Da “vibrisse.wordpress.com” è inoltre possibile scaricare gratuitamente alcune sue opere, tra cui il testo “(Non) un corso di scrittura e narrazione” disponibile a questo link.
Dopo aver dato un’occhiata al nostro sito, Giulio Mozzi si è reso disponibile a rispondere alle nostre domande. Lo ringraziamo ancora una volta per la sua disponibilità.
Tutto su Giulio Mozzi
Ed ecco l’intervista:1) Lei gestisce un blog online dal lontano 2000. Lo ritiene più uno strumento utile per farsi pubblicità, oppure un buon canale per scovare validi scrittori?
Giulio Mozzi: Per la precisione: il bollettino vibrisse nasce come lettera circolare nell’agosto del 2000. Nel 2004 diventa un blog.
All’inizio il suo scopo era: tenere i contatti con le persone che via via incrociavo in corsi e laboratori di scrittura (“creativa” e non). Nel tempo ha cambiato contenuti e scopi.
Per i primi due-tre anni ha soprattutto seguito il nascere (e il proliferare) delle iniziative didattiche.
Poi è diventato un luogo nel quale molti “consumatori di cultura” hanno fatta l’esperienza di diventare “produttori di lettura” (nella prima fase-blog, vibrisse era un blog molto collettivo).
Poi è diventato un luogo nel quale, abbastanza in solitudine, tentavo di ragionare sulle trasformazioni del linguaggio pubblico (spesso: politico) italiano; una sorta di pronto soccorso retorico.
Attualmente è un luogo di giocosa sperimentazione tra il poetico e il narrativo.
Vabbè: in vibrisse si dà notizia dei miei corsi. In vibrisse c’è una scheda nella quale si spiega come una persona che aspiri alla pubblicazione può rivolgersi a me. Non è quello l’essenziale.
2) Lei dice di non saper scrivere romanzi. E infatti la sua produzione letteraria è principalmente incentrata su raccolte di racconti, libri d’attualità e corsi di scrittura. Credo sia in buona compagnia. Ma scrivere un racconto è davvero più semplice che non scrivere un romanzo?
G. M.: Mi pare che cucinare la pasta al forno (senza comprare la besciamella già pronta, ovviamente) non sia più semplice o più difficile che fare una torta margherita. Tuttavia, le mie paste al forno sono buone e le mie torte margherite sono deludenti.
Non è questione di “facile”, “difficile”, “semplice”, “complicato”. È che a uno gli è adatta la forma-racconto, a un altro la forma-romanzo, a un altro ancora la forma-sonetto, eccetera.
3) Si dice in giro che la sua disponibilità sia proverbiale. Gestisce un blog e risponde ai commentatori, ha messo a disposizione la sua email, il suo indirizzo e persino il suo numero di telefono. Sembra rispondere a tutti, legge i testi che le vengono inviati (spiegando, però, come fare http://vibrisse.wordpress.com/2011/03/07/istruzioni-per-mandare-opere-dattiloscritt-a-giulio-mozzi/), ha rilasciato dei testi gratuiti (qui http://vibrisse.wordpress.com/libri-gratis/) e un videocorso di narrazione (http://vibrisse.wordpress.com/inventare-e-raccontare-storie/). Dove trova il tempo, ma soprattutto: si sente ripagato per tutto il lavoro che fa?
G. M.: Diciamo che, più che “ripagato”, sono “pagato”. Einaudi mi stipendia perché legga tutto quello che mi càpita a tiro. Se voglio ricevere testi devo – è ovvio – rendermi reperibile. Non rispondo però a “tutti”: rispondo a chi mi manda cose che mi sembrino interessanti.
4) Spesso gli autori esordienti sono criticati dagli editori: inviano pessime opere, sgrammaticate, hanno un ego smisurato e non accettano critiche. Sottoscriverebbe tali affermazioni, oppure la sua esperienza in merito è più positiva?
G. M.: Immagino che la domanda riguardi non gli “esordienti” (cioè coloro che hanno pubblicata la loro prima opera) ma gli “aspiranti”.
In effetti, nove su dieci dei testi che ricevo sono molto brutti. La cosa che mi stupisce di più è che spesso gli autori non sembrano rendersene minimamente conto.
D’altra parte: se pensiamo che di tutti i romanzi pubblicati in Italia nel’Ottocento ne sono sopravvissuti, a conti fatti, tre in tutto (Ortis, Promessi sposi, Confessioni di un italiano), dobbiamo accettare l’idea che molti ci provano, pochi riescono.
5) Quanti autori esordienti ha scoperto grazie al suo lavoro? Quanti di loro hanno pubblicato? Su cento autori quanti passano le sue “selezioni”?
