“La mia pittura è un inno all’incertezza.” Spietato interprete di un’umanità perduta, disillusa e degenere, devastata dal vizio e dalla follia, Giuliano Sale (Cagliari, 1977. Vive e lavora a Milano) affonda le radici nelle più profonde ossessioni del genere umano prediligendo soggetti sinistri, esseri dallo sguardo alienato e dagli arti nodosi, spesso deformi. Ritratto e paesaggio sono congeniali a sviscerare i mostri dell’immaginario collettivo, a delineare il lato più oscuro dell’esistenza con feroce cinismo e spirito dissacrante. Tra cupe atmosfere, scenari tenebrosi e paesaggi silvestri ingannevoli – poiché luoghi del non ritorno -, attinge al simbolismo nordeuropeo quanto ai maestri del passato, come Rembrandt, e a quelli contemporanei che da Lucian Freud arrivano a John Currin. Sublime e ambigua, febbrile e mistificante, la pittura di Giuliano Sale esplora il dramma dell’esistenza umana che si consuma inconsapevolmente nonostante l’incombere di una catastrofe annunciata.Da quali punti fermi origina la tua ricerca pittorica e come si sviluppa?Quale ricerca? Io non cerco niente. Ho tutto a portata di mano.In quale ambito ti identifichi meglio: ritratto o paesaggio?Non penso che alla fine faccia molta differenza, lavoro indistintamente in tutti e due i casi. Quando odio le persone dipingo paesaggi e quando odio le persone dipingo le persone. A parte gli scherzi non mi pongo mai il problema di quello che devo fare. Faccio praticamente quello che voglio.Cosa t’interessa di più della realtà che ti circonda?Il vuoto.A quali artisti guardi maggiormente?Cambio spesso “amori” e “passioni” sia nella vita che nell’arte. Mi annoio molto facilmente.In questo momento mi piace guardare con ammirazione George Condo, Christoph Ruckhäberle e Nicole Eisenman.Un pregio e un difettoOnestamente vizioso.Vivi a Milano da diversi anni. In cosa si differenzia l’ambito artistico sardo da quello milanese?Sardegna: mare, nuraghe, sole, pane carasau, mammutones, pecore, Costa smeralda, estate, miniere, rapimenti, porceddu, vacanze, permalosi, Mellissa Satta, pochi soldi. Milano: Naviglio, Duomo, smog, aperitivo, tram, area c, fabbrichetta, fighenzia, Andrea Pinketts, moda, kebab a poco prezzo, Va scuà l mar cun vert l’umbrela, suv, un po più di soldi.Quali mostre ti hanno dato più soddisfazione?Penso le ultime due, la personale alla Catania Art Gallery “Cadono Pietre” e quest’ultima mini personale nello spazio “Little Circus” da Antonio Colombo, dal titolo “Happiness is a warm gun”, un progetto piccolo realizzato in assoluta “leggerezza”, quindi potente e sincero.Quali sono le tue gallerie di appartenenza?Per adesso le principali sono Antonio Colombo Artecontemporanea e Area b a Milano, Catania Art Gallery di Catania, Rivaartecontemporanea di Lecce e il L.E.M di Sassari.Una breve frase che definisca la tua personalità.Onestamente vizioso.Sei un amante del cinema. Quali film hanno lasciato un segno nella tua vita e nella tua attività pittorica?Potrei citarne un’infinità. Se vogliamo parlare proprio di “ispirazione” (che parola noiosa) direi un qualsiasi film di Tarkovsky ma, come detto prima, non faccio distinzione tra vita e arte. Quindi potrei dire che i film che potrei guardare anche 100 volte di seguito sono “Il ritorno” di Andrey Zvyagintsev, “il Cattivo Tenente” di Abel Ferrara e “Smoke” di Wayne Wang. Inutile dire che Arancia Meccanica potrei recitarlo a memoria come una preghierina prima di andare a nanna.Un artista sopravvalutato e uno sottovalutatoPurtroppo l’arte contemporanea è a mio avviso al 90% moda e potere quindi dobbiamo solo attendere il momento giusto sia per gli artisti sopravalutati che per quelli sottovalutati. Dai aspetta, un nome lo voglio fare comunque. Uno che non mi è mai piaciuto è Jackson Pollock, ma sicuramente come amico di bicchiere sarebbe stato perfetto.A quale progetto lavori in questo momento e quali sono quelli futuri?Rispondo con la classica frase banale che usano in molti per pararsi la faccia. Ho tante cose in cantiere ma non ne parlo per scaramanzia.
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