Lo scorso giugno ero in Cambogia, dove ho avuto l’occasione di incontrare Mary, una lettrice del mio blog che aveva cambiato vita e si era trasferita a Phnom Penh. Una serata davanti a un piatto di spaghetti ed è nata un’amicizia. Le ho chiesto di raccontarsi in un post: non sia mai che, leggendo la sua storia, qualcuno di voi trovi la forza per mollare tutto e inventarsi una nuova vita.
Il mio viaggio è iniziato nel 2011 quando, da un piccolo paese della provincia brianzola, sono finita in Spagna.
Mi ero appena laureata in marketing management e avevo finito da poco uno stage in un’azienda importante a Milano: sentivo che era arrivato il momento di spiccare il volo. Si era concluso anche un periodo molto difficile della mia vita durato due anni e culminato con una perdita di uno dei grandi punti di riferimento della mia vita. Ho sempre amato viaggiare, conoscere culture diverse e studiare le lingue straniere. Avrei tanto desiderato studiare per un periodo all’estero con il programma Erasmus, ma per motivi familiari non avevo potuto farlo.
Ho iniziato così a cercare degli stage all’estero e nel gennaio 2011 sono partita per Madrid. Un altro stage, un’altra grande azienda nel settore viaggi e turismo. Ero molto entusiasta, mi sembrava che la vita mi stesse dando indietro il tempo e le esperienze che mi sembrava di aver perso. Era come fare un Erasmus, ma pagato. I primi mesi sono stati difficili, in fondo era la mia prima esperienza all’estero da sola, non conoscevo la lingua e dovevo abituarmi alla mia nuova vita. L’ambiente di lavoro era all’apparenza tutto ciò che si può – e che credevo di –desiderare: azienda solida e multiculturale, tanta professionalità, possibilità di inserimento al termine dello stage e vita stabile nella bellissima e vivace Madrid.
Con il passare del tempo, però, mi sono resa conto che ero più interessata all’esperienza di crescita che stavo facendo che al lavoro in sè. Ho iniziato a domandarmi se il marketing fosse veramente la mia strada. Sono andata avanti con questo dubbio per un po’ di tempo, i giorni si facevano sempre più pesanti e la mia motivazione calava sempre di più. Ho cercato di negare queste sensazioni, ma come sempre accade, è stato poi il mio fisico a lanciarmi dei segnali che a quel punto non potevo più ignorare.
Quell’ambiente che sembrava così perfetto iniziava a starmi stretto. Per lavoro, facevo viaggiare molte persone, organizzavo eventi in tutto il mondo, ma io rimanevo incollata alla mia scrivania. E così ho iniziato a viaggiare. Ogni weekend ero in una città nuova in Spagna, Portogallo, Marocco. 19 weekend alla fine dello stage, 19 weekend da qualche parte. Il fine settimana mi sentivo viva e rigenerata, in settimana ero spenta e senza sorriso. Mi sembrava di percorrere una strada senza via d’uscita.
Ogni giorno scambiavo email con fornitori e colleghi del Sud Est Asiatico e dell’area del Pacifico, e sempre più spesso fantasticavo su quei posti con cui ero sempre in contatto. Sapevo della possibilità di trascorrere un anno in Australia con il Working Holiday Visa, un’esperienza che mi incuriosiva e un giorno di novembre, dopo mesi trascorsi tra dubbi e paure, il mio cuore ha urlato: Australia. Le mie prime reazioni sono state di negazione: No, non posso farlo. Ho studiato marketing, devo lavorare nel marketing, no? C’è la crisi, è una stupidata. Cosa farò laggiù? Era la paura che bussava.
Dopo alcuni giorni, ho deciso. Visto richiesto e biglietto prenotato.
In famiglia la notizia non è stata accolta bene, anzi. Ma non c’era nessuno che mi potesse fermare.
E così a fine gennaio 2012 sono partita per l’Australia. Una grande perdita da superare, un lavoro che non mi piaceva, un amore a senso unico. Perth, la capitale più isolata del mondo, sembrava la destinazione perfetta per me, lontana da tutto e da tutti. Non sapevo bene quello che cercavo all’ epoca, volevo solo andarmene. Zaino da 16 kg, passaporto e 4000 euro circa. Piani: nessuno
Le prime impressioni Down Under sono state di libertà: questa luce così abbagliante, questi spazi immensi, la natura così maestosa. L’Australia era spettacolare, il punto di partenza del mio viaggio, ma non il posto in cui volevo stare. Cara e troppo ordinata per la mia mente caotica.
Ho trovato lavoro (anche se mi ci sono volute 3 settimane) prima come barista nell’Outback e poi come donna delle pulizie in un’isola bellissima vicino a Perth. Non guadagnavo molto, ma di fatto non spendevo nulla (mi fornivano stipendio, vitto e alloggio). Questo mi ha permesso di coprire il mio soggiorno di 3 mesi in Australia.
Piano piano, ho iniziato ad avvertire il desiderio di conoscere culture completamente diverse e, complice anche un libro di Terzani (“Un indovino mi disse”) dopo 3 mesi in Australia, ho avuto il mio primo contatto con l’Asia: Bali! E da lì Java Est, Malesia, Singapore, Thailandia e Filippine per un totale di 5 mesi nel Sud Est Asiatico.
