Iacopo Barison
Iacopo Barison ha venticinque anni, è piemontese, la sua grande passione è il cinema, nel frattempo sta riscuotendo un grande successo come scrittore. Gli piace dormire fino a tardi, girare a vuoto nei centri commerciali, andare a mangiare fuori. Prima di Stalin+Bianca, il secondo titolo della nuova collana di narrativa di Tunué, nel 2010 ha pubblicato 28 grammi dopo (Voras) tratto dal suo blog.
Sul suo comodino c’è in questo momento il fumetto The Walking Dead, prima di addormentarsi non vuole impegnarsi troppo.
Prima di tutto vorrei togliermi una curiosità. Hai mai visto un arcobaleno?
Sì, dalle mie parti capita abbastanza spesso. L’ultimo, se non sbaglio, risale a una decina di giorni fa. Ho anche provato a fotografarlo, però è venuto uno schifo, era tutto sfocato.
Bene, ora possiamo iniziare. Quali aggettivi sceglieresti per descrivere Iacopo Barison?
Mah, è una domanda difficile. Se dovessi descrivermi come individuo, tralasciando quindi la scrittura, direi che sono pigro (mi piace dormire fino a tardi) ma anche determinato e molto ambizioso.
Hai venticinque anni e già sei al secondo romanzo con Stalin+Bianca, dopo aver pubblicato a vent’anni 28 grammi dopo (Voras). Quando hai capito che lo scrivere sarebbe stato l’unico modo (o uno dei possibili) di dare senso alla tua vita?
Questa cosa non l’ho mai detta, è una specie di confessione. In pratica, quando avevo diciotto anni, soffrivo d’ansia e vivere era piuttosto difficile. Non che meditassi il suicidio, intendiamoci, però faticavo a costruirmi una routine accettabile. Anche le cose semplici, come uscire di casa e divertirmi, oppure andare regolarmente a scuola, diventavano insormontabili. In quel periodo, appunto, ho iniziato a scrivere e ho conosciuto la mia attuale fidanzata. Due eventi che mi hanno “salvato”, non saprei trovare un’altra parola. Pian piano, nel corso del tempo, ho imparato a gestire l’ansia. La scrittura e l’amore funzionano in modo simile, ti ci aggrappi nei momenti bui e perciò hanno un valore terapeutico.
Stai riscuotendo un grande successo, senz’altro meritato. Lo speravi, lo prevedevi, come lo stai gestendo?
Credevo e credo tuttora nel mio romanzo, però non me l’aspettavo. Stalin + Bianca ha fatto e sta facendo miracoli, diventando un piccolo caso editoriale. Alcuni l’hanno etichettato come un romanzo generazionale, altri come una storia d’amore, altri ancora come un romanzo di formazione. Quello che mi dà più gioia, al di là delle etichette, è che Stalin e Bianca sono riusciti a “parlare” a un pubblico molto vasto, anche anagraficamente. Credo che questo romanzo abbia diversi livelli di lettura. Ognuno sceglie e si ferma al livello che preferisce, non è necessario scavare in profondità. Ho ricevuto email di complimenti da ragazzi e ragazze giovanissimi, oltre che splendide recensioni da parte di critici autorevoli. Queste due cose, però, le metto sullo stesso piano, mi fanno piacere allo stesso modo. Poi, vabbè, andare al TG5 è stata un’esperienza strana, per certi versi onirica. È incredibile come la televisione riesca a condizionarci e a condizionare il pubblico. Mi sono arrivate decine e decine di messaggi, anche da parte di gente che non sentivo da anni. È ridicolo, per certi versi. Fino al momento prima, se ne fregavano della mia scrittura o la vedevano come una specie di gioco, di passatempo per non fare nulla di serio. Poi, dopo il TG5, hanno cambiato totalmente idea. Adesso ero legittimato, ero diventato uno scrittore vero. Comunque sono molto contento, gestisco questi traguardi senza pensarci troppo. Me li godo per ventiquattro/quarantotto ore, poi li dimentico e vado oltre, per aggirare il rischio di diventarne schiavo.
Forse ti risulterà banale questa domanda: perché scrivi? Provo a spiegarmi meglio: scrivi per te stesso, per soddisfare una tua personale esigenza (catartica, terapeutica) o per il lettore, per creare ponti, trasferire idee, avviare un dialogo e quindi ricevere risposte?
Sarò sincero, ho iniziato a scrivere per non lavorare. Poi mi sono accorto che mi faceva stare bene, che influiva positivamente sul mio stato d’animo. Era ed è tuttora un modo per sentirmi completo, per definirmi come individuo. Inoltre, col tempo, sono arrivati i lettori, e mentirei se dicessi che non scrivo per loro. Certo, la scrittura è una cosa intima, personale, ma sono i lettori a darle un significato, a chiudere realmente il cerchio. Altrimenti l’editoria non esisterebbe, e tutti noi scriveremmo dei diari e poi li chiuderemmo nei cassetti a prendere polvere. Insomma, si può dire che io abbia un grande rispetto per i lettori.
Fabio Mollo
I tuoi studi si sono concentrati sul cinema, ti sei laureato al DAMS, nel romanzo ci sono molte citazioni di film e registi, Stalin, il protagonista si porta sempre dietro una videocamera digitale, “la sua coperta di Linus”. In quale rapporto sei con il cinema? Passione da tempo libero? Amore non corrisposto?
Il cinema è una mia grande passione, ma non nego che vorrei farne un lavoro. O meglio, che vorrei provare a lavorare in quell’ambito. Guardo valanghe di film. Una volta riuscivo a vederne molti di più. L’uscita di Stalin + Bianca, purtroppo, sta mangiando tutto il mio tempo libero, ma in fondo va bene così. Ho tratto una sceneggiatura da un mio breve racconto. Se tutto andrà come deve andare, Fabio Mollo dirigerà un cortometraggio da questa storia. Lui è un regista che apprezzo molto, è bravo e giovane e talentuoso. Eppure il mondo del cinema è complicato, si tende a navigare a vista. Questo perché di mezzo ci sono i soldi, e i soldi sono sempre un ostacolo. La letteratura è molto più democratica. Il cinema, però, anche in relazione a quello che scrivo, è una grande fonte d’ispirazione, forse la principale.
Di Stalin+Bianca hanno detto che è un romanzo “ipermoderno”, “contemporaneo”, “veloce”, “di formazione”, “on the road”. Provo una discreta insofferenza per le categorizzazioni e non riesco a trovarne una che racchiuda tutto quello che ho percepito leggendo il libro. Puoi provare tu a dirci che libro hai scritto?
Volevo scrivere, innanzitutto, una storia semplice e lineare, che raccontasse l’amore fra due adolescenti con diversi problemi. Tutto il resto è venuto dopo.
Al centro della scena ci sono loro, Stalin e Bianca, due diciottenni che decidono di andarsene da casa, per fuggire, per cercare altro. Sullo sfondo ci sono numerose comparse, ragazzi come loro, in fuga, in viaggio, o semplicemente alla deriva. Su nessuno ti soffermi più di tanto, non fornisci un profilo né un nome, ad eccezione di Jean, l’anziano custode del campo di calcio che incontriamo all’inizio della storia. In realtà è Stalin a chiamarlo così, gli ricorda l’attore Jean Gabin. Chi è Jean?
Jean è un vecchio depresso, che sfrutta Stalin per fargli fare dei lavori “sporchi”, più o meno legali. Si illude che la rabbia del protagonista funzioni a comando, eppure non è così. Stalin è un personaggio sfaccettato, che perde la testa ma poi lotta con il senso di colpa.
Sconcertante l’assenza o la rappresentazione negativa (al limite del grottesco) delle figure genitoriali. Stalin non ha conosciuto il padre e detesta profondamente il patrigno, con la madre ha dei problemi; dei genitori di Bianca si sa pochissimo, così come di tutti quelli che sono stati lasciati alle spalle. Sembra una condanna senza appello della famiglia (come istituzione), degli adulti come genitori e in generale (anche Jean, l’altro adulto della storia, in fondo è una figura opaca e incomprensibile). È così che appaiono gli adulti ai loro “figli”?
