Il Bosco Fuori (2006). Occorre poco più del titolo del suo primo film per inquadrare e riconoscere Gabriele Albanesi, classe 1978, a tutti gli effetti enfant-terrible del cinema di genere italiano. Regista, sceneggiatore e persino produttore che, grazie al suo primo lungometraggio, ha attraversato l’oceano conquistando la Ghost House Underground di Sam Raimi, il quale, in collaborazione con la Lionsgate, ha distribuito negli USA la pellicola in questione. La stessa in grado di guadagnarsi, nel 2008, un posto al sole nella top ten dei migliori film horror dell’anno all’interno della classifica redatta dalla prestigiosa rivista statunitense BloodyDisgusting. Un lusso per pochi, sugli allori del quale Albanesi non si è di certo adagiato. Ora che la sua seconda fatica Ubaldo Terzani Horror Show (2011) è divenuta realtà, l’abbiamo incontrato, per una chiacchierata a base di cinema e non solo…
Gabriele Albanesi: regista, sceneggiatore e produttore. Animo tuttofare o necessità alla quale giocoforza adattarsi per sopravvivere come professionista nel cinema italiano?
Quando si inizia a fare cinema è praticamente obbligatorio cimentarsi con la produzione, semplicemente perché si inizia sempre auto producendo i propri film. Resto molto interessato a quest’ambito, come nel caso di Fantasmi – Italian Ghost Stories (2011), film ad episodi che ho prodotto e che verrà distribuito dalla One Eyed Films. Inoltre, dopo due film all’attivo, vorrei, per il prossimo, essere maggiormente presente nella parte produttiva, perché ciò permette ad un regista di sentire ancora più suo il film che andrà a fare. Diverso il discorso relativo alle sceneggiature. La scrittura è una passione che mi accompagna da tempo, praticamente dall’infanzia e che negli anni si è raffinata portandomi dai racconti che mi dilettavo a scrivere da adolescente ad occuparmi in prima persona delle sceneggiature dei miei film, elemento quest’ultimo che reputo fondamentale nell’economia di una buona riuscita della pellicola.
Braccati (2001), L’Armadio (2002) e Mummie (2003) sono i tre cortometraggi che hai utilizzato come “biglietto da visita”. Quella del corto è una formula che da naturale palestra blocca sempre di più i giovani registi, come mai?
Sono pochi i registi, giovani e non, che sanno dare la giusta importanza alla sceneggiatura. Saper scrivere delle buone storie è fondamentale tanto quanto saperle girare. Nessun produttore bussa alla porta dei registi quando iniziano a muovere i primi passi nel cinema, bisogna presentarsi di fronte a queste figure con in mano delle storie che funzionino, che possano diventare dei buoni film; sceneggiare un film è molto più difficile rispetto ad un cortometraggio, ecco perché in molti restano bloccati in quella che dovrebbe essere solo una palestra di formazione creativa, non riuscendo, di conseguenza, a passare allo step successivo: il lungometraggio.
Torniamo al Bosco Fuori, in che modo e con quali intenzioni è stato concepito il film che ti ha dato popolarità e visibilità anche all’estero?
È un progetto nato con la volontà di tornare ad offrire un prodotto, come quello horror italiano, che all’epoca non era più tanto in voga. Volevo, insomma, scuotere un po’ le acque, girare un film sanguigno nell’accezione prevalentemente passionale del termine. I risultati mi hanno dato ragione, ma non mi aspettavo di certo tanto interesse per il film e soprattutto mai avrei pensato di riscontrare la considerazione trovata all’estero.
Una volta acquistato dalla Ghost House di Raimi il film ti è sfuggito un po’ di mano?
Il film è stato doppiato a loro spese e la qualità generale ne ha risentito, soprattutto perché è stata cancellata quella base dialettale e regionale dei dialoghi, elemento portante per la comprensione d’insieme della pellicola. Non è un caso che molte delle recensioni americane nelle quali mi sono imbattuto giudichino come non riuscito proprio il doppiaggio, lodando invece tutti gli altri aspetti del film; ma è una lacuna che è stata colmata dal doppio audio nella versione dvd. Certamente il film mi è un po’ sfuggito di mano, ma ogni sensazione negativa è stata eliminata dall’inaspettato successo che ha ottenuto.
Sia il Bosco Fuori che Ubaldo Terzani Horror Show possono essere definiti due horror tradizionali, quasi classici nella loro struttura, alla quale non manca un pizzico di sano citazionismo che denota una preparata cinefilia. Ti ritrovi in questa definizione?
È un’analisi d’insieme che condivido. I miei film risultano classici e tradizionali semplicemente perché ogni storia è impostata su una struttura di tre atti; c’è una semplicità di fondo, finalizzata a mettere in scena racconti universalmente condivisibili da un pubblico non solo italiano, che deriva direttamente dalla scuola dei grandi generi americani. Tutto nasce dalla sceneggiatura, all’interno della quale non manca mai un pizzico di sano citazionismo che deriva dalla mia cinefilia: prima che regista, infatti, mi reputo un grande appassionato di cinema.
Cinema horror a parte, quali sono i film che ti hanno maggiormente colpito da spettatore?
Arancia meccanica (1971), C’era una volta il west (1968), La Conversazione (1974), Il Fantasma del palcoscenico (1974), Kill Bill (2003). Mentre per quanto riguarda i registi non posso non citare Dario Argento come principale fonte d’ispirazione, un autore che personalmente reputo superiore a qualunque suo collega, compresi mostri sacri quali George Romero e John Carpenter. Assieme ad Argento, infine, ho sempre avuto una predilezione per Polanski, Cronenberg, Murnau e De Palma.
Ubaldo Terzani Horror Show è un film dichiaratamente personale; quanto hanno pesato alcune tue esperienze nello sviluppo della sceneggiatura?
L’idea del film nasce dalla mancata collaborazione con lo scrittore Eraldo Baldini, del quale sono un grande e appassionato lettore. Nel 2003 mi recai a Ravenna per iniziare a lavorare ad un progetto assieme a lui: l’idea era quella di scrivere una sceneggiatura da trasformare in un film, ma a malincuore per entrambi tutto si risolse con un nulla di fatto. Da lì nacque l’idea di un film che avesse come base d’ispirazione Misery (1990) e La metà oscura (1993), sostenuto dalla malefica psiche di uno scrittore di romanzi horror, talmente malvagio e influente da plagiare la giovane mente mandata da un produttore a collaborare con lui. Naturalmente le mie giornate di lavoro con Baldini sono state totalmente diverse dalla storia raccontata in un Ubaldo Terzani Horror Show.
In Ubaldo Terzani Horror Show appare evidente l’omaggio a Tiziano Sclavi. Come mai tanto dichiarato amore artistico nei confronti di questa figura?
Sono un grande fan di Sclavi, praticamente da sempre. Ho letto tutti i suoi libri, alcuni dei quali sono ormai introvabili. Ubaldo Terzani Horror Show è un film molto sclaviano, non solo per quanto riguarda l’esposizione di alcuni numeri di Dylan Dog o i riferimenti alla casa editrice Camunia, ma soprattutto nell’animo di una storia che rimanda a quell’immaginario: onirico, inquietante e citazionista, che ha sempre caratterizzato i romanzi e le sceneggiature di Sclavi. Durante la pre produzione avevamo addirittura pensato di far disegnare le copertine dei libri di Ubaldo Terzani da Angelo Stano, purtroppo non è stato possibile.
Hai già citato due scrittori, Baldini e Sclavi, ce ne sono altri ai quali ti senti legato? Intendo non solo artisticamente ma anche solo dal semplice punto di vista di un consumatore di letteratura…
Su tutti Stephen King, Edgar Allan Poe e Niccolò Ammaniti. Mi piacciono molto i racconti di Dino Buzzati e non dimenticherei Il Pendolo di Umberto Eco.
Secondo te è corretto definire Il Bosco fuori un film di pancia e Ubaldo Terzani Horror Show un film di testa?
Sono due film diversi tra loro e Ubaldo Terzani Horror Show è senza dubbio un film più curato, tanto nelle psicologie quanto nei personaggi. Il Bosco fuori è più emotivo, sotto tanti aspetti meno ragionato di Ubaldo Terzani Horror Show, che è qualcosa in più di uno slasher, quasi una guerriglia psicologica durante la lavorazione del quale c’è stata molta più attenzione intorno alla definizione dei tratti caratteriali dei personaggi. Allo stesso tempo è un film meno commerciale e decisamente meno collocabile del primo.
Giuseppe Soleri e Paolo Sassanelli sono i due protagonisti di Ubaldo Terzani Horror Show. Quanto di Gabriele Albanesi c’è nell’interpretazione del primo e come hai impostato il ruolo del secondo, lontanissimo dalle atmosfere familiari e televisive che ne hanno fin qui contraddistinto la carriera.
Entrambi non hanno avuto difficoltà a calarsi nelle atmosfere del film, tutti e due si sono trovati a loro agio anche nelle sequenze maggiormente splatter, arrivando addirittura a chiedere di aggiungere maggior quantità di sangue. Giuseppe ha capito fin da subito quanto di autobiografico ci fosse nel suo personaggio e ha più volte ripetuto di aver spiato e studiato me prima e durante le riprese. Paolo invece è stato scelto dai Manetti Bros e credo che alla base del suo si ci fosse effettivamente la voglia di depistare il pubblico o quantomeno di cimentarsi con un ruolo lontanissimo dalle sue abituali interpretazioni. Da parte mia non posso dire altro se non di essere enormemente soddisfatto delle performance di entrambi.
La sequenza iniziale di Ubaldo Terzani Horror Show è un cocktail di autoironia e dissacrante denuncia verso gli usi e costumi di alcune produzioni italiane, concordi?
Il personaggio di Giuseppe incassa nella fantasia una risposta con la quale qualunque giovane regista si vedrebbe costretto a fare i conti nella realtà, ma nell’incipit del film non c’è nessuna volontà di denunciare alcuna situazione particolare, bensì l’obiettivo di partire in maniera spiazzante, quasi ci si trovasse all’interno di un dialogo da commedia satirica. Un modo come un altro per sottolineare peso e importanza della sceneggiatura.
Dopo due film a curriculum e la recente esperienza da produttore cosa si aspetta Gabriele Albanesi dal futuro non solo prossimo. Insomma, se dovessi chiudere gli occhi e sognare più o meno in grande quale desiderio esprimeresti?
Mi piacerebbe molto dirigere un grande storia, magari adattando per il grande schermo un romanzo di grande respiro, che non sia necessariamente horror. Volendo fare un paragone illustre qualcosa di simile all’operazione effettuata da Quentin Tarantino con Jackie Brown (1997).
Luca Lombardini