no, grazie a un’organizzazione interna che ritengo pienamente all’altezza e grazie soprattutto al grande lavoro svolto in fase di revisione e montaggio da Ciro Pinto.
Il tuo romanzo SIN ti ha dato molte soddisfazioni, a seguire La culla di Giuda: vuoi illustrare brevemente che genere di narrativa scrivi?
Spero di poter dire un giorno, anche attraverso i lavori che sto scrivendo in questo periodo e ancora non pubblicati, che la mia narrativa non ha genere. A ogni modo, SIN è un thriller distopico dai mille intrecci e con un messaggio di fondo che ritengo molto importante, un romanzo per menti aperte e pance forti. La culla di Giuda, un po’ in contrapposizione col fratello maggiore, è invece un poliziesco-storico dalla lettura immediata, una sorta di esperimento letterario giocato su una forte presenza dialogica e su una costante ironia di base, permeato comunque da suspense, intrigo e ricerca storica; l’ho definito in altre occasioni una specie di base jumping, un’emozione veloce, istantanea, ma molto molto intensa, che resta. Dopo i successi di SIN (cinque premi letterari in meno di un anno dalla prima uscita), anche il fratello minore (Giuda, come lo chiamiamo fra amici) ha ricevuto di recente un primo riconoscimento in un concorso nazionale: davvero una bella soddisfazione, che mi offre un’inattesa conferma personale a livello complessivo, ovvero la speranza che i miei lavori valgano in senso globale, al di là di un’ispirazione fugace o di un colpo di fortuna del momento.
Com’è nata l’esperienza di Crisalide?
Da un’idea iniziale di Stefano Calicchio sul gruppo Facebook BSC di Emanuele Properzi, a seguito di una mia
Antologia di racconti
analisi estemporanea. Da lì, attraverso l’unione di ulteriori tesi e approfondimenti, grazie anche all’acume di Ciro Pinto, è scaturito l’impianto progettuale che ha dato poi luogo all’antologia: la crisi globale, non soltanto economica, osservata mediante l’orizzonte visivo di gente che scrive.
La ripeteresti?
Artisticamente è stata un’esperienza piacevolissima e formativa, che ripeterei certamente. Dal punto di vista editoriale, invece, non bisserei l’esperimento, che ha prodotto risultati senza dubbio inferiori rispetto alle prospettive originarie.
Come sei arrivato alla scrittura e cosa rappresenta nella tua vita?
Ci sono arrivato dapprima senza nemmeno accorgermene, come strumento di sfogo e di spazio personale, per renderla poi, in un secondo momento, un’esperienza professionale, almeno nell’intento e nell’approccio. Oggi la scrittura rappresenta per me, prima ancora che il mio lavoro, l’essenza stessa dell’esistenza.
Cosa pensi dell’editoria italiana?
Benché io faccia di fatto parte del settore, cerco di combatterne, nel mio piccolo e dall’interno, carenze e distorsioni, senza nutrire una grande considerazione per un ambiente che risente della povertà in cui tutta la cultura italiana è paradossalmente relegata. Il discorso sarebbe amplissimo, mi limito qui a dire che la cultura mal si sposa con obiettivi commerciali, almeno nella gran parte dei casi, e che viviamo purtroppo in una nazione che, sebbene potrebbe ricevere dalla cultura un sostentamento immenso e inesauribile, la rinchiude costantemente in un piccolo angolo, buio e polveroso.
È difficile essere scrittori nella nostra epoca e nel nostro paese?
Dipende cosa intendiamo per scrittore, quale peso consegniamo a questa definizione. Se scrittore è semplicemente colui che scrive, un’etichetta che chiunque può affibbiarsi, soltanto volendolo, allora è facilissimo: ci sono portali di self-publishing ed editori pronti a qualsiasi compromesso che consentono a chiunque, anche in poche ore, di essere pubblicato, magari pure diffuso. Se invece il termine scrittore individua come un tempo un professionista, chi vive di sola penna, sancito tale da lettori, riconoscimenti ufficiali, diffusione e vendite, allora sì, è estremamente difficile farsi conoscere ed emergere dalla poltiglia circostante e dilagante.
Immagina di vivere in un luogo ameno e isolato dal mondo dove puoi portare solo quattro libri (non tuoi): cosa scegli?
1) Il conte di Montecristo
2) Il romanzo che ancora devo scrivere
3) Un libro di Geronimo Stilton, affinché mio figlio sia lì con me a leggerlo
4) Varie ed eventuali
Sei pronto, come scrittore, per un’editoria unicamente digitale?
Non credo. Cavalco in prima linea la tecnologia, che per me è strumento di lavoro. Non posso permettermi di non essere continuamente aggiornato, ma l’eccesso mi spaventa sempre molto. Sia da scrittore che da editore non vorrei mai lasciare alla mera memoria l’immagine di un bel libro di carta, con i suoi odori, i suoi spigoli, talvolta persino rumori.