Questa è una cosa che mi hanno detto in molti. Sembra che io sia stato impietoso col mondo degli adulti, ma ho trattato allo stesso modo sia Stalin che Bianca. Il primo, ad esempio, è un personaggio sempre in bilico, conteso fra l’amore e la rabbia, fra la purezza di Bianca e lo schifo del mondo che lo circonda. Quasi tutti i personaggi, nel corso del romanzo, commettono almeno un errore, finendo per tradire loro stessi e quello in cui credono. È una cosa che accade spesso, perlomeno nella vita reale. Ho l’impressione che la mia generazione goda di troppa libertà, che sia abbandonata a se stessa. Il lato positivo delle dittature è che almeno sai quello che devi fare. Questa frase è una provocazione, intendiamoci, ma nasconde un fondo di verità. È come se i nostri genitori ci avessero lasciati da soli a casa, liberi di poter bere e fumare e drogarci e fare l’amore. È come se, dietro a una patina di perbenismo, ci fosse concessa qualunque cosa. Tutta questa libertà è inquietante, per certi versi. Ti confonde e ti impedisce di avere dei punti di riferimento. Siamo bloccati nella casa di Mamma, ho perso l’aereo. Siamo come Kevin McCallister, soltanto che alla fine i nostri genitori non tornano, e la nostra anarchia prosegue in una specie di loop infinito.
Nel romanzo “non” ci sono molte cose, ad esempio manca qualsiasi riferimento spaziale e temporale, tutto si svolge in una dimensione delocalizzata. Il tempo scorre scandito dagli spostamenti di Stalin e Bianca, dall’avvicendarsi del giorno e della notte, senza altri riferimenti temporali. Non ci sono luci e colori, ma un’atmosfera di perenne penombra o oscurità. Non c’è quasi mail il sole, ma neve, ghiaccio, pioggia e una costante sensazione di freddo. Insomma, scelte nette di prospettiva che lasciano al centro della scena pienamente a fuoco solo Stalin e Bianca. Tutto voluto? e perché?
Sì, non ho voluto dare riferimenti precisi, né geografici né temporali, in modo che il lettore potesse inserirsi nel testo e proiettarci sopra la sua esperienza, il suo vissuto, la sua visione del mondo. Mi spiego meglio: questa nazione che io non nomino mai, per qualcuno è un luogo immaginario, per qualcun altro è l’Italia, per altri ancora l’Inghilterra o gli Stati Uniti. Stesso discorso per la cronologia degli eventi. Alcuni critici hanno parlato di un futuro non troppo lontano, altri di un presente inquietante e giunto al capolinea. È bello dare vita a tutte queste interpretazioni, era proprio il mio intento. La crisi che si respira in Stalin + Bianca è globale, proprio come la nostra, e non si limita all’aspetto economico. È una crisi individuale, emotiva, che le persone hanno interiorizzato. Non esistono paradisi in Terra. Stalin e Bianca, viaggiando, capiscono proprio questo.
Dimenticavo l’assenza più eclatante (per me): non ci sono gli arcobaleni, nessuno ne ha mai visto uno. Ci puoi spiegare la metafora dell’arcobaleno e della sua scomparsa?
L’arcobaleno, di solito, è un simbolo di speranza, compare dopo un temporale e coincide col diradarsi delle nuvole, col ritorno del sole. Ecco, al di là dell’allegoria più immediata, volevo che i personaggi del mio libro trovassero dentro se stessi la forza di andare avanti. Senza più alibi, sono costretti ad analizzarsi e scavare nella propria interiorità. Al di fuori non c’è più niente, nemmeno gli arcobaleni. La speranza va cercata nelle persone.
Un altro tema dominante è l’amore, perché in fondo Stalin+Bianca è una delicata storia d’amore. Amore che non viene dichiarato né consumato. I due ragazzi si abbracciano, si accarezzano, si scambiano qualche bacio, ma nulla di più, quasi a volerlo preservare, per non contaminarlo, per non indebolirne la straordinaria forza che li unisce e li fa andare avanti. È questa la condizione necessaria per restituire valore e significato a un sentimento che sembra in via di estinzione?
La speranza va cercata nelle persone, l’ho appena detto. Per questo motivo, l’amore mi sembra il sentimento ideale per chiarirci e analizzarci come individui. Sarà che sono un grande ammiratore dei film di Truffaut. Con questo libro, ho provato a ricalcarne l’atmosfera e la resa generale, sporcandola un po’, rendendola più cattiva e forse anche più tragica. Spero che l’amore non stia scomparendo, come dici tu, altrimenti sarebbe la fine. L’amore è insito nelle persone, proprio come l’odio, quindi non scomparirà mai. Fa parte della nostra natura. Questo, almeno, è ciò che mi auguro.
Cormac McCarthy
Qualcuno ha ritrovato in Stalin+Bianca le atmosfere e lo stile di Cormac McCarthy. Sei d’accordo? Quali sono i tuoi riferimenti letterari, non tanto come scrittore ma come lettore?
Sì, sono d’accordo, McCarthy è un autore che apprezzo molto. Racconta la natura e il viaggio in maniera unica, con uno stile asciutto ma evocativo. I miei riferimenti, sia da scrittore che da lettore, sono molti e dispersivi. Mi piace il minimalismo d’oltreoceano, da Carver a Bret Easton Ellis, tuttavia mi sono formato sui classici di Flaubert e Tolstoj. Amo i postmoderni, David Foster Wallace su tutti. Poi, mi piace spezzare il ritmo con fumetti e graphic novel e brutta televisione. In fondo, gran parte del mio immaginario deriva dalla cosiddetta cultura pop.
Passiamo al tuo rapporto con Tunué. Come è avvenuto l’incontro?
Conoscevo da tempo Vanni Santoni, l’editor di questa nuova collana di narrativa. Ha sempre creduto in me, anche in tempi non sospetti, quando pubblicavo su Internet i miei primi racconti. La pubblicazione di Stalin + Bianca, dunque, è venuta in modo molto spontaneo. Era da tempo che auspicavamo di lavorare insieme. Durante l’editing e anche dopo, ho fatto soprattutto riferimento a lui. Ma il rapporto è ottimo anche col resto della casa editrice. Tunué lavora benissimo, e i risultati gli stanno dando ragione. Non li ho certo scoperti io.
Come è stato il lavoro di editing?
Con Vanni c’era grande sintonia. È riuscito a mostrarmi il vero nucleo del libro, gli aspetti da valorizzare, quelli da alleggerire. Non è mai stato pedante, né invasivo o quant’altro. Si può dire che Stalin + Bianca sia davvero migliorato durante l’editing, ma anche che la sostanza sia rimasta la stessa, inalterata eppure resa stabile, definitiva. Spero, in futuro, di trovare altri editor come Vanni.
Il fenomeno del self-publishing ha assunto dimensioni impressionanti, una sorta di editoria, o “non” editoria parallela. Perché, secondo te, sta prevalendo questa presunzione di poter fare meglio e subito rispetto al tradizionale percorso in casa editrice?
Penso che il self-publishing abbia le stesse dinamiche della masturbazione. Si fa tutto da soli, senza intermediari, e la soddisfazione è quella che è, né troppa né troppo poca. Poi non saprei che altro dire, è un fenomeno che conosco poco.
Frequenti le librerie? Qual è per te la libreria ideale?
Frequento molto le librerie, se non altro per presentare Stalin + Bianca. Alcune, purtroppo, si meritano Amazon, perché vivono nel totale immobilismo e non fanno nulla per promuovere la cultura, per renderla più dinamica. Il loro ciclo vitale dipende quasi esclusivamente dalla vendita dei testi scolastici. Altre, e non sono poche, fanno il possibile e l’impossibile per organizzare presentazioni ed eventi e per creare un rapporto di fiducia coi propri clienti. Di solito, questo è il caso delle librerie di quartiere, oppure di una serie di librerie indipendenti che costruiscono man mano la loro fama. Queste non meritano la concorrenza di Amazon, e saranno le uniche a sopravvivere.
Che cosa fai quando non scrivi?
La mia routine è abbastanza monotona, anche se Stalin + Bianca è riuscito a movimentarla, fra presentazioni e giri per l’Italia. In genere mi piace leggere, guardare film, andare a fare la spesa e girare a vuoto nei centri commerciali. Ogni tanto mi diverto ancora coi videogiochi. Poi, be’, di solito mi sveglio tardi, la mia giornata comincia verso le 10:00 am. Amo anche andare a mangiare fuori, nei ristoranti che scopro su Tripadvisor, e lì spendere un sacco di soldi e sperperare le mie finanze.
Concludo con una domanda fuori tema: che cosa c’è da leggere sul tuo comodino in questo momento?
Ora c’è il fumetto di The Walking Dead di Robert Krkman. Mi piace, è molto spinto e brutale, ma anche ben costruito. Calcola, però, che prima di dormire non voglio impegnarmi troppo, dunque prediligo le cose leggere.
Qui la recensione di Stalin+Bianca.