Ho fatto couchsurfing in quasi tutti i Paesi, a periodi alterni, e conosciuto persone fantastiche. E’ stata un’esperienza “sconvolgentemente bella”, come la definisco sempre. Mi sono dovuta confrontare con grandi periodi di solitudine, con le mie zone d’ombra, quelle che temevo, sono dovuta diventare amica di me stessa. Mi facevo trasportare solo dall’istinto, proprio io che amavo così tanto i punti elenco e tutto ciò che aveva a che fare con l’organizzazione!
Tutte le persone che ho incontrato mi hanno arricchito e hanno reso il viaggio un’esperienza indimenticabile, ma ce n’è stata una in particolare che mi ha poi portato dove sono ora, una donna che aveva insegnato 14 anni a Bangkok, aveva viaggiato in tutto il mondo e con cui avevo legato subito. Dopo quell’incontro, all’apparenza casuale ma credo già scritto nel destino, ho deciso di prendere il CELTA per insegnare inglese in tutto il mondo (da piccola alla domanda: cosa vuoi fare da grande rispondevo sempre: l’insegnante e a Madrid avevo insegnato italiano all’interno dell’azienda dove lavoravo, una delle esperienze più gratificanti della mia vita) e di prendere la via del ritorno. Il Sud Est Asiatico mi aveva curato l’anima, mi ero ritrovata in quel caos logico, dove tutto è il contrario di tutto, ma viverci, proprio no! Quell’umidità, quella lingua incomprensibile, no proprio no!
Ero veramente felice, il viaggio era diventato una routine, non mi entusiasmava più come quando ero partita, avevo rimesso insieme i pezzi del mio cuore e mi sentivo rigenerata.
Avevo voglia e bisogno di tornare a quella che era stata la mia casa per 24 anni, di tornare alle origini perchè, come dice un proverbio africano,“se non sai da dove vieni, non sai mai dove stai andando”. Non avevo grandi piani, sapevo solo di non voler andare ancora dall’altra parte del mondo: volevo restare a due ore di volo da Milano.
Appena ho messo piede in Italia, mi sono dovuta scontrare con la dura realtà. Io ero molto cambiata e così anche le persone e i luoghi che avevo lasciato. Non era più dove volevo stare. Dopo 6 mesi di alti e bassi, ho capito che quello da fare era altro. Sarei dovuta tornare nel Sud Est Asiatico, la naturale continuazione del mio viaggio. Avevo molta paura. Non era il “piano” che avevo in mente, non avevo nessuna garanzia (per trovare lavoro come ESL teacher – insegnante di inglese come seconda lingua straniera – occorre essere sul posto) e neanche tanti soldi disponibili, poco più di 1000 euro.
Il grande salto sarebbe stato ora.
Questi i motivi che mi hanno portato in Cambogia ad aprile 2013: un libro di Terzani, un visto facile da ottenere e l’apertura verso i non madrelingua inglesi (in altre parti dell’Asia e del mondo è molto difficile trovare lavoro come insegnante se non si è madrelingua inglese). L’impatto con questo “Regno delle Meraviglie” non è stato facile. La Cambogia è un paese molto povero, totalmente diverso dalla vicina e sviluppata Thailandia. A volte quello che ci viene chiesto è un atto di fede e di fiducia della serie “Segui il tuo cuore e vedrai”.
Una volta arrivata in Cambogia, ho trovato lavoro come insegnante di inglese in una scuola internazionale di Phnom Penh in 2 giorni!
Dopo alcune settimane di assestamento, mi sono messa alla ricerca di un NGO (Organizzazione Non Governativa) dove poter fare volontariato durante i weekend. La Cambogia è uno dei Paesi al mondo con il più alto numero di NGO registrate per persona, ma non tutte sono organizzazioni valide.
E poi, ancora una volta, l’occasione si è presentata alla mia porta. Quasi per caso, sono venuta in contatto con un’Associazione che si occupa di bambini di strada, l’altra faccia della Cambogia, e che, giornalmente, fornisce loro un pasto gratuito.Cercavano un’insegnante di italiano per lo staff che ha frequenti comunicazione con i donatori italiani (Waltzing Around Cambodia onlus), e non ci ho pensato due volte.
Da settembre, dunque, insegno italiano in Cambogia, esattamente l’ultima cosa che mi aspettavo di fare qui… non a caso questo Paese è definito “Il Regno delle Meraviglie”! E’ un’esperienza bellissima che mi sta arricchendo molto e che forse mi sta trattenendo qui più di tutto il resto.
In una settimana, parlo 4 lingue: inglese a scuola, francese con gli amici – la comunità francese è molto estesa qui a Phnom Penh- , italiano nei weekend e Khmer, che sto cercando di imparare. Faccio un lavoro che mi piace, pur avendo delle giornate no, e soprattutto mi sveglio col sorriso.
Mi sembra che dopo aver rovesciato tutti i pezzetti del puzzle della mia vita, li stia mettendo a posto a poco a poco.
In Khmer la domanda “Come stai” si traduce con “Sok Sbay te?” che letteralmente significa “Sei felice?”. La mia risposta è sì, sono felice! La Cambogia, per adesso, è casa mia. Non ho piani, mi sento sempre in viaggio anche se fisicamente sono ferma e cerco di essere flessibile il più possibile. Tutto può cambiare in qualsiasi momento e se accadrà, seguirò il flusso degli eventi come ho fatto finora. “La felicità è il viaggio, non la destinazione”.