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Intervista a Fatima Bhutto

Creato il 10 febbraio 2014 da Visionnaire @escrivere

Tempo fa abbiamo avuto il piacere di leggere e recensire un libro che ha aperto gli occhi agli occidentali su un lato del Pakistan da noi poco conosciuto. Abbiamo scoperto, attraverso le vite dei protagonisti, cosa significa vivere in un Paese dove la legge stessa non protegge i suoi cittadini. Tutto questo lo dobbiamo a Fatima Bhutto, autrice de “L’ombra della luna crescente”, che noi di È scrivere abbiamo recensito qui.

È un grande onore per noi, dunque, potervi presentare l’intervista con l’autrice, che gentilmente ha risposto alle nostre domande. Troverete prima la versione italiana e subito dopo quella in inglese.

Buona lettura!

1. Lei porta l’eredità di un cognome importante nella storia del suo paese. Quanto ha influito la tradizione politica della sua famiglia sulla scelta di scrivere articoli e libri di denuncia contro le ingiustizie sociali in Pakistan?

Fatima Bhutto: Grazie per le vostre domande! Sono felice di rispondere. Il mondo che ho visto grazie alla mia famiglia, la gente che ho incontrato e le parti del Pakistan che ho visto accompagnando mia madre e mio padre durante i loro viaggi hanno sicuramente influenzato la mia scrittura allargando i miei orizzonti. Il concetto di giustizia, onestà e armonia era qualcosa per cui ho sempre visto i miei genitori combattere e naturalmente è diventato molto importante anche per me. È così che ho iniziato a intendere la politica e mi ha sempre contrariata vedere che questi valori non sono messi in atto in Pakistan e di sicuro non sono stati seguiti per molto tempo.

2. Si è sempre rifiutata di entrare lei stessa in politica, preferendo continuare a scrivere. Considera la parola scritta il mezzo più efficace per smuovere le coscienze e promuovere i cambiamenti?

F. B.: Sì, per me lo è assolutamente. Ho sempre voluto diventare una scrittrice e così sto facendo il lavoro che amo. Non ho mai voluto entrare in politica, ma detto questo, scrivere è un atto politico (come quasi tutto) ed è uno in cui si ha una grande libertà di parlare apertamente e onestamente.

3. Il suo romanzo presenta diversi aspetti della vita quotidiana a Mir Ali e dà al lettore occidentale la possibilità di potersi affacciare alla cultura pakistana, attraverso stralci di vita dei protagonisti. Da occidentale, mi aspettavo di notare di più un comportamento maschilista nei confronti delle donne, e invece sono rimasta sorpresa dal rispetto che i tre fratelli hanno verso Samarra, Mina e Zainab. Un grande rispetto. D’altro canto, lei parla molto delle difficoltà delle donne nel suo Paese. In L’ombra della luna crescente ha voluto far vedere al mondo occidentale che la nostra visione maschilista è spesso troppo generalizzante?

F. B.: L’occidente ha una visuale molto ristretta delle donne in Sud Asia. Gli occidentali vedono solo le difficoltà che devono affrontare – e ce ne sono molte – ma non mostrano quanto sono coraggiose le donne nella nostra parte del mondo, quanto combattono, e quanto sono compassionevoli nelle loro lotte.
Le donne qui non combattono solo per se stesse, combattono – pacificamente – per le loro comunità, per le loro famiglie, per molte, molte altre donne accanto a loro. E in questo trovano un grande potere. Volevo scrivere del tipo di donne che conosco e queste donne sono molto simili a Samarra e Mina – impavide.

4. Inayat e i suoi tre figli: Aman Erum, Sikandar e Hayat. Un padre che cerca di trasmettere alla propria prole i valori importanti nella vita, come la libertà e il dover combattere contro le ingiustizie. I tre fratelli, crescendo, fanno ovviamente le loro scelte. Quale personaggio le è più vicino come modo di pensare? Con quali aggettivi li descriverebbe?

F. B.: Provo delle affinità con ognuno di loro. Capisco la sensazione di soffocamento e il desiderio di essere libero di Aman Erum. Empatizzo con la paura di Sikandar e il suo voler passare inosservato, e capisco anche sia l’impegno di Hayat al dovere, sia la sua stanchezza. È impossibile dire quale mi rappresenti di più, perché in momenti diversi ci si sente come ognuno di loro.

5. Passiamo alle tre protagoniste: Zainab, Mina, Samarra. La mia preferita è Samarra. Ma ho apprezzato tantissimo anche Mina. Io le definisco tutte e tre coraggiose e forti. Nelle sue interviste, lei parla spesso di donne guerriere. A loro modo, tutte e tre le donne del romanzo lo sono. Può spiegare a chi leggerà questa intervista perché una donna in Pakistan deve essere una guerriera?

F. B.: Bisogna sopravvivere. In un mondo dove la legge non ti protegge, non hai sicurezze né aiuti, devi combattere per poter parlare e vivere da persona libera. Sono contenta che ti sia piaciuta Samarra, credo che lei abbia proprio questo spirito di sopravvivenza. È una cosa stupenda, ma a volte è qualcosa che, nell’animo, si fa molta fatica a sopportare.

