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Intervista a Luigi Balocchi

Creato il 15 dicembre 2011 da Angeloricci @angeloricci
Luigi Balocchi è uno scrittore delle mie parti. Una definizione questa che porta con sè tanti significati, non ultimo il rapporto che unisce il suo scrivere alla pianura che, come per me, è la sua terra. E' autore dei romanzi Il diavolo custode (Meridiano Zero) e Un cattivo maestro (Mursia).
Luigi Balocchi mi autorizza a indicare la sua mail: [email protected]

In quello che scrivi c’è grande attenzione per la tua terra, per i tuoi luoghi. Esiste un nesso tra storie e luoghi? E, se esiste, quanto i luoghi influenzano le storie? E quanto influenzano chi le scrive?
Io sono una bestia territoriale. Non sono un migratore. Prendo forza e nutrimento dalla terra in cui vivo. E’ il mio universale. E ma stan tanto sui ball quelli che vivon qui e sognano di essere a New York. Ci andassero a New York e non rompessero più i coglioni. Mi stòn ben chì. E’ la Terra a darti il senso, non le idee. Servon niente le idee. Tutto viene conseguente.
Hai un particolare stile di scrittura con rimandi forti al dialetto. Tuttavia non ne sei schiavo. Anzi, arrivi quasi all’invenzione di una lingua nuova, quasi un grammelot molto intenso che permea le tue opere. Quanto conta per te lo stile nella struttura di un romanzo?Lo stile è tutto. La lingua è come la terra. Se non la impasti con acqua, concime e sudore vien fuori un bel niente. E’ traverso il dialetto che ho scoperto l’eufonia della parola. Scrivo seguendo un mio spartito mentale. Per me la scrittura è musica. E’ ballo.  
Non si può certamente tacere del fatto che uno dei tuoi modelli sia Lucio Mastronardi, lo proclami tu stesso. Cosa ti lega a questo autore dal punto di vista narrativo, letterario e umano?Mi lega il fatto che la vita ci ha portato a nascere nello stesso giorno, a fine giugno, e a fare lo stesso mestiere, al maestar elementar, quello stesso che forse ha menato lui al suicidio e me stesso ad una sorta di lucido squilibrio mentale. C’è molto tra me e Mastronardi. Nel senso proprio della vita. Che è quella che è, ossia come la scala di un pollaio curta e pin ad merda.
Secondo te che rapporto c’è oggi, nel panorama italiano, tra autori ed editori? E i lettori, quanto contano?C’è un rapporto di mera pecunia. L’editore ti pubblica se è convinto di poter guadagnare su di te. Credo che sia finita l’epoca dell’editoria eroica, quella insomma che faceva pubblicare per Mondadori a Milano le poesie di un Delio Tessa. E ciò pur sapendo che mai, di quel libro, se ne sarebbe venduta una copia. I lettori, poverini, fan quel che possono. C’è tanta di quella spazzatura in giro che è difficile davvero saper scegliere.  
Quali sono i tuoi progetti futuri?Stà foeura di ball di fastidi, innanzitutto. Dormire, camminare, scrivere. Poi sperare nella pubblicazione di qualche altro mio romanzo. Siamo in un momento critico. Se prima gli editori ci pensavan su due volte ora di rischiare non ne hanno più voglia. Non so davvero come andrà a finire.
Ultima domanda: hai qualche consiglio per chi ha un libro nel cassetto e vuole tentare l’avventura della pubblicazione?Gli dico di mandarlo alle case editrici che conosce. Poi, non prima dei sei mesi a farla buona, attendere una risposta. Se positiva, la pubblicazione non avverrà prima dell’anno e mezzo. Buona fortuna.

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