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Ophelia è l´opera di Federico Zaccagni che ho avuto modo di leggere qualche tempo fa (qui la recensione), una storia di cui invero ho letto la prima parte in attesa di iniziare il secondo libro. Ophelia è un personaggio misterioso, è apparenza. Questo senso di mistero e angoscia è accentuato anche dalle visioni dell´Ombra che compare al protagonisti in determinate sensazioni come se volesse guidarlo o meglio vietargli alcune azioni. Un racconto in cui l´amore è vissuto idealmente in maniera perfetta, forse troppo. Così come “troppo” grande è il cambiamento che il protagonista affronta, positivo in apparenza anche questo.
Ma cos´è la felicità? Quante cose possono accadere in una vita che non hai ancora compreso? Ophelia offre diversi spunti riflessivi oltre che regalare passaggi di sesso e amore piuttosto suadenti. Ho avuto il piacere di parlarne con l´autore e vi riporto la nostra interessante chiacchierata su questa storia, forse dopo vorrete saperne di più ed acquistare il libro.
- Chi è Federico Zaccagni? Dicci qualcosa di te.
Sono una persona caratterizzata da una gran curiosità e da una forte immaginazione. Caratteristiche che mi hanno spinto a diventare un precoce e vorace lettore e un altrettanto precoce scrittore di racconti, poesie e romanzi. Per me il termine ‘immaginazione’ mantiene la sua originaria accezione, ovvero ‘magia in azione’, che è accedere al proprio ricchissimo potenziale, non un fantasticare senza scopo. Ritengo la scrittura un potentissimo mezzo per far affiorare parte di questa magia dalle nostre regioni più inconsce. Nella vita sono papà di Vittorio, un vivacissimo bambino di quattro anni, e sono sposato con Anna, la donna eccezionale alla quale ho dedicato Ophelia e colei che mi ha spinto a pubblicarlo dopo anni che se ne stava rinchiuso in un cassetto a maturare (o a far la muffa, a seconda dei punti di vista).
Svolgo la libera professione di Osteopata e Massofisioterapista, un mestiere che amo molto e alla quale affianco da sempre lo studio e la passione per le scienze psicologiche e del comportamento, le neuroscienze, la filosofia e l’esoterismo. Vivo da sempre in Valsusa, in provincia di Torino e amo la montagna, che onoro d’inverno con lo sci e d’estate con frequenti escursioni. Pratico arti marziali, sono un cultore della buona cucina, adoro la musica rock anni Sessanta e Settanta e la classica, come anche il cinema d’autore. Detesto i luoghi troppo affollati e rumorosi e spesso ho un comportamento da ossessivo compulsivo che mi porta a star sveglio fino a notte fonda immerso nella lettura di qualunque argomento desti il mio interesse in quel momento.
- Come è nata l´idea per Ophelia?
L’idea per Ophelia è nata principalmente da una domanda che mi sono posto durante lo studio della psicologia ai tempi del liceo, una domanda che la psichiatria si è posta fin dai suoi inizi: i problemi psichici sono solo una distorsione biochimica del cervello o dietro si cela qualcos’altro? E cosa è effettivamente reale?
Ciò che percepiamo con i nostri sensi non è altro che una minutissima porzione della natura che ci circonda, oltre l’80 per cento di ciò che pensiamo non è roba nostra e in più utilizziamo con consapevolezza in media un cinquantesimo delle nostre possibilità cerebrali e fisiche, ma abbiamo la presunzione di credere che tutto sia sotto il nostro controllo, di avere una risposta a tutto, di essere esseri superiori che piegano le leggi dell’universo a nostro favore quando in realtà non possiamo nemmeno controllare il battito del nostro cuore. Viviamo in un’illusione continua che noi stessi autogeneriamo. Il mio romanzo Ophelia, e il suo seguito, entrano in questo mondo, laddove la mente si chiama mente perché mente. Qui le distorsioni della psiche, le allucinazioni e la messa in discussione di ciò che diamo per scontato si fondono e confondono insieme in una storia apparentemente ordinaria d’amore, di perdita di tutto ciò che si ha e di realizzazione delle proprie ambizioni più sfrenate.
- L’Ombra più che una protagonista e un’antagonista. Nel romanzo appare come una sorta di super-coscienza negativa, una specie di demone custode del protagonista. Non parla con Edoardo, ma gli impone spesso una volontà opposta alla sua, e lo fa inducendogli paure, immagini debilitanti e pensieri limitanti. In realtà la figura dell’Ombra è presente in tutte le culture e in tutti i tempi, dal mito della caverna di Platone, agli archetipi di Jung, è presente nell’arte, in letteratura e in molte favole per bambini. L’Ombra è tutte le nostre paure, i nostri limiti, i conflitti irrisolti, il richiamo verso l’autodistruzione. Ma insieme è la proiezione di qualcosa che è troppo immenso e accecante per essere guardato senza filtri, così come non è possibile guardare direttamente la luce del sole senza danneggiarsi gli occhi.
Penso che uno delle caratteristiche più positive del tuo libro sia quella sensazione di angoscia costante che pervade ogni momento, quella mancanza di stabilità che normalmente ci aspetta dai personaggi. Sei d´accordo? Raccontaci come hai mantenuto questo “oscuro” per tutte le pagine del libro.
Ho scritto la prima stesura del romanzo all’età di diciotto anni, periodo in cui quella forma di angoscia era sicuramente parte integrante del mio essere. All’epoca ero molto affascinato dai poeti maledetti francesi e da ´ le mal de vivre’ che questi esprimevano, una sensazione di angoscia nei riguardi dell’esistenza, un’incapacità di capire il mondo così come viene proposto dalle istituzioni e allo stesso tempo una strana voglia di rivalsa, un’ambizione fortissima di andare a fondo nelle cose alla ricerca del vero, anche a costo di provare un indicibile dolore.Trovo qualche passo surreale, tu giochi con la realtà e l´immaginario, di fatto confondendo il lettore. Era il tuo obiettivo da prima che iniziassi il libro? O ci sei arrivato gradualmente? Sicuramente era il mio obiettivo ancora prima di iniziare il libro. Volevo che il lettore a un certo punto non distinguesse più tra il dentro e il fuori; desideravo rompere gradualmente quel filo che si pone tra immaginario e reale, come se ci si ritrovasse in un costante dormiveglia, dove sogno e realtà, razionalità e pazzia non hanno più alcun confine, ma il tutto mantenendo un’apparenza di normalità, qualunque cosa questa parola significhi.
- Hai un personaggio preferito? Perchè?
Di sicuro il mio personaggio preferito è Edoardo, il protagonista. Per chi se lo chiedesse no, non sono io, ma di sicuro ha molto di me, anche se in molti casi è il mio opposto e in altri frangenti come avrei voluto essere. Ciò che me lo rende preferito è la capacità che ha di rimanere se stesso sempre, in ogni situazione della vita, con un invidiabile distacco da ciò che è ritenuto indispensabile dai più. Ho come l’impressione che sia un personaggio in grado di trasmutare ogni cosa nella sua esistenza, come se possedesse in se un qualche dono alchemico, che intuisce ma che non ha ancora imparato a gestire.Ophelia é il personaggio più enigmatico. Se dovessi usare due aggettivi per descriverla quali sarebbero?
- Ti sei ispirato a qualche scrittore?
Sì, devo molto della mia ispirazione a Stephen King, Dean Koontz, Christopher Fowler, ma in maniera più sottile anche a Francesco Guccini, per l’ispirazione datami dai testi delle sue canzoni e da certe atmosfere di alcuni suoi romanzi (il nome Ophelia è un omaggio alla sua omonima canzone.)
- Mistero, amore: dici le percentuali in cui sono presenti nel tuo libro (e aggiungi un´altra caratteristica se lo desideri).
Nel romanzo ci sono mescolati vari generi: c’è del giallo, dell’horror, del thriller, una storia d’amore e dell’esoterismo, ma in sostanza tutti questi sono elementi di mistero. Oserei quindi dire che è mistero al cento per cento, il mistero dell’amore, del tempo e della morte.
Potente e surreale, un incrocio tra la dinamite e una droga psichedelica.
- Ophelia è solo la prima parte, puoi dirci come mai hai scelto di dividerla?
Ophelia è stato concepito come un unico romanzo. Quella di dividerlo in due parti è stata un’idea nonché una condizione dell’editore. Per me Ophelia e Ophelia 2 rimangono un’unica storia che vorrei tornasse in edizioni future a essere edita in un solo libro. Questa scelta è stata dettata dalla lunghezza dell’opera originale, dalla sua difficile collocazione in un genere letterario in quanto non rientrante in nessuna categoria narrativa preimpostata, e dalla volontà di creare una suspense nella suspense, come una sorta di feuilleton.
- Spesso scrivere nasce da un´esigenza. É stato così anche per te?
Quando ho l’ispirazione e non scrivo, in prosa o in poesia, sono come il tappo di una bottiglia di spumante, potrei esplodere da un momento all’altro travolto dal mio stesso contenuto. Quindi direi che è un’esigenza, una di quelle esigenze da ladri, fatte spesso di notte e rubando ore al sonno. Ma anche una terapia indispensabile per scoprire me stesso e necessaria a sfogare gli istinti più indomabili.
- Dicci una soddisfazione che hai avuto scrivendo e facendo leggere questa storia in due atti.
La pubblicazione di quest’opera è stata molto travagliata, vari editori vi erano interessati ma non riuscivano a inquadrarla in un filone predefinito, fatto che ha portato a propormi vari tipi di cambiamenti che non condividevo affatto e a ritardarne l’uscita. Alla fine, sebbene in due parti, la storia è stata pubblicata così come l’avevo ideata e scritta. Una grossa soddisfazione è stata l’interesse che molti lettori mi hanno mostrato nel voler leggere la seconda parte dopo l’uscita della prima, qualcuno riferendomi che l’attesa è stata persino snervante. Un’altra enorme soddisfazione è stata quella di riuscire a pubblicare una propria opera prima fuori da filoni narrativi predefiniti senza scendere a compromessi e in un mercato editoriale in grossa crisi.