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Intervista a Jami Attenberg

Creato il 11 giugno 2014 da Vanessa Valentinuzzi

Intervista a Jami Attenberg autrice di “I Middlestein”

Domande e risposte sulla scrittura

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Jami Attenberg è la talentuosa autrice di I Middlestein, romanzo ironico ma anche tanto, tanto commovente su una famiglia ebraico-americana del Midwest di cui ho parlato ampiamente qui. L’autrice, che al momento dell’intervista è in Illinois ad insegnare scrittura in una serie di conferenze, ha risposto a qualche mia domanda sulla scrittura e sul suo prossimo romanzo.

Quali libri  si trovano sul tuo comodino?

In questo momento sto leggendo Long Division di Kiese LaymonThe Land of Steady Habits Ted Thompson. Ho appena finito il bel libro di esordio di Catherine Lacey: Nobody is Ever Missing.

Tre scrittori che hanno influenzato la tua scrittura?

Cito sempre Raymond Carver (per il minimalismo), Grace Paley (per la voce narrante) e Flannery O’Connor (per la sua esplosività), ma probabilmente potrei andare avanti giorni interi a parlare di autori che hanno influenzato la mia prosa.

 Quanto tempo dedichi alla scrittura  giornalmente?

Quando lavoro ad un libro, soprattutto alla prima stesura, mi impongo un programma di 1000 parole al giorno. Continuo finché non ho finito di scrivere quelle 1000 parole. Di solito ci riesco in una mattinata.

 Come hai cominciato a scrivere I Middlestein? Quale parte è arrivata inzialmente?

Ho iniziato dal secondo capitolo (anche se ovviamente pensavo che fosse il primo). Ho sentito una voce che si lamentava di doversi occupare delle madre malata e sono andata avanti da lì.

I Middlestein è un romanzo divertente, ma anche tragico e con momenti di grande tenerezza. Pensi che ci sia sempre un lato ironico in tutte le cose? È una visione che ci salva dalle tragedie della vita?

Sono una persona che cerca sempre di scacciare le lacrime con una risata e I Middlestein  rispecchia proprio questo tipo di atteggiamento.

Puoi dirci qualcosa sul tuo prossimo romanzo, Saint Mazie?

È ispirato alla vita di  Mazie Phillips.  Uno scrittore, Joseph Mitchell,  ha scritto di lei nel 1940 sul The New Yorker. (Il saggio è apparso più tardi in una sua raccolta intitolata The  Up in the Old Hotel).  Maizie ha gestito per vent’anni un cinema a Lower Manhattan, attraversando e superando anche il periodo della Depressione e ha vissuto in modo decisamente anticonvenzionale. Era un’ubriacona, una donna decisamente sconcia, ma lavorava instancabilmente per aiutare i senzatetto. Mi è sembrata una vera eroina.


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