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Intervista a Davide Partipilo: la storia di un giovane artista

Creato il 06 febbraio 2014 da Thefreak @TheFreak_ITA

Ancora una volta the Freak incontra l’arte e lo fa intervistando un artista giovanissimo per capire cosa significhi oggi muovere i primi passi in questo mondo.

Davide Partipilo è un ragazzo di 26 anni di Bari che dopo essersi laureato all’Accademia delle Belle Arti ha intrapreso – con dedizione e interesse – la carriera di artista.

 

Davide, raccontami della tua esperienza di studio nel campo dell’arte.

Mi sono laureato all’Accademia delle Belle Arti di Bari l’anno scorso.

In realtà, ho frequentato l’Accademia di Bari il primo anno, poi mi sono trasferito all’Accademia di Venezia per un solo anno e ho completato a Bari il mio percorso di studi. Ora sto frequentando il corso specialistico biennale.

Sicuramente posso dire che la mia esperienza di studio è stata molto diversa rispetto a quella di un corso di laurea “canonico”. Ho partecipato a corsi di disegno, di pittura, di scultura e, naturalmente, di storia dell’arte. Nel mio percorso, ho incontrato un professore che ha cambiato completamente il mio modo di pensare all’arte. È stato lui a farmi capire che non esiste arte senza tecnica, senza studio. L’arte è storia, non solo talento e ispirazione.

Il mio professore ci spingeva a conoscere quanto più possibile i grandi artisti del passato e del presente perché senza un’adeguata preparazione, secondo lui, non avremmo mai potuto esprimere a pieno la nostra creatività.

Corsi di pittura? Non dev’essere facile insegnare ad altri un qualcosa di così intimo e personale. Come si svolgevano esattamente?

Chiunque non abbia frequentato un’accademia pensa ai corsi di pittura come a momenti didattici in cui ti viene insegnato come si dipinge da un punto di vista tecnico. In realtà, il contatto con la pittura è solo l’ultimo passaggio di un lungo percorso che mira a formarti più nelle attività artigianali che in quelle pittoriche. Ho partecipato a corsi di restauro e di mosaico. A mio parere non v’era molta utilità rispetto all’obiettivo finale, ma non tutti i mali vengono per nuocere.

Come ti sei mosso nel mercato dell’arte una volta laureato?

Devo dire che non è stato affatto semplice muovere i primi passi nel mondo dell’arte. Le uniche persone che conoscevo a occuparsi d’arte erano i miei compagni di corso. Nessun gallerista aveva mai sentito parlare di me.

Ho deciso di aprire uno studio con un mio amico che faceva l’artista da un po’ più tempo di me. Lo abbiamo chiamato “Atelier 12”.

Spiegami, cosa vuol dire per voi “Atelier 12”?

Inizialmente non lo sapevamo con esattezza.

Passavamo giornate e nottate intere nello studio a lavorare, ma ancora non avevamo trovato un’idea per renderlo funzionale a farci conoscere.

Come artista e come persona, mi sono sempre preoccupato del fatto che nei fruitori dell’arte ci fosse molta inconsapevolezza. Sognavo di organizzare delle mostre dove i visitatori potessero chiedermi il perché di qualunque cosa, e io spiegare loro le mie scelte pittoriche.

Così, visto che per noi non c’era lavoro, abbiamo deciso di creare lavoro per gli altri. Con la collaborazione dell’associazione ARCI, abbiamo organizzato dei corsi di pittura e di disegno.

Le nostre opere hanno cominciato a circolare, per questo abbiamo deciso di realizzare degli eventi ogni 12 del mese. Il giorno del nostro primo evento ci aspettavamo 50 persone e ne sono arrivate 130.

È stata una bella soddisfazione. Pian piano abbiamo cercato di ritagliarci un piccolo spazio e, grazie a questo, dei privati hanno acquistato alcuni dei miei lavori.

Parliamo delle tue opere. Se dovessi definire la tua pittura a un profano dell’arte, cosa diresti?

Lavoro in due maniere: una la potremmo definire grafica e l’altra pittorica. Sono fortemente affascinato dalla poetica romantica di Turner e di Friedrich.

Quasi sempre l’oggetto delle mie opere sono degli alberi. Non saprei spiegare il perché; ho avuto bisogno di dipingerli.

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Ultimamente, ho fatto un lavoro sulla macchia mediterranea. Fotografo degli alberi, racconto come si sviluppa la loro chioma. Attraverso un diluente porto la loro sagoma su una tela fatta da me tramite la tecnica dell’imprimitura e poi ne decido il colore. Ho deciso di produrre da solo la tela perché mi piace l’idea di dipingere su un qualcosa che possiede già un propria memoria.

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Sinceramente, credo che l’espressionismo abbia prodotto generazioni di artisti educati male. La semplice creazione dell’immagine sull’onda di un’emozione non restituisce risultati di qualità. Il pittore che si basa solo sulla propria ispirazione è un concetto ormai superato. Per essere realmente artisti al giorno d’oggi è necessaria la tecnica e lo studio. Forse è per questo che ogni mio quadro dopo qualche mese non mi rappresenta. Un artista che studia ha un continuo bisogno di reinventarsi.

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Davide, cosa è cambiato dal tuo primo anno di accademia ad oggi?

È cambiata la mia concezione del successo. Un tempo non vendevo quadri e l’unica cosa che mi interessava era che un gallerista si accorgesse di me. Oggi riesco a vendere alcune delle mie opere, ma a questo obiettivo si è aggiunto quello della diffusione della cultura.

Non voglio essere un artista solo. Voglio condividere quello che faccio con tutti coloro che avranno la curiosità di capirlo.

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intervista a cura di  Adriana Lagioia


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