Perché il crimine diventa mito?
Bisogna vedere quale è l’interpretazione che si dà alla parola mito.
Ci sono una serie di motivazioni psicanalitiche, se stiamo a quella più semplice, il male è sicuramente affascinante perché racconta molto più del bene, almeno in maniera apparente, sul nostro inconscio. Il male, in un universo estetico, crea indubbiamente suspense e quindi una serie di artifici che creano attenzione.
Ho citato prima un sociologo, che non è un mio amico – quindi non faccio pubblicità- ed il suo libro “L’umiltà del male” di cui sono rimasto affascinato.
Il male ha una considerazione bassa dell’essere umano e quindi sa come inserirsi in certe pieghe delle sue debolezze. Poi, insomma, su questo tema esiste una grande storiografia l’importante, però, è che non diventi mito nel senso di “valore”: vanno bene tutte le interpretazioni (soprattutto quelle estetico/narrative) ma non quelle etiche.
Il male può anche essere superato. Per esempio Truffaut in un libro/intervista ad Hitchcock scrive questa cosa divertente ed importante: Hitchcock dice a Truffaut “se fossi stato italiano non sarei diventato Hitchcock. Perché, in una cultura, tradizionalmente cattolica, il male, viene rimosso. Messo cioè in una zona dell’inconscio che non comunica più con la coscienza. Quindi è presente, in senso freudiano, in senso tecnico, ma non è riconosciuto in quanto tale.
In una cultura religiosa del nord Europa, il male viene mostrato. Una cosa che ha a che fare con chi fa il mio mestiere, con chi racconta. Viene quindi mostrato, visto, analizzato e quindi superato in un elemento “dialettico”. Quindi, tornando ad Hitchcock lui dice di essere diventato “Hitchcock” perché appartenente al mondo anglosassone.
Lo stesso vale per le grandi agenzie internazionali che, quando ci sono le guerre, purtroppo, mandano i cosiddetti “file d’immagine” con delle scene drammatiche, perché loro, per cultura, girano tutto: non rimuovono la realtà a livello di ripresa.
E’ chiaro, poi, che chi trasmette deve avere, la responsabilità e la sensibilità di mandarli in onda.
Però la scarpa vuota della strage al mercato di Sarajevo è una figura retorica che sta per un corpo che non c’è più quindi, vuol dire morte. Ora, o la si riprende in primo piano, o non la si riprende: la scarpa è li. La strage del mercato c’è stata.
Io l’ho trasmessa alle due del pomeriggio perché quella scena shock, identificava la morte che c’era a trecento kilometri dalla riviera adriatica e, la gente, non aveva capito che nell’ex Jugoslavia, ci si ammazzava.
Il male mostrato, è un male che produce conoscenza. E’ una questione di punti di vista.
Il crimine, a dispetto di ciò che si dice, paga: quanto in termini di audience…?
Per restare bassi, visto che siamo stati molto alti a livello teorico prima, questa è stata una stagione televisiva particolare, perché è stata una stagione particolare della realtà con dei fatti di cronaca clamorosi che probabilmente, non si erano mai verificati negli ultimi decenni e quindi, parliamo di Avetrana, parliamo di Yara, parliamo del caso di Melania Rea…tutte storie in cui, si fa fatica a ricondurre le indagini ad una verità acquisita che possa soddisfare sia a livello processuale che a livello morale.
E allora succede che, inevitabilmente,l’attenzione mediatica su queste storie, produce, un’attenzione – non so se in maniera morbosa- ma molto alta in termini di auditel. E non solo per i programmi specializzati ma anche gli altri programmi che li hanno trattati, sono stati premiati in termini d’ascolto.
Quindi “il delitto imperfetto” rende tutti un po’ detective?
Assolutamente: è appassionante una storia dove non c’è una conclusione.
Stando alle sue parole, Avetrana, necessitava, a livello di cronaca giornalistica, di un rilancio di notizie effettive: ma se ad oggi non si sa nulla, perché continuare a parlare del nulla?
Io dico che nei programmi che dirigo, siamo stati sempre abbastanza attenti ad evitare questa cronaca del nulla che è finita anche sui giornali. Ma poi, la cronaca del nulla la fanno pure i giornali.
Quindi, alla fine, i giornali criticano la televisione ma, poi, fanno le stesse cose.
Io parlo per me e dico che gli eccessi ci sono, gli errori si fanno (perché questo sarebbe disonesto non ammetterlo) e qualche volta, forse, si può riempire la parte di un programma con un argomento di sicura presa di cui, magari, c’è una notizia che in quel giorno, può essere chiusa in un breve spazio ed invece si presta a suggerire un talk, una discussione che sappiamo funzionare con gli ascolti.
A parte questo elemento che c’è, per il resto, nei programmi che dirigo, non ho visto questa cosa. Magari, nei momenti più caldi del circolo mediatico dove tutti rincorrono gli stessi protagonisti, tutti vogliono essere lì, tutti non vogliono bucare nulla, si può creare un po’ di tensione o nervosismo per cui, un eccesso di collegamenti può produrre anche qualche frase campata in aria però, insomma, nei limiti di questo, i programmi specializzati che fanno un lavoro di cronaca giudiziaria rigorosa come Matrix, questa roba non l’ha fatta mai. Nei contenitori popolari e magari con conduttori che hanno un’educazione più legata allo spettacolo che al giornalismo, qualche volta, magari, si è vista qualche piccola sbavatura ma, nei limiti.
Parlarne quindi è informare. La concorrenza, ad esempio Mentana o Vaime su la7, pecca di ipocrisia dicendo di non parlarne e continuando a farlo?
