Prima d’ogni altra cosa, desidero ringraziarti, Giuliano Pasini, per averci accordato un po’ del tuo tempo. Ben arrivato!
Il 6 gennaio è uscito in libreria “Venti Corpi Nella Neve” il tuo romanzo d’esordio. Immagino che sia una grande emozione per te. L’avverarsi di sogno costato sicuramente sacrifici e impegno. Quanto ti senti diverso ora che si è realizzato?
Sinceramente, vivo una sorta di dissociazione. Penso che sia un caso di omonimia, che il nome sulla copertina sia come il mio, ma non il mio. Quindi sono estremamente sereno. Questo di giorno. Di notte è un altro discorso, il subconscio si deve essere accorto di qualcosa, perché mi sveglio di colpo e fatico a riprendere sonno…
Cosa provi quando ti trovi al cospetto dei tuoi lettori?
Sapere che qualcuno ha voglia di leggere la storia che avevo voglia di raccontare be’… non ha prezzo.
Hai dedicato il tuo romanzo a Sara, tua moglie. Quanto è importante per uno scrittore sentirsi supportato da chi gli sta accanto?
Per me è stato fondamentale. Prima di tutto, conoscere mia moglie mi ha completato come persona. E’ solo grazie a lei che ho trovato la costanza necessaria per mettere la sveglia alle cinque tutte le mattine per scrivere le mie storie. Poi, il suo sostegno non mi è mai mancato, sveglia dopo sveglia. Altrimenti sarebbe stata davvero dura. Da solo non ce l’avrei fatta.
Di te si legge che sei un buon conoscitore di musica, di cinema e di enogastronomia. Quanto di te hai riversato nel tuo protagonista, Roberto Serra?
Partendo dal presupposto che, secondo me, non è possibile scrivere altro che di se stessi (anche se cerca di oggettivare una descrizione o un avvenimento, l’autore lo mostra al lettore attraverso la propria visione del mondo), Roberto ha poco o nulla a che vedere con me. Condividiamo alcune passioni (non tutte, Roberto non è mai andato al cinema in vita sua!), ma di solito a lui riescono meglio le cose. Invidio, ad esempio, la sua padronanza enciclopedica dei cantautori italiani. Roberto è un amico che ho imparato a conoscere a poco a poco. Ci siamo studiati, osservati, annusati. Anche se fa sempre di testa sua, alla fine mi ci sono affezionato. Un caffè con lui, però, non lo prenderei. Non bevo quella brodaglia all’americana, io.
Hai dichiarato che scrivendo “Venti corpi nella neve” hai pagato un debito morale che sentivi di avere con la tua terra e con la storia della tua famiglia. Un po’ come se questo libro fosse una rivalsa nei confronti di chi ha causato tanta sofferenza. E’ così che lo consideri? Una sorta di riscatto morale?
Mi sentivo come se avessi una sorta di conto in sospeso con chi ha causato quella sofferenza. Ho letto molto riguardo alla storia della seconda guerra mondiale. Sia quella grande degli eserciti che quella minuta della gente comune. La parte d’Appennino in cui sono nato ha vissuto una stagione terribile durante l’ultimo, inutile inverno del conflitto. La Linea Gotica passava proprio da quelle parti. Donne, vecchi e bambini hanno pagato un prezzo tremendo. Prima, tutti gli adulti in grado di combattere erano partiti per un qualche fronte. Poi, la guerra era arrivata a casa loro, quando ormai erano allo stremo e non avevano più nulla. E’ stato in quel periodo che sono stati perpetrati i più crudeli eccidi. Quelli che pochi conoscono e che io vorrei non venissero dimenticatimai.
Il tuo thriller affonda dunque le sue radici nella dura storia della resistenza. Hai appena dichiarato di esserti documentato studiando testi storici, so però che hai anche sostenuto che la forza e la veridicità del tuo romanzo derivano sostanzialmente dalle testimonianze dirette di persone a te care, alcune delle quali oggi purtroppo non ci sono più. Dunque hai dato voce, oltre che alla storia scritta, anche a chi voce oggi non ne ha. Quale delle due testimonianze ti ha stimolato di più durante la stesura di “Venti corpi nella neve”?
Non sono uno storico ma provo ad essere un narratore. Per cui ho preferito le testimonianze dirette delle persone. Sia quelle – straordinarie – riportate da Enzo Biagi che quelle della mia famiglia. Mia madre aveva otto anni a fine 1944. Era la più piccola di una famiglia molto numerosa, eppure fu l’unica a restare coi genitori. Tutti i fratelli e le sorelle erano arruolati, alla macchia, rapiti, prigionieri. In qualche modo scomparsi. Case Rosse non esiste ma può essere paradigma di qualsiasi paese dell’Appennino che ha vissuto quei momenti. Un eccidio simile a quello del Prà grand descritto in “Venti corpi nella neve” è avvenuto a Boschi di Ciano, vicino a Zocca, mio paese di origine. Lì furono impiccati venti civili per una rappresaglia pare provocata, in realtà, da faide interne alle forze nazi-fasciste. Mio padre mi raccontò che per fabbricare i cappi, lo “squadrone della morte” comandato da Enrico Zanarini utilizzò il fil di ferro che teneva assieme le balle di fieno. Non ho trovato riscontri nei testi ma ho mantenuto il particolare. Il mio obiettivo era perpetrare la memoria e quindi ho fatto prevalere il ricordo.
C’è qualcosa che avresti voluto accadesse nel romanzo, ma che o uno o più personaggi non ti hanno permesso di concretizzare? Alcuni personaggi, si sa, quando sono così veri e hanno un carattere forte, vivono di vita propria arrivando a prendere il sopravvento anche sulle intenzioni dell’autore. E’ il caso di Roberto Serra o di qualcun altro dei tuoi protagonisti? Chi ti ha dato più filo da torcere?
Giusto. Fare lo scrittore, diceva qualcuno, è essere come un dio: si creano i personaggi e si fa far loro ciò che si vuole. Nulla di più falso! Roberto è un testone, ma la peggiore è Alice Capelveneri, senza dubbio. Una vera peste. Non ha fatto ammattire solo Roberto con la sua volubilità e il suo carattere impulsivo. Anche io ne ho fatto le spese. Da quel che posso notare dalle prime pagine del seguito che sto scrivendo, non ha ancora finito di tormentarci!
Quindi ci stai confermando le voci secondo le quali darai un seguito alle avventure investigative di Serra. Si vocifera che tu abbia intenzione di far lasciare al tuo protagonista Case Rosse e spingerlo ad accettare un trasferimento in Veneto. Confermi questo proposito? Sei certo che Serra accetterà il trasferimento?
Dopo aver pagato il debito con la mia terra di origine, credo sia giusto andare a vedere se anche la terra che mi ha adottato dieci anni fa nasconde qualche segreto. Sono fiducioso che Roberto mi seguirà!
Dedicherai le tue forze e il suo ingegno al servizio esclusivo di questo personaggio oppure hai in mente altri progetti letterari?
Non vorrei cristallizzarmi su Serra. Ho nel cassetto un altro thriller con ambientazione e trama completamente diverse rispetto a “Venti corpi nella neve”. Credo anche sarebbe di grande attualità. Mai dire mai, dunque.
Cos’altro dire? Di domande ne avrei ancora, ma non sarebbe corretto da parte mia approfittare ulteriormente della tua disponibilità. Ti ringrazio e Ti auguro buon lavoro.
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