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Intervista a I Sognatori

Creato il 13 maggio 2013 da Visionnaire @escrivere

Come promesso sulla nostra pagina facebook, abbiamo organizzato un’intervista in più per questo mese e l’abbiamo inserita fra quella svolta lo scorso 3 maggio e quella programmata per il 20. Abbiamo ritenuto importante farla ora in quanto la casa editrice I Sognatori sta attraversando un mutamento importante: la trasformazione della casa editrice in una factory editoriale. La scelta di Aldo Moscatelli ci ha molto sorpresi e soprattutto ci ha incuriositi.

Cosa lo ha portato a intraprendere questa nuova strada? Come pensa di organizzare tutto? Cosa cambierà per gli scrittori che si rivolgeranno alla sua casa editrice? Avevamo mille domande, ne abbiamo scelta alcune, quelle che ci sono sembrate più importanti e le abbiamo rivolte direttamente a lui.

Aldo Moscatelli è stato molto gentile e disponibile anche quando gli abbiamo proposto una data a così breve termine. Lo ringraziamo per averci permesso di poter pubblicare qui, oggi, le sue risposte e gli auguriamo un buon lavoro!

A voi, cari amici, auguriamo invece una buona lettura. In più vi ricordiamo che potete scrivere le vostre domande qui sotto,  nei commenti. Noi di È scrivere le rigireremo al signor Moscatelli che vi risponderà.

E ora l’intervista.

Intervista a I Sognatori

1. La casa editrice I Sognatori sta subendo un mutamento che la trasformerà in quello che lei chiama una factory. Cosa l’ha portata a fare questa scelta?

A. Moscatelli: In primis la noia di dover svolgere un lavoro vincolato ai soliti schemi, ai soliti compiti, ai soliti obiettivi. Ero stufo di timbrare il cartellino, insomma. Volevo provare qualcosa di nuovo, coinvolgere gente nuova, fissare nuovi traguardi.

2. L’esito della “campagna di autofinanziamento” ha influito sulla scelta di trasformare la sua casa editrice, che seppur piccola comunque abbastanza nota, in una factory?

A. M.: La campagna di autofinanziamento ha illuminato la via (già tracciata da numerosissimi episodi). Quando nella presentazione della factory, sul blog, scrivo che uno dei miei errori è stato “attendere di imbattermi nelle persone giuste invece di andarle a cercare”, mi riferisco anche a quella iniziativa.

3. Come mai la scelta di prendere 100 autori subito piuttosto che selezionarne prima una trentina, cominciare a vedere se la cosa funziona e poi aprirsi a un numero maggiore di autori?

A. M.: Perché nella numerologia etrusca il numero 100 indicava…
Seriamente? Perché ritengo di poter gestire subito 100 autori. Mi sembra scontato.

4. Non è un azzardo, in un’era in cui internet e i forum vanno alla grande, scegliere di attuare una politica simile anche a livello professionale? In poche parole, cosa ha una factory di diverso rispetto a un forum in cui gli utenti possono confrontarsi, aiutarsi a vicenda e dare pareri sui testi altrui?