Sono contrario a tutti i tipi di silenzio. Il silenzio per me, è censura. Anche nella cronaca. Anche la cronaca, volendo, può diventare politica. Oggi va di moda dire che c’è un eccesso di attenzione alla cronaca e poco alla politica: non è vero.
Ci sono dei programmi di politica tradizionali e poi c’è un modo di raccontare la politica anche attraverso i grandi fatti di cronaca. Mani pulite era cronaca giudiziaria ma, era anche cronaca politica.
Io sono contrario al silenzio anche nella cronaca. Preferisco un errore in eccesso ad un errore in difetto. Sono contrario al “silenzio stampa”. Sono favorevole al rigore cioè, al rispetto, alla pietas e all’attenzione dei riferimenti e dei particolari: questo, si. Per il resto, più se ne parla e meglio è.
Poi, se mi fai domande su di me, rispondo per Mentana, risponde Mentana.
Mentana ha fatto la fortuna del tg5 (parlo da ex collega di Mentana), del mondo Finivest (allora neanche Mediaset) perché per il tg5, si occupava di grande cronaca mentre il tg1, tradizionalmente ancora si occupava grammaticalmente della sfera della politica tradizionale. Solo che, la cronaca del ’92, l’ho già detto, era anche “tangentopoli”. Quindi Mentana, oltre che bravissimo -come è- è stato fortunato, perché attraverso la cronaca, faceva la nuova politica. Ora che fa il tg a la7, dopo tanti anni, è stato bravo perché ha intuito un certo tipo di situazione e si è spostato in una nicchia ma lui dice di non fare cronaca.
Paolo Liguori qualche giorno fa ha lamentato un uso improprio del delitto che, soprattutto in tv, tende alla spettacolarizzazione. Non crede che abbia ragione?
E’ segno di grande libertà non solo di Mediaset ma della mia testata. Questa critica, infatti, è stata fatta all’interno di un programma della mia testata “Pomeriggio5” dove io ho ospitato un direttore di Mediaset per far contestare i miei stessi giornalisti. Quindi, è segno di grande libertà e di critica. E’ metalinguaggio puro. Però noi abbiamo attivato la discussione in uno dei nostri programmi e, siccome ne facciamo tanti, ci possiamo permettere di fare anche questo. Qualcun altro fa il suo lavoro come missione editoriale qualcuno può aprire un talk (l’ho fatto anch’io la domenica) che si rivolge anche all’interno. Ora il problema è fare in modo che la critica di Liguori non sia a sua volta puro spettacolo cioè, che non sia un “bla bla” per animare la discussione. Lui ha detto delle cose di cui noi terremo conto anche in termini di organizzazione del lavoro o di attenzione del lavoro dei nostri inviati.
La cosa importante è che lo abbiamo fatto al nostro interno, non l’hanno fatto gli altri e quindi, questo, è sintomo di salute, no? Un corpo che si cura da solo. Questa è omeopatia giornalistica. Prima di prendere l’antibiotico, ci siamo curati con l’omeopatia.
E’ pensabile un programma di infotaintment che escluda il sangue?
Sono allergico alla parola “infotaintment”. “Mattino cinque” non è un programma infotaintment,l’ho spiegato anche a tvtalk, anzi, lo hanno detto i semiologi che non sono amici miei. E’ un programma info-emotional, perché è un programma quasi tutto di cronaca, di storie di vita, di life dove poi, il racconto è più disteso rispetto a quello del telegiornale. Mattino cinque inizia con Belpietro, come fa ad essere un programma di infotaintment…beh lo trovo difficile anche se poi, lo fa una donna di spettacolo.
Poi c’è tutta una parte di cronaca, e lo dico con precisione perché l’ho inventata io, una storia di servizio, che è quasi sempre informazione pura, lo stesso quella medica, poi pubblicità, il tg5 a cui segue Controcanto (una rubrica politica ben conosciuta anche per colpa di alcune polemiche) e poi c’è mezz’ora di rotocalco più dedicato al costume e allo spettacolo che è anche la pagina di un giornale (anche il Corriere della Sera ha la pagina dello spettacolo). Non è, quindi un programma di infotaintment e poi, ammesso che l’infotaintment esista ( e sicuramente Pomeriggio cinque lo è di più) non è che infotaintment è la fusione della cronaca nera col gossip (che adesso è il nuovo oggetto di critica).
L’infotaintment è un modo di mescolare i campi semantici del racconto. Quindi, può esistere qualsiasi tipo di infotaintment con qualsiasi contenuto. Quindi la cronaca nera, non è che sia un supporto.
Io trovo che tra i contenitori popolari, la Rai li abbia fatti molti anni prima di noi e, li ha fatti con vari ingredienti. Ad esempio, il prototipo de “La vita in diretta” è un programma di Vigorelli che è tutto di cronaca nera. Non era infotaintment, era ossesivo ed era, tv del pomeriggio. Poi si è evoluta successivamente. Sicuramente, comunque, è un uso pericoloso da tenere sotto controllo.
Premium Crime vuole porsi come primo concorrente a Fox Crime?
Per essere agli inizi, all’atto della fondazione, mi sembra presto per dare un giudizio. la missione, dovrebbe essere quella. Però dopo dipende da tanti fattori in ballo: la gente, le stagioni, le possibilità.
Quello che io dico, e che ho sempre detto a tutti i colleghi è che oltre a tutta una serie di telefilm bisogna anche produrre, bisogna cioè fare editoria (cosa che non ho ancora visto in Italia).
Marina Angelo
Montaggio: Giovanni Mercadante