6. La figura di Samarra pone l’attenzione su un dubbio attuale e di estrema importanza: dove finisce la lotta per un ideale e inizia l’estremismo? Il confine è labile e difficile da distinguere. Secondo lei, fino a che punto si possono giustificare certe azioni e quando bisogna rendersi conto che il limite è stato superato?

F. B: Quando inizi a non avere più compassione per gli altri, quando la tua prospettiva si offusca e vedi soltanto il tuo dolore (e perdi la consapevolezza di combattere per degli ideali, perché il mondo è interconnesso e quegli ideali sono universali), allora inizi a essere isolato. E quando sei isolato è più facile oltrepassare quella linea.

7. Leggendo il suo romanzo, ci siamo accorti che tratta il tema della violenza, ma che ha preferito affrontarla in maniera indiretta, senza descriverla apertamente. Ci può spiegare il motivo di questa sua scelta?

F. B.: Questa è una domanda interessante. Ho visto molta violenza nella mia vita e credo che il suo effetto sia davvero forte – la sua forza non sta nell’atto in sé, ma nella memoria che ne resta, nella suggestione che lascia, nella minaccia di vederla tornare di nuovo.

E ora la versione originale delle risposte dell’autrice:

Intervista a Fatima Bhutto

1) Your surname means a lot in the history of your country. How much did the political tradition of your family influence your choice of writing about social injustices in Pakistan?

Fatima Bhutto: Thank you for your questions! I am happy to answer them. The world I have seen because of my family, the people I have met and the parts of Pakistan I have seen accompanying my mother and father on their travels has certainly influenced my writing in that it greatly expanded my world. The concept of justice, of fairness and of harmony was something I always saw my parents fight for and it naturally became very important to me to, it is how I began to define politics and was always disappointed to see that those values are not practiced in Pakistan and they certainly haven’t been for a very long time.

2) You always refused a political career. Do you think that writing is the best way to open people’s eyes and to promote big changes?

F. B.: Yes, for me it absolutely is. I have always wanted to be a writer so I am doing the job I love. I never wanted to be in politics, but that said writing is a political act (as is almost anything) and it is one where you have a great freedom to speak openly and truthfully.

3) In your novel you wrote about different aspects of the daily life in Mir Ali. This choice allows the reader to understand something more about Pakistan culture. As a westerner I thought I would have read about a more chauvinist behaviour but I was actually surprised by the respect of the three brothers for Samarra, Mina and Zainab. As a matter of fact you write a lot about women’s difficulties in your country. Did you want to show in your novel how our chauvinist vision is usually too stereotyped?

F. B.: The West has a very narrow view on women in South Asia. They see only the difficulties they face – of which there are many – but they do not show how brave the women in our part of the world are, how much they struggle, and how compassionate they are in their fight. Women here do not struggle only for themselves, they struggle – peacefully – for their communities, for their families, for many, many other women alongside themselves. And in this they have a great power. I wanted to write about the kind of women I know and those women are very much like Samarra and Mina – fearless.

4) Inayat and his three sons: Aman Erum, Sikandar and Hayat. A father trying to pass on to his own children the most important values of life, like freedom and fighting against injustices. Growing up, the three brothers make their own choices.
Which one of this characters could better represent your thoughts? Which adjectives would describe them the best, in your opinion?

F. B.: I have sympathy for all of them. I understand Aman Erum’s feeling of suffocation and desire to be free, I can empathise with Sikandar’s fear and his wanting to stay below the radar and I also understand both Hayat’s commitment to duty but also his exhaustion. It’s impossible to say which one is more representative because one feels them all at different points…

5) Now the three female main characters: Zainab, Mina and Samarra. I love Samarra, she’s my favourite, but I appreciated Mina as well. I think they’re all very strong and brave. In your interviews you often talk about warrior women which, in their own way, all the women of the novel are. Would you, please, explain to our readers why a woman has to be a warrior in Pakistan?

F. B.: It’s necessary to survive. In an atmosphere where you have no protection before the law, no safety, and no support then you must fight in order to speak and live freely. I am interested to hear that you liked Samarra, I think she has exactly this spirit of survival. It’s beautiful but it is very hard on the soul to bear sometimes.

6) The character of Samarra focuses the attention on an extremely important doubt: where is the line between the fighting for an ideal and the extremism? It is indeed a weak line and it’s very difficult to define it. In your opinion, how far can one go for ideals and when does one become an extremist?

F. B.: When you begin to lose compassion for others, when your perspective clouds to see only your pain (and you lose the notion that we struggle for ideals because the world is connected and those are ideals are universal) then I think you become isolated and when you are isolated then this line is easier to cross.

7) In your novel you wrote about violence, but you never showed it openly. Why did you choose to avoid violence’s descriptions?

F. B.: That’s an interesting question. I’ve seen a lot of violence in my life and I think the effect of violence is so strong – its power is not in the act itself, but in the memory afterwards, in the suggestion, in the threat of it returning again.

Thank you very much!

Grazie mille a Fatima Bhutto per la sua disponibilità e grazie a Costanza Ciminelli per averci dato questa bellissima opportunità!

 


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