A. M.: Un editore che li pubblica, ad esempio.
Comunque faccio prima a dire cosa hanno in comune: niente. Lì ci sono degli aspiranti autori che si scambiano pareri sui reciproci manoscritti (il più delle volte inediti). Qui abbiamo degli scrittori che pubblicano libri e collaborano attivamente con l’editore, divenendo parte integrante della factory; gli scrittori verranno pubblicati a scadenze regolari, ma verranno chiamati pure a fornire idee, a lanciare proposte, a votare (nei referendum), a fungere da intermediari in occasioni mirate (penso alle presentazioni dei libri, sarà una gran cosa organizzare tour itineranti e poter contare ogni volta sulla collaborazione di uno o più iscritti). Ci sarà tanto da decidere e tantissimo da fare. L’idea dell’aiuto reciproco, in sostanza, nella factory assumerà tutt’altro senso – molto più pragmatico. Non è che ci limiteremo a leggere manoscritti.
L’editore, e i suoi collaboratori più stretti (dall’editor all’impaginatore, dal grafico al tipografo, fino al ragioniere che tiene i conti in ordine), sono figure professionali che un forum non ha, giacché un forum non ha una struttura e degli obiettivi che vadano al di là dello scambio di opinioni o del concorso interno. Nei forum la gente si confronta, poi però ogni scrittore deve rivolgersi a un editore per poter pubblicare ciò che ha scritto, e senza garanzia di successo. D’altronde, se i forum fossero utili su quel piano lì, le case editrici non sarebbero mica ingolfate di manoscritti (io ne ricevevo oltre duemila all’anno). Ci sarà un motivo se gli aspiranti autori non si accontentano di ottenere il parere di un semplice utente, no? Vogliono andare oltre, giustamente. Ma in un forum non possono, perché il forum si ferma allo scambio di opinioni, alla critica negativa o all’incoraggiamento affettuoso, oppure al consiglio circa la casa editrice migliore da contattare (“hai provato con… ?”). Nella factory lo scambio di opinioni verrà seguito da editing professionale, pubblicazione e promozione: non mi pare la stessa cosa.
Insomma, spero che la domanda avesse funzione puramente retorica… perché davvero non riesco a credere che gli obiettivi e le prospettive di un forum possano essere confusi con quelli di una factory – così come io l’ho immaginata e presentata.

5. In che modo una factory potrebbe ottenere risultati migliori di una casa editrice? A parte l’ovvia constatazione che il lavoro congiunto di diverse professionalità per un intento comune arricchisce i prodotti, ma a livello di pubblico, di mercato editoriale italiano, cambierebbe davvero qualcosa?

A. M.: L’ho detto chiaro e tondo: non farò promesse da campagna elettorale. Non voglio pormi sullo stesso piano di quegli imbonitori da strapazzo che, in tempi più o meno recenti, hanno preso per il culo centinaia di scrittori. Ho detto però che l’obiettivo principale della factory è superare i limiti (di vendita, di notorietà, di mera soddisfazione personale) raggiunti solitamente dalle case editrici tradizionali. Sì, mi piacerebbe molto vendere più libri, fornire più soldi e notorietà ai miei scrittori, fare in modo che siano soddisfatti non tanto della mera pubblicazione, quanto della factory in sé. Voglio che tra un annetto tutti gli iscritti possano dire diavolo, ho fatto bene a tentare! Va eliminato il travaglio della pubblicazione, quello che ha trasformato gli aspiranti scrittori in un una torma di gente sfiduciata, nauseata e/o incazzata. Va recuperato il gusto di scrivere, va gratificato lo sforzo di chi è già bravo e ha creato qualcosa di bello, da premiare subito, senza perdite di tempo. Va incoraggiato l’autore che è rimasto un passo indietro ma è pronto a farsi in quattro per recuperare terreno, con umiltà e spirito d’abnegazione.
Questi sono alcuni dei miei obiettivi, e sarà possibile raggiungerli operando in una struttura nuova, multiforme, del tutto diversa rispetto alla “semplice” casa editrice.
Ci riuscirò? Io ho la mia opinione. Chi mi segue da molto tempo, e ha maturato una certa idea del sottoscritto, pure. Chi si avvicina per la prima volta a “I Sognatori”, invece, valutasse il progetto obiettivamente, confrontandolo con il resto del panorama editoriale: se qualcuno ritiene che la factory non offra nulla di nuovo, nulla che lasci presupporre la possibilità di un cambiamento/miglioramento… che posso dire? Pazienza. Cercherò di confutarlo coi fatti – dopo aver chiuso la porta, ovviamente, perché il treno della factory passerà nel mese di maggio 2013… poi chissà.
Sono consapevole che molto dipenderà da me. Dal modo in cui saprò coinvolgere, motivare e soprattutto coordinare gli scrittori. Missione che non mi spaventa affatto. I modi in cui superare i limiti di una casa editrice ordinaria li stabilirò coi miei autori, la cosa che – penso – molti non hanno capito è che io ho una barca di idee e di progetti semi-avviati, però se prima non trovo i 100 scrittori e non li interpello… qui si rimane in attesa. Per ora, quindi, tengo al guinzaglio idee e progetti (che scalpitano). Al momento opportuno, un’idea alla volta, ci si muoverà assieme. D’altronde non ci corre dietro nessuno, sebbene sia consapevole che i detrattori mi aspettano al varco già adesso. Sarà un piacere averli di fronte, più in là.

6. Che succede se, col tempo, alcuni dei 100 si rivelano non all’altezza delle aspettative? Vengono “coperti” dagli altri, reindirizzati ad altri compiti o semplicemente accompagnati alla porta?

A. M.: Dipende da cosa si intende per “non all’altezza”. Sceglierò gli autori in base a una pre-selezione, se un tale dimostrerà di non saper tenere in mano la penna… non lo prenderò di sicuro. Ma essere all’altezza della/nella factory significherà pure mettersi al servizio dell’interesse generale, quando richiesto e quando possibile (gli scrittori hanno una vita, non pretendo miracoli). Chi dovesse mostrarsi pigro o vanaglorioso, più che accompagnato alla porta… verrà mandato via con un calcio nel sedere.
Al di là di tutto, un romanzo fiacco può capitare a chiunque. Questo non significa che l’autore verrà bollato in automatico come “non all’altezza”. La factory avrà anche funzione di “scuola di scrittura permanente” (è scritto nel Regolamento Generale), comunque, quindi gli autori in crisi d’ispirazione avranno sempre la possibilità di essere seguiti nel processo di crescita e perfezionamento.

7. Non c’è il rischio che il progetto diventi troppo autoreferenziale? Autori che si danno le pacche sulle spalle l’un l’altro e che vendono fra di loro i propri libri?

A. M.: Grazie per la fiducia…
No, davvero: e allora io che ci sto a fare? Non sto mettendo anima e corpo in questo progetto per poi tirare a campare. Mi chiedo inoltre: perché confondere l’immagine degli autori intenti a far quadrato con quella di chi se la canta e suona da solo? Ipotizziamo che, grazie all’impegno dei soli autori (escludiamo me), ogni libro venda mediamente più di quanto venderebbe con una casa editrice ordinaria. Ci sarebbe qualcosa di sbagliato? È un po’ come dire che, in una casa editrice tradizionale, l’autore che piazza da sé un buon numero di copie è patetico, o fa qualcosa di riprovevole.
Niente affatto. È chiaro che non ci si può fermare lì, sia in un caso che nell’altro. Diventa triste l’autore che piazza i propri libri, o quelli di un altro autore, mentre l’editore passa il suo tempo a grattarsi. Un editore serio non può basare il proprio operato su quello che fanno gli altri, o sulla remota ipotesi di imbattersi prima o poi nella gallina dalle uova d’oro (anche se – è noto – molti editori passano il tempo a cercarla). Ma di base, darsi da fare per agevolare altri autori (è il caso della factory) o il proprio editore (è il caso della casa editrice comune), non è biasimevole. Anzi.
Detto questo, ribadisco uno dei miei obiettivi: superare i limiti atavici della piccola editoria. E di sicuro non spero di superarli lasciando gli autori allo sbaraglio. In prima fila, davanti a tutti, nel bene e nel male ci sarò sempre io.

8. Le piccole case editrici spesso si lamentano della qualità dei manoscritti inviati dagli aspiranti scrittori e affermano che, per esempio, su cento manoscritti, magari solo uno sarebbe pubblicabile. Come pensa di riuscire a trovare quindi cento autori validi e quanto tempo crede che passerà prima di aver formato il gruppo con cui vorrebbe lavorare (nel suo blog si parla di giugno, non è a questo punto un po’ troppo ottimista)?