G. M.: Gli autori “esordienti” non hanno bisogno di essere “scoperti”: sono pubblicati.
Ho avuto l’onore di essere il primo (o quasi) lettore, e di avere in vario modo accompagnato nella prima pubblicazione, tra gli altri: Vitaliano Trevisan, Mariolina Venezia, Tullio Avoledo, Alberto Garlini, Nicola Gardini, Alessandra Sarchi, Enrico Macioci e altri.
Ci sono alcuni autori che ritengo ottimi e non sono riuscito a portare alla pubblicazione. Ma insisto.
Leggo ogni anno circa milleduecento lavori; una decina dei quali interessanti; un paio, forse tre degni subito di pubblicazione.
6) Nel suo libro gratuito (Non) un corso di scrittura creativa lei scrive:
“Una storia, dunque, si può scrivere una volta che si siano decise due cose: prima cosa, qual è il conflitto alla base della storia stessa; seconda cosa, qual è la voce che racconta la storia.”
Quando si inizia a scrivere un libro secondo lei la trama deve essere già ben definita nella testa dell’autore? Oppure basta l’idea? Quanto conta, infine, l’originalità dell’idea per il successo di un libro?
G. M.: Tra l’ “idea” e la “trama” c’è un sacco di cose. Quale sia il conflitto alla base della storia, dev’essere ben chiaro – se possibile – fin dall’inizio. La costruzione della trama è poi un lavoro da meccanici: in un certo senso è la parte più divertente, ma è anche quella meno necessaria. Una trama può essere rivoluzionata facilmente.
La cosa difficile davvero è: mettere a fuoco la “voce che racconta la storia”. Ossia riuscire a immaginare quale immaginazione si farà il lettore del soggetto che racconta la storia (quello che i narratologi chiamano “il narratore”). A volte la messa a fuoco si fa all’inizio, più spesso avviene lentamente in corso d’opera.
Le opere letterarie possono essere originali, ma l’importante è che siano belle.
7) Le pubblicazioni in digitale, a suo parere, sono un bene per l’editoria oppure contribuiscono ad acuire la crisi del settore?
G. M.: Al momento le pubblicazioni in digitale, in Italia, sono una percentuale minima del mercato. Sono quindi irrilevanti.
Negli Usa (dove il funzionamento del mercato è completamente diverso) non mi pare che ci siano stati effetti negativi.
8) Print on demand. Sappiamo che ormai farsi stampare un libro con tanto di ISBN è semplicissimo. Ha pregiudizi verso gli autori che si autopubblicano? L’autopubblicazione non potrebbe essere considerata come “la demo” che i musicisti distribuiscono nei loro concerti?
G. M.: Mi auguro di non avere pregiudizi: ma è noto che i pregiudizi non sono visibili a chi li ha. Non vedo come si possa avere un’opinione negativa dell’autopubblicazione. Mi stupisce il gran parlare che si fa di un fenomeno così marginale. Trovo bizzarri i discorsi del tipo: “Finalmente finisce il predominio degli editori”, eccetera.
9) Le statistiche OCSE sono impietose. Gli italiani sono gli ultimi tra 24 paesi europei “per la capacità e preparazione letteraria e matematica”. Sappiamo anche che gli italiani che leggono più di un libro l’anno sono pochissimi. Come può sopravvivere l’editoria in un mercato così asfittico?
G. M.: Pubblicando buone opere letterarie, presumo. Tenendo i conti sotto controllo. L’importante (per la salute delle imprese editoriali) non è che i libri vendano tanto: è che vendano esattamente tanto quanto ci si aspettava.
10) Manuali e corsi di scrittura. Ce ne sono tanti, forse troppi. In fondo su internet si trova un po’ di tutto e gratis, anche il suo già citato “(non) un corso di scrittura e narrazione”. Perché un aspirante scrittore dovrebbe investire tempo e denaro in un corso a pagamento, magari a busta chiusa, quando ha a disposizione tante risorse gratuite?
G. M. : Per la stessa ragione per cui tra studiarsi un manuale di tango e frequentare un corso di tango vi è qualche differenza.
11) Ha scritto che il mercato editoriale è pieno di romanzi d’amore, mentre a lei piacerebbe leggere romanzi di innamoramento, perché ce ne sono pochissimi. Ce ne consiglia uno?
G. M.: Uno che in tanti hanno letto: Pier Vittorio Tondelli, Camere separate.
12) Lei, giustamente, fa una distinzione tra autore esordiente e aspirante scrittore. Come considera un autore che ha pubblicato per una piccola casa editrice e vorrebbe fare il grande salto pubblicando per una big? Avendo alle spalle una pubblicazione, il suo percorso di “selezione” sarebbe diverso rispetto a un aspirante assoluto?
G. M.: Se la pubblicazione ha avuta una qualche eco, evidentemente sì (a es.: saranno gli editori “big” a cercarlo). Se non ha avuta nessuna eco, sostanzialmente no.
Grazie a Giulio Mozzi per la sua disponibilità!