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Intervista a Diego Banchero

Creato il 31 agosto 2015 da Athos Enrile @AthosEnrile1
Intervista a Diego Banchero Intervista a Diego Banchero, de Il Segno del Comando (già apparsa nel protale Unprogged-http://www.unprogged.com/)
Diego Banchero è un musicista genovese che, nonostante i tanti progetti paralleli, si identifica maggiormente ne Il Segno del Comando, band prog nata come progetto studio una ventina di anni fa, e che solo da una paio di mesi ha provato, con pieno successo, l’esperienza del palco. Tre album all’attivo, con un ultima uscita che risale allo scorso anno, “Il Volto Verde”. Dalle sue parole si delinea la storia personale e, naturalmente, delle band con cui ha collaborato. Intervista a Diego Banchero
Savona, 15 marzo 2015
Potresti sintetizzare per Unprogged la tua storia di musicista?
La tua creatura è la band Il segno del Comando: mi racconti della sua evoluzione?
Il Segno del Comando è nato come progetto da studio ed ha mantenuto per molti anni tale assetto. Per tanto tempo è stato da noi considerato come un laboratorio di sperimentazione di approcci stilistici alternativi non integrabili nel lavoro compositivo dei nostri altri gruppi principali. La sua costituzione, come già ho accennato poco sopra, avvenne 1995 dalle ceneri del mio quartetto di jazz elettrico con il quale, tra un concerto e l’altro, avevo ai tempi realizzato alcune composizioni in stile horror-soundtrack registrandole in presa diretta in uno studio  (una di queste tracce fu anche inserita nella compilation “E tu vivrai nel terrore”, pubblicata da Black Widow Records). Sul finire dell’estate di quell’anno, decisi di scrivere materiale sufficiente a musicare un album preparando qualche spartito e dei provini registrati con un quattro piste a cassetta che diedi poi agli altri musicisti coinvolti nel progetto. Nei mesi successivi, dopo esserci accordati con la Black Widow, iniziammo i preparativi per entrare in sala d’incisione. Realizzammo così il primo disco omonimo che è poco più che un “live in studio” registrato nell’arco di due weekend; partendo da riferimenti precisi dal punto di vista compositivo arricchiti da una buona dose di improvvisazione. Abbiamo poi atteso diversi anni prima di scrivere il secondo disco (Der Golem) che è stato pubblicato nel 2002 (anche se in realtà è stato ultimato due anni prima della sua uscita). C’è stata poi una vera e propria interruzione dell’attività del gruppo prima di arrivare all’ultimo capitolo che è stato pubblicato nel 2014 (Il Volto Verde). Grazie a questo disco sono cambiati i presupposti stessi del progetto e ho iniziato a lavorare, da subito dopo la sua realizzazione, alla costituzione di una band stabile che, oltre a realizzare lavori nuovi discografici, garantisse anche una attività live che fino a quel momento era stata impensabile.
Come definiresti la vostra musica a chi non ancora non vi conosce?
Pur facendo, di fatto, parte della scena prog italiana, Il Segno del Comando, ha una grossa componente di influenze derivanti da jazz-rock, funk e metal, e sviluppa atmosfere tipiche della tradizione dark sound nostrana, ispirandosi a gruppi come Jacula e Antonius Rex, Goblin e Balletto di Bronzo. Grande influenza ha avuto indubbiamente anche la musica di derivazione cinematografica; soprattutto quella italiana degli anni ’70, i cui stilemi danno un contributo inequivocabile all’approccio compositivo del progetto. Grossa attenzione si presta poi, da sempre, alla scrittura dell’impianto lirico che è esclusivamente realizzato utilizzando la lingua italiana. Le tematiche che vengono affrontate nei testi sono frutto di un’accurata fase di ricerca tra le pagine di opere di importanza culturale o esoterica delle quali si decide di compiere un’azione di recupero che ne scongiuri lo smarrimento tra le polveri della storia.   Detto ciò, credo che il risultato finale, malgrado non si voglia negare l’importanza di varie fonti di ispirazione, sia indubbiamente originale.
E’ da poco uscito “Il Volto Verde”, vostro terzo album: quali sono i contenuti lirici e musicali?
Il Volto Verde” è un concept album ispirato all’omonimo romanzo dello scrittore Gustav Meyrink (la cui opera era già stata al centro del disco precedente: “Der Golem”). Ho scelto di compiere un ulteriore approfondimento nella tematica di questo grande autore perché questo suo scritto mi ha particolarmente influenzato negli anni. Su di esso ho compiuto molti studi e ne ho tratto importanti insegnamenti. Tra l’altro era già stato previsto in passato di utilizzarlo e non volevo disattendere completamente quanto dichiarato ai tempi. Musicalmente lo stile si è ulteriormente evoluto grazie ad un lavoro di coagulazione degli stilemi, abbastanza eterogenei, utilizzati nei due dischi precedenti. Sono tornato ad utilizzare sonorità un po’ più vintage, vicine al primo album, ma senza perdere l’approccio compositivo tipico del secondo album che è maggiormente strutturato e meno affidato all’improvvisazione. C’è da considerare il fatto che anche questo disco, come del resto il suo predecessore, siano stati da me realizzati senza l’aiuto di una band vera e propria alle spalle. In realtà sono il frutto di un lavoro di studio abbastanza complesso al quale hanno collaborato molti artisti diversi i quali non si sono mai incontrati né prima né durante le registrazioni. Seppur questo tipo di approccio non permette di avere il pieno controllo di quello che sarà il risultato finale, ci si può abbandonare a cavalcare l’onda della sorpresa che ogni musicista coinvolto è in grado di suscitare con il proprio contributo.
So che lo avete eseguito dal vivo, a Genova: come ha reagito il pubblico? Sei soddisfatto della resa da palco?
Il concerto dello scorso 21 febbraio a Genova è stato in realtà un compendio di tutti e tre gli album realizzati ad oggi dal gruppo. Ampio spazio, chiaramente, è stato riservato ai brani de “Il Volto Verde”, ma trattandosi della prima uscita dal vivo nella biografia della band, non volevo trascurare completamente i primi due lavori. Sono molto soddisfatto di questo esordio. I musicisti che sono al mio fianco in questa avventura sono eccezionali e lo hanno dimostrato già dalla prima uscita. Grandissimo il calore del pubblico che ha reagito con grande entusiasmo. Erano in molti, anche tra coloro che seguono le evoluzioni del progetto dai suoi esordi, che si aspettavano un’esibizione per lo più giocata sull’atmosfera (sia visiva che sonora), mentre invece sono rimasti colpiti dall’impatto della band che è stata da tutti considerata molto trascinante.
Cosa mi dici dei tuoi progetti paralleli, Il Ballo delle Castagne in primis?
Al momento sono meno attivo su Egida Aurea e su altre collaborazioni che ho seguito per anni, mentre invece sto continuando a lavorare con regolarità con Il Ballo delle Castagne, con il quale ho appena pubblicato due album. Il primo di questi si intitola “Live Studio” ed è stato registrato poco dopo il concerto tenuto dal gruppo al FIM di Genova del maggio 2014. Il titolo è già di per sé descrittivo della natura del lavoro che è stato realizzato in presa diretta presso il Nadir Studio di Sestri Ponente e comprende una raccolta di brani in versione live presi dai precedenti album della band, ai quali si aggiunge una composizione di Egida Aurea. Il secondo, è un album stampato unicamente in vinile in cui Vinz Aquarian ha sperimentato un approccio maggiormente filmico. Il titolo è “Soundtrack for an Unreleased Herzog Movie”. Io ho collaborato più che altro alla post-produzione, ma mi sono comunque divertito molto grazie questo progetto. Il Segno del Comando sta naturalmente richiedendo sempre maggiore impegno, ma non rinuncio a collaborare ad altre produzioni e sto avviando anche un nuovo progetto solista per il quale ho scritto già parecchio materiale. Le idee sono tante e finisco sempre per rimandare una parte di quanto vorrei fare ad epoche future assolutamente poco definite.
Mi dai il tuo feeling sullo stato della musica nella tua città e più in generale nel nostro paese?
Genova oggi è uno dei punti nevralgici della scena indipendente internazionale. Malgrado il disinteresse del mainstream circa questa realtà sia totale, non si può nascondere il fatto che siano attivi sul nostro territorio urbano molti talenti davvero straordinari. C’è creatività e maturità da vendere in questa scena che sta scrivendo una pagina dopo l’altra e sta dimostrando una vitalità e uno spessore che ormai molti altri ambienti si sognano. Lo stesso vale per l’Italia in generale. Chiaramente sta cambiando il modo in cui l’utenza interagisce con l’industria discografica (discorso che non voglio affrontare perché, purtroppo, lo abbiamo sotto agli occhi quotidianamente e se ne parla in continuazione). Da parte delle major non vi è un reale interesse ad investire su fenomeni che si prestano per lo più a favorire una situazione settorizzata dal punto di vista artistico (e di conseguenza commerciale). E’ molto più conveniente tentare di allineare la massa degli acquirenti su un prodotto che rappresenti l’unica alternativa possibile; garantendo così grandi numeri di vendita. L’aspetto positivo è che, comunque, in questo periodo in Italia si riscontra, da parte di molti, una grande voglia di non lasciare decadere completamente quanto di buono proviene dall’underground e c’è chi si impegna, malgrado tutto, a resistere, pur in condizioni avverse, realizzando produzioni nuove, organizzando concerti e svolgendo un’opera costante di talent scouting.
Un’ultima domanda: cosa c’è… dietro l’angolo di Diego Banchero?
Questa forse è la domanda più difficile a cui rispondere caro Athos. Vorrei saperlo anch’io a dire la verità. Per realizzare tutte le cose che mi frullano per la testa ci vorrebbero almeno due vite. Al momento, dietro l’angolo, c’è il progetto Il Segno del Comando, al quale intendo lavorare con la continuità che in passato non era stata possibile. Ho anche alcuni progetti che vorrei realizzare con Il Ballo delle Castagne ed altre cosette che nell’immediato non beneficiano delle condizioni adatte ad essere sviluppate. Sono solo sicuro del fatto che, finché le forze me lo consentiranno, cercherò di assecondare al massimo la mia creatività!



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