A. M.: Questa domanda me l’ha già posta un’altra persona, ma in privato. Rispondo alla stessa maniera: se alle prime difficoltà professionali mi fossi fermato a pensare “con tutti questi incapaci, troverò mai degli autori validi?”, avrei di sicuro:
1) evitato sette anni di valutazioni;
2) evitato di indire sei concorsi letterari;
3) evitato di investire 70.000 euro nell’attività;
4) evitato la gente;
5) chiuso la casa editrice dopo un mese.
Se spero di trovare qualcuno è proprio perché, in sette anni, ho già dato voce a dozzine di autori. Vedo il bicchiere mezzo pieno, insomma.
Quanto ai 98 da reclutare adesso, sto solo accelerando le cose. E in un’ottica slegata dall’editoria tradizionale. Poi ho già detto che non vado alla ricerca di scrittori perfetti (sempre che ne esistano), gente – cioè – in grado di passarmi ogni volta il libro perfetto (sempre che ne esistano). Ci sarà un percorso di crescita che riguarderà il singolo e il gruppo, nessuno di noi dovrà reputarsi infallibile. Se un testo non risulterà immediatamente valido, come detto, scatterà la funzione “scuola di scrittura”: grazie ai suggerimenti della factory, l’autore ci lavorerà su fino a renderlo valido, l’importante è non abbandonare qualcuno solo perché si trova in un periodo di scarsa vena creativa.
Veniamo alla tempistica. In merito alla lettura dei manoscritti, nel blog c’è scritto anche: “trattandosi di materiale non particolarmente corposo, dovrei riuscire a stilare l’elenco dei papabili quasi in presa diretta. Se dovesse occorrermi più tempo, avviserò tutti.”
Se sarò stato troppo ottimista, dunque, saprò dirlo a giugno.

9. I sognatori non pubblicano ebook. Con la nascita del nuovo progetto pensa di distribuire eventuali libri prodotti dal “gruppo dei cento” anche in formato digitale?

A. M.: Lo stabilirò assieme agli autori. Il concetto di “partecipazione attiva alla vita della factory” non è una balla, l’ho detto e lo ripeto.

10. Lei chiede una quota d’iscrizione, spendibile in libri, per chi intende partecipare alla factory. Non c’è il rischio di creare un gruppo che non si basa solo sulla qualità degli autori, ma sulla loro qualità E sulla loro disponibilità economica?

A. M.: No: non chiedo “una quota d’iscrizione spendibile in libri”. Chiedo di acquistare sette libri, punto. I motivi li ho chiariti in sede di presentazione, anche se qualcuno ha fatto orecchie da mercante lo stesso. D’altronde c’è sempre un buon motivo per snobbare i libri della piccola editoria, no?
Quanto alla seconda parte della domanda, e va bene che c’è la crisi… ma spacciare l’acquisto di una manciata di libri come indice di “disponibilità economica” fa quantomeno sorridere. Lo so che in Italia siamo abituati ad acquistare in media 2-3 volumi all’anno e che quindi, agli occhi di certa gente, io coi miei 7 volumi chiedo praticamente la luna, tuttavia ho messo in chiaro le caratteristiche dello scrittore-tipo da me cercato: non solo buon narratore, anche buon lettore, consapevole dell’importanza rivestita dalla piccola editoria e altruista sul piano umano. Chi si riconosce in questa descrizione, e crede nel progetto, non può tirarsi indietro davanti alla richiesta di acquistare qualche libro. Dei soldi in sé non me ne frega niente, a me interessa che chi entra mostri subito il giusto atteggiamento (rispetto?) nei riguardi degli autori già presenti in catalogo, i quali aiuteranno i nuovi arrivi e meritano – con ciò stesso – di essere supportati. Il fatto che siano stati pubblicati in passato non implica che debbano essere snobbati da chi si aggiungerà in seguito, per capirci.

11. La sua casa editrice esiste già da diversi anni e si è fatta un buon nome nel mondo della piccola editoria, quindi è riuscita là dove molte altre hanno fallito. Pensa di riuscire a portare avanti questo successo anche attraverso la factory?

A. M.: Grazie per averlo riconosciuto. È raro che qualcuno capisca quanto è stato difficile andare avanti in tutti questi anni mentre diversi colleghi, compresi quelli arrivati dopo di me, purtroppo chiudevano i battenti per sempre…
Io negli anni ho sbagliato diverse cose, senza farne mistero e addossandomi ogni volta tutte le responsabilità. Ciò nonostante, ho anche compiuto dei piccoli miracoli, altrimenti non sarei qui. Prima di avviare il progetto-factory, ho riflettuto a lungo su tutto ciò che ho fatto, visto e sentito nei miei sette anni da editore. Senza voler accampare scuse, quindi senza volermi concedere delle attenuanti, sono giunto alla conclusione che il mancato successo (e con “successo” intendo tutto ciò che si pone al di là della banale sopravvivenza) delle realtà più interessanti, originali e combattive del nostro sistema editoriale, dipende anche dal terreno sul quale ci si muove o ci si è mossi: quello della cultura italiana. Ragion per cui un editore (serio) che cerca di distinguersi rischia grosso, e quello (altrettanto serio) che si allinea deve accontentarsi delle briciole, vivacchiando tra alti e bassi. Il problema, per come la vedo io, sta proprio nel concetto di “editore”, e di riflesso nel concetto di “casa editrice”. In Germania, ad esempio, un piccolo editore può andare avanti a lungo (a volte un’intera vita) sia innovando che allineandosi, perché il suo mestiere viene visto in un certo modo… da gente che ragiona in un certo modo… e che premia gli sforzi in un certo modo e/o con una certa frequenza (da quelle parti leggono il doppio di noi). Insomma, se sei un normalissimo editore e ti impegni, i risultati – nelle varie proporzioni – arrivano. Magari dopo un po’ di tempo, però arrivano sul serio. Qui da noi il piccolo editore (e di riflesso lo scrittore poco conosciuto) viene visto in un altro modo, da gente che intende la cultura in un altro modo, e che nell’uso del proprio denaro e del proprio tempo… fissa le sue priorità in un altro modo. Ergo: un normalissimo editore ha scarsissime chance di veder premiati impegno e investimenti.
Se non ci sono le condizioni minime di sopravvivenza, le strade sono due:
1) attendere che la società civile italiana cambi (aspetta e spera), si accorga finalmente della piccola editoria e le vada addirittura incontro, oppure
2) slegarsi mentalmente e strutturalmente dalla piccola editoria tradizionale, creare un progetto nuovo e quindi presentarsi al pubblico in tutt’altra maniera.
Io ho optato per la seconda via. Se fossi sicuro di poter ricominciare da zero – come editore tradizionale – in un ambiente (un Paese?) che premia chi fa la cosa giusta, chi si impegna al massimo, chi investe nel talento, chi lavora pure nei week-end e si sbatte migliaia di chilometri per portare alla luce quei talenti… allora la factory non avrebbe senso. È proprio perché conosco l’ambiente (il mio Paese?), quindi, che oggi dico: “io cambio strada”.
Il buon nome e i saltuari successi non mi bastano più, perché il buon nome me l’hanno cucito addosso pure quegli ipocriti che si limitavano a dirmi “bravo” e a mollare una pacca sulla spalla, ma di acquistare un libro neanche a pensarci. E i successi sono stati a dir poco sproporzionati rispetto all’impegno. Dopo oltre sette anni di lavoro durissimo, posso voltare pagina senza patemi, ma soprattutto senza dover nulla a nessuno.
E sono felice così.

Ancora grazie al signor Moscatelli per la sua disponibilità.

Bene, e ora tocca voi! Sotto con le domande!


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