Intervista a Massimo de Luca

Creato il 23 agosto 2013 da Simo785

Dall’archivio del Bar Frankie, pubblicazione originale del Novembre 2012.

Frankie intervista in esclusiva Massimo De Luca, ex-Direttore di Raisport ed ex-conduttore di trasmissioni sportive di successo quali “tutto il calcio minuto per minuto”, “La Domenica sportiva”, “L’appello del Martedì” e “Pressing Champions League”.

10 domande per 10 risposte, in esclusiva, solo per il Bar Frankie !

1- Sig.De Luca, Lei ha condotto la mitica trasmissione radiofonica “tutto il calcio minuto per minuto”, ai quei tempi il calcio aveva un “sapore” diverso, si immaginava, si attendeva la Domenica pomeriggio per godere di un’ora di immagini, che sensazioni vive nel modo di vivere il calcio di oggi rispetto ad allora?

- Era veramente un’atmosfera diversa. Stiamo parlando degli anni dal 1987 al 1992, le dirette-pay ancora non esistevano e tutto si giocava la domenica pomeriggio, in contemporanea. Chi voleva davvero essere informato sul campionato si sintonizzava necessariamente su “Tutto il Calcio”, per cui avevi realmente la sensazione di parlare a tutto l’ambiente del calcio italiano (e così era). Dirigere un’orchestra che comprendeva Ameri, Ciotti, Provenzali, Ferretti, con i giovani Gentili, Cucchi, Dotto di rincalzo ,era veramente gratificante.

 2- Lei ha condotto anche molte trasmissioni sportive di successo, senza far torto a nessuna di queste, quale in assoluto ha vissuto a livello personale in modo più intenso?

- Non dimenticherò mai l’emozione di succedere, appunto nell’87, all’età di 37 anni a una leggenda come Roberto Bortoluzzi. Tutto il Calcio era nato con lui e per 27 anni non c’era stata altra voce dallo studio, tranne una domenica in cui, indisposto, fu sostituito, se ricordo bene, da Massimo Valentini, collega (e amico caro) che poi, dal ’76, fu il primo conduttore del TG-1, quando la riforma della Rai sdoppiò i due telegiornali (la Rete 3 ancora non esisteva).

In tv, il ricordo cui tengo di più sono i 7 anni di Pressing Champions League in tandem con un personaggio veramente leggendario come Raimondo Vianello, col quale l’intesa umana e professionale era totale. Mi sta nel cuore anche l’edizione ’93-’94 de “L’Appello del Martedì”, in cui decisi di uscire dagli schemi, allora imperanti, dell’eterno dibattito e dedicai la parte centrale di ogni puntata a un personaggio famoso del mondo del calcio per un faccia a faccia mutuato, se vogliamo, dagli schemi di Mixer. Fu un’esperienza bellissima: il personaggio (ricordo, fra gli altri, Gullit, Franco Baresi, l’avvocato Prisco) si confessava, stimolato anche da filmati, interviste, testimonianze sulla sua storia. Ho ancora , in qualche faldone, il ritaglio di un’intervista del Corriere dello Sport a Pippo Baudo che, parlando di programmi sportivi tv, definì quel format dell’Appello “una straordinaria pagina di televisione”.

3- Nella sua carriera ha lavorato sia per la Rai che per Mediaset, sono due realtà completamente diverse o è riuscito a cogliere anche molti punti comuni?

 - Erano davvero due realtà molto diverse, quando passai dall’una all’altra nel ’92. Piccola, agile e molto motivata Mediaset (che nemmeno si chiamava ancora così, perché la quotazione in Borsa è di qualche anno dopo): mi accorsi subito che c’era un’adesione al progetto, e una fortissima motivazione a migliorare la qualità del prodotto, che in Rai era quasi impensabile. La Rai era (ed è) mastodontica, burocratizzata, ipersindacalizzata: in una parola, parastatale. Però anche ricca di tradizione, esperienza, dotata di un patrimonio storico unico. In Mediaset c’è un solo padrone, e con quello, da Direttore, fai i conti. In Rai, come sappiamo, sono in tanti a sentirsi padroni: e ognuno fa sentire la sua voce.

4- Dirigere trasmissioni sportive di primissimo piano e grandissimo riscontro mediatico deve essere una grande responsabilità, quali sono state le maggiori difficoltà che ha incontrato nel suo lavoro di Conduttore?

- Ho attraversato tutta la fase in cui imperava l’esasperazione, la contrapposizione, la radicalizzazione del dibattito. Su mandato preciso di Silvio Berlusconi (che ai tempi non era ancora in politica) ho importato invece una tv fatta più di analisi e di pacatezza. Ma non era facile coniugare la pacatezza con gli ascolti, quando altrove dominava la forzatura, la ricerca dello scontro per fare audience. Ho continuato sulla mia strada anche quando, da Direttore, sono tornato in Rai nel 2006.

 5- Lei di campioni e personaggi importanti ne ha visti e conosciuti tanti, quale fra tutti questi è la persona che l’ha colpita di più a livello umano ?

 - Di Vianello ho detto, e mi manca. Avevo un rapporto umano bellissimo con l’avvocato Prisco (ogni Natale mi mandava un biglietto di auguri “al mio intervistatore preferito” e aggiungeva saluti per mia mamma – allora in vita – perché gli avevo detto che era una sua grande ammiratrice pur non capendo niente di calcio. E lui aggiungeva, alla sua maniera: “Un tempo mi ammiravano le figlie, ora mi accontento delle mamme”). Ho apprezzato in Leonardo la disponibilità e la signorilità, così rare nel nostro calcio. Ho lavorato benissimo con Giovanni Galli, campione e uomo di qualità altissima che ha saputo perfino trasformare una tragedia come la morte di suo figlio in uno stimolo all’attività benefica, attraverso la fondazione intestata al suo Nicolò. A livello di spontaneità umana, mi