Ogni domenica ti sentiamo parlare in maniera irriverente ed ironica di Walter, Yolanda. Qui, come madre di famiglia, non hai temuto un cortocircuito mediatico-sessuale tra la Luciana della tv e il personaggio del film?
Sì, ma Lucio ha lavorato per sottrazione. Io non sono quella della televisione, pirotecnica, carica, sono un personaggio molto più realistico. Lucio ha chiesto sempre di sottrarre, di togliere l’eccesso, quindi l’obbiettivo è stato sin dall’inizio quello di differenziare il mio personaggio televisivo da quello cinematografico di questo specifico personaggio. Si tratta di altro, di una storia per il cinema. La potenza di raccontare Walter e Yolanda in televisione si compie grazie ad una durata ridotta, perchè dura poco; al cinema avremmo rischiato di essere sgradevoli, volgari, grossolani. Quindi alla farsa abbiamo preferito una declinazione verso il realismo.
In questo senso sembra che tu sia più contenuta all’interno della sfera comica, privilegiando al contrario la dimensione malinconica e drammatica del personaggio.
Esatto, io dovevo raccontare di una mamma che vive una situazione del genere e che indossa proprio quei panni lì. Ho un figlio di 14 anni e una figlia di 17, quindi mi sono posta il problema: “ma se succedesse a me, cosa farei?” e devo dire che farei più o meno quello che ho fatto nel film. Questo rappresenta la differenza sostanziale tra lui e lei. Lei, come tutte le donne, cerca di convivere pacificamente con questa realtà, cerca di trovare un senso, parlandone col figlio, col marito, con la sorella. Tutto ha un senso ma non un verso, non sai dove va a finire. La reazione del marito, invece, è più basic: “Oh, madonna, non voglio saperne niente, non voglio vedere niente!”, “Ma se non ha preso da me, da chi ha preso? Forse questo figlio lei l’ha avuto da Sauro”. Per lui, sostanzialmente, il problema è di carattere pratico, non ci vuole convivere con questa storia e fa di tutto per cancellarla, compra tutti i dvd del film in edicola perchè nessuno lo venga mai a sapere.
So che hai letto il romanzo di Hornby quest’estate. Quindi l’idea del film nasce da questa lettura?
Io leggo tanto, uno o due libri alla settimana, in genere romanzi appena usciti, quindi spesso mi capita di comprare i diritti di libri per film nei quali non è necessario ci sia necessariamente una parte per me. In ogni caso possono essere delle belle idee, quelle che mancano costantemente, proprio allo scopo di raccontare qualcosa. In questo caso ho chiesto al mio agente di comprare i diritti e lui mi ha risposto: “figurati, Hornby li avrà già venduti”. Poi invece abbiamo scoperto che erano scaduti e quindi siamo riusciti a riacquistarli. In seguito abbiamo contattato Lucio che ci sembrava la persona ideale per girarlo, trattando il tema con leggerezza, evitando di farne una cosa grossolana. Abbiamo cercato di rimanere molto fedeli al libro. Anche per quanto riguarda le caratteristiche del luogo. L’abbiamo scovato a Torino, a Collegno, in un vecchio quartiere industriale dell’azienda tessile Leumann, le cui case sono ricavate dalla borgata in cui vivevano un tempo gli operai.
Non hai avuto un contatto diretto con Hornby?
Purtroppo no e devo dire che forse non avrei nemmeno potuto farlo perchè io l’inglese lo conosco pochissimo.
La tesi del film, in fondo, è che la pornografia sia il meno peggio rispetto alle droghe, alla violenza e quant’altro. Cosa ne pensi?
Sì, alla fine del film il mio personaggio, in qualche modo, tira le fila del discorso e si rende conto che di fronte ai veri drammi della propria vita - aver perso un bambino e la morte del padre – il caso del figlio pornodivo non sia una cosa così sconvolgente, anzi ha rappresentato un modo per ritrovare la complicità sessuale e comunicativa col marito. La cosa sorprendente è che non ci pensi mai. Se pensi a cosa potrebbe accadere di brutto a tuo figlio, non pensi mai all’ipotesi che sia diventato una porno-star. Piuttosto pensi che sniffi cocaina, si sia spiaccicato con la macchina da qualche parte. L’ultimo pensiero della tua vita è che giri dei porno e in più che sia addirittura superdotato. Però, in effetti può capitare, i superdotati sono così, nascono nelle case comuni. Siffredi è uno di questi.
Hai detto che Siffredi è stata una delle esperienze più devastanti della tua vita.
Sì, è stata complicata, durante una trasmissione televisiva, in viaggio da Roma a Milano. Mi avevano chiesto di scegliere tra il cardinale Milingo e Rocco Siffredi, allora io ho scelto il secondo per paura di offendere l’istituzione religiosa, rischiando un incidente diplomatico. Insomma con Rocco Siffredi mi sembrava più facile. L’idea della trasmissione era molto bella. Sei in viaggio, preceduto dall’auto della regia con la macchina da presa, devi andare molto piano, per non far ballare le telecamere montate sul cruscotto. Partiamo, allora Rocco mi dice: “Guarda, devi guidare tu perchè io sono molto stanco, ho girato tutto il giorno”. Allora guido io e dopo dieci minuti vedo la macchina della regia che svolta verso una piazzola facendo segno di fermarci. Quindi penso: “mah, abbiamo già bucato, cosa è successo?”. Scende dall’auto Luisa Pistoia, la produttrice e inventrice del programma e mi dice: “guarda per me possiamo finire qui, forse ti ha urtato, ti ha dato fastidio, lo posso capire; è stato così aggressivo e poi non possiamo nemmeno usare quello che ha detto”. Io allora ho risposto: senti, siamo qua, andiamo avanti”. Sono arrivata a Linate, mi sono seduta su un gradino dell’aeroporto e non ce la facevo più. Ho detto: “non ne posso più, portatemi via da questo minchione, minchione in tutti i sensi. Basta!”. Del resto, non è colpa sua, è anche una questione di circolazione del sangue, ce l’ha tutto lì e quindi…il sangue o circola giù o circola su.
Nel film sembra che l’equazione della questione sessuale sia un po’ troppo semplice. Non avete mai pensato di rielaborare il romanzo utilizzando una protagonista femminile, piuttosto che un ragazzo superdotato?
Ma in che senso, con una ragazza dalla Yolanda spropositata?
No, semplicemente una ragazza che si avvicina al mondo della pornografia per noia o per soldi.
Certo, avremmo potuto raccontare la storia in modo analogo, ma sicuramente l’espediente del Walter spropositato ci è sempre sembrato più divertente. La questione delle misure è ovviamente una fissazione molto più maschile che femminile.
A cura di Marco Pellegrino
Scritto da Redazione il mar 25 2012. Registrato sotto INTERVISTE, TAXI DRIVERS CONSIGLIA. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione