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Intervista a Gioacchino Criaco

Da Lidiazitara @LidiaZitara

da “Riviera” 26 settembre 2015

anime nere
Non ha bisogno di presentazioni Gioacchino Criaco, autore del romanzo da cui è stato tratto il capolavoro di Munzi, pluripremiato ai David di Donatello.
Ai molti che l’hanno conosciuto dopo il suo successo con Anime Nere (Rubbettino Editore), ricordiamo volentieri che Criaco è stato collaboratore di questa testata, che ha visto pubblicati numerosi suoi articoli e racconti in un fertile periodo sotto la direzione di Pasquino Crupi.
In vista dell’uscita del suo nuovo romanzo Il saltozoppo edito da Feltrinelli, su cui per ora si impone un certo “mistero” editoriale, abbiamo avuto il piacere di sentire qualche sua opinione riguardo alla Calabria.

È proprio vero, come dicono in molti, che il problema più grave della Calabria è la ‘ndrangheta?

Lo ripeto ormai da otto anni: la ‘ndrangheta è un alibi per celare problemi più vasti e complessi, interessi che si interlacciano tra loro, frutto sì di disegni più ampi, ma anche di noncuranza, di un male molto più esteso. Questo non significa che la ‘ndrangheta non esista o che non sia un problema. Ma significa che è un fenomeno che trova le sue basi in una società disfunzionale, che non offre opportunità di lavoro o di una vita in cui il cittadino si senta davvero custodito e protetto dalle autorità. Una società che potremmo definire “normale”, in cui, evidentemente, l’incidenza di fenomeni malavitosi è necessariamente minore.
Fino a che non ci sarà un progetto coeso per la definizione e la risoluzione dei problemi del Sud, e dunque una classe politica competente, positiva e attiva, non ci sarà alcun cambiamento vero, solo “politichese” in mille versioni.

Tuttavia sono stati espressi dei progetti riguardo ad una rinascita politica del Sud, e mi riferisco al Separatismo.

Io vorrei un mondo senza barriere e senza confini, tra l’altro sono un uomo del popolo, e ritengo che il popolo si sia trovato sempre male sotto qualsiasi regnante. È chiaro che i nostri problemi locali sono così forti che circoscriverli aiuterebbe quantomeno a comprenderne la natura, ma per farlo occorre una fortissima autonomia, e con autonomia non intendo solo una autonomia politica, ma economica e soprattutto di pensiero e di capacità analitica. Un governo locale dovrebbe essere molto forte: una separazione non condurrebbe in automatico alla risoluzione dei problemi. Ma per fare questo c’è bisogno di non una, ma di molte voci autorevoli, e in giro non c’è proprio nulla di autorevole. Ci vuole una classe politica calabrese che prima definisca i nostri problemi e poi le linee per risolverli. In realtà noi non abbiamo neanche capito quali sono i nostri veri problemi, e abbiamo un disperato bisogno di qualcuno che ce li spieghi per poterli affrontare.

Dobbiamo essere grati a quel tipo di saggistica che ora incontra un vivace riscontro di pubblico, che ha spiegato le “ragioni del Sud”?

Che l’Unità d’Italia non sia stata ciò che si racconta è ormai accertato. Ma spesso la verità è nel mezzo. Molti di questi libri contengono errori, falsi storici. Noi dobbiamo recuperare l’autentico fatto storico, documentato, e non cavalcare un’onda editoriale per un vantaggio economico personale. Non tutti hanno le competenze di chi ha speso una vita per studiare i problemi storici ed economici del Sud, anzi, spesso sono scrittori improvvisati, che caricano i loro libri di revanchismo e sfruttano l’ideale dell’ “orgoglio meridionale” come si farebbe con frusta e cavallo. Così siamo fregati due volte, perché queste cose ci ritornano addosso come un boomerang.

Dopo l’ultimo rapporto Svimez, credi che ci sia ancora una speranza?

La cosa che mi spaventa di più sono le previsioni sull’emigrazione: se è vero che nei prossimi vent’anni 400.000 calabresi emigreranno, noi non esisteremo più come etnia.

A tuo parere l’impoverimento del Sud, e il suo probabile futuro annientamento, fa parte di un disegno più esteso o si tratta di concause accidentali?

Si sono intersecate delle cause: c’è insipienza, negligenza, molta più ingenuità di quanto crediamo, ma anche interessi specifici. Ci hanno più volte detto che per il Nord siamo una zavorra, che il Nord sarebbe un grande paese, che primeggerebbe economicamente in tutto il globo, se non fosse per il Sud. Ma la verità è che il Nord non sarebbe neanche esistito se non fosse stato per il Sud, per la forza lavoro che ha letteralmente costruito il loro “miracolo economico”. Senza di noi non sarebbero nulla. Ovviamente c’è chi ha sostenuto questa ideologia politica, in perfetta malafede, affidando ai poteri locali meridionali il compito di trasformare il Sud in ciò che si voleva far vedere dall’esterno.

Più volte abbiamo sentito dire, e constatato noi stessi, come a livello televisivo la Calabria non conti nulla (quando in TV passa un documentario sulla Calabria si grida al miracolo e i social fanno battage). Mentre a livello letterario c’è molto più fermento. Tuttavia le storie più apprezzate rimangono quelle attinenti al tema della malavita, della mafia, della ‘ndrangheta. La cosa ti sorprende, ti infastidisce? Che opinione ti sei fatto in proposito?

Non ho nessuna opinione, ne prendo atto e basta. Spiegare un territorio dipende anche dalle capacità economiche e politiche di quel territorio, soprattutto evidenziarne il meglio. Noi non abbiamo forza giornalistica tale da poter scrivere un libro su un argomento qualunque. Dobbiamo basarci sulle eccellenze personali, individuali, che ci sono e hanno evidente difficoltà ad emergere. In venti anni l’unica cosa che ha interessato l’Italia è stata la ‘ndrangheta, perché di questo la Calabria doveva essere specchio. Tutto il resto è fuori, quindi sei fuori dal mercato. Allora è necessario usare i pochi strumenti in nostro possesso, uniti alla fantasia, e a calare pensieri, idee universali in un contesto che interessa agli altri. In questo modo diciamo quello che piace, ma diciamo anche quello che vogliamo.

Un’ultima domanda più pratica: sei uno scrittore che crede più al duro lavoro (alla scrivania dalle nove alle sette, come dice Stephen King) o alla fantasia di De Gregori (“non aver paura di sbagliare un calcio di rigore”).

Tutte e due le cose. Il genio e la fatica si devono unire. Scrivere e riscrivere e aspettare o cogliere l’attimo della genialità.

criaco


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