Intervista a Bonifacio Angius, regista di “Sagràscia”

Creato il 11 novembre 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Dopo il felice esordio con Falene, Distribuzione Indipendente porta in 40 sale sul territorio italiano Sagràscia, ambiziosa e interessante opera prima del filmaker sardo Bonifacio Angius, intervistato da Taxidrivers in occasione dell’anteprima stampa del film.

Sagràscia parte da uno spunto autobiografico. Il piccolo protagonista itinerante del tuo film è ispirato ad una vicenda realmente accaduta a tuo padre tanti anni fa e le location che hai utilizzato sono i posti dove sei cresciuto, i luoghi della tua infanzia. In che misura le tue origini sarde hanno influenzato la realizzazione del film?

È vero, la mia storia parte da un racconto biografico e certamente la Sardegna, che di per sé ha una cultura affascinante, su di me ha una presa molto particolare. Ciò non toglie però che anche dai luoghi in cui io sono cresciuto, reali, si possa creare un mondo molto più astratto e immaginario. C’era una parola chiave che ci ripetevamo mentre realizzavamo il film: non facciamo la solita cosa sarda. E abbiamo cercato di andare oltre, non c’era una sceneggiatura, ma solo un canovaccio. Sagràscia è un film che raccoglie momenti, un film sui ricordi, miei e di mio padre. Questo film è un’improvvisazione e i luoghi erano nella mia mente, la luce estiva, i fiori bianchi. Oltretutto realizzare un film low budget come questo non sarebbe stato possibile lontano dal posto dove vivo. Quando uno gira con questi costi inevitabilmente si appoggia alle persone che conosce, ai propri contatti. Diciamo che la scelta della location è stata bidirezionale: da un lato abbiamo girato lì perché l’ambientazione era perfetta e dall’altro anche perché economicamente era la miglior scelta possibile.

Sagràscia è una sorta di road movie, un viaggio esteriore per i campi sardi ed interiore nell’immaginario del protagonista. La struttura narrativa però non è quella canonica e lineare degli odierni racconti cinematografici, la dimensione del luogo e del tempo nel film è completamente stravolta..

La dimensione spazio-temporale del film è sostanzialmente divisa in due parti. Inizialmente Sagràscia parte come un classico film a tre tempi, con una struttura alla Kiarostami, per intenderci. Successivamente invece la storia ci porta verso un altro luogo, la narrazione cambia di registro e ci accompagna in quello che potremmo definire “un posto dell’anima”, più che un posto geografico specifico. La struttura del film quindi non è lineare, ma circolare. Sagràscia è come un cerchio, un girotondo di personaggi, che ha in sé un potenziale quasi carnevalesco, ma nasconde anche un forte senso di inquietudine.

Il girotondo di personaggi, la struttura narrativa circolare, sono tutte scelte azzardate se pensiamo all’industria cinematografica italiana. A chi o cosa ti sei ispirato per girare questo film?

Il punto di partenza è stata una dichiarazione di Fellini nel documentario L’ultima sequenza di Mario Sesti. La struttura del film in particolare è ispirata dalle sue parole: “Il film è come una tastiera. Se spingi un tasto la gente ride, se ne spingi un altro la gente piange. Se cambi l’ordine dei tasti, la gente non capisce più niente”. Oggi il pubblico è abituato ad un’industria che gli fa dei prodotti che si possono seguire anche di spalle mentre lavi i piatti. Prima forse quando si cercava una via tutta italiana di raccontare le storie, si riuscivano a portare sullo schermo dei film più autentici, ma ora il nostro cinema è schiavo della cinematografia americana. Forse il problema è che nel nostro paese in questi tempi ci sono troppe incertezze, viviamo in un mondo che ci fa paura e questo si riflette su tutto, inevitabilmente, nell’arte, nella politica, in tutti gli aspetti della quotidianità. La produzione artistica è sempre figlia del tempo in cui vive.

A proposito di tempi difficili, la storia di Sagràscia non è stata semplice (la realizzazione del film ha richiesto tre anni di lavorazione ndr), come non è semplice la vita di un giovane regista oggi in Italia. Cosa vuoi dirci della tua esperienza e quali sono i tuoi progetti futuri?

La realizzazione è stata un incubo, una tortura, ho sognato il film praticamente tutte le notti per due anni e mezzo. Sono soddisfatto del risultato finale, forse non ne sono entusiasta, ma solamente perché credo che sia molto difficile ottenere tutto quello che si vuole, specialmente da un’opera prima. Per fare film oggi ci vuole forza di volontà, bisogna lottare contro i mulini a vento, come Don Chisciotte. Il vittimismo non mi appartiene, diffido da chi si lamenta, alla fine abbiamo girato questo film con meno di 20.000 euro in tre anni, una miseria. Ribadisco, ci vuole forza di volontà. Per quello che riguarda il futuro invece, abbiamo in cantiere due progetti distinti. Il primo è un lungometraggio di finzione, Perfidia, un racconto semplice, lineare, la storia di un personaggio che vive i nostri tempi confusi, una metafora dell’Italia oggi e della nostra generazione a confronto con i propri genitori. Il secondo invece è un progetto più ambizioso, un sogno, un film ad episodi in tre atti, alla greca. La struttura narrativa, i personaggi, la storia, ricorreranno in tutti e tre gli episodi ma quello che cambierà sarà l’ambientazione, la cultura. Il primo atto è stato già girato in Sardegna, per il secondo avevamo in mente il Sud-Est Asiatico e per il terzo il Messico. Ma questo forse è un sogno…

Chiara Napoleoni

Scritto da Redazione il nov 11 2011. Registrato sotto INTERVISTE, TAXI DRIVERS CONSIGLIA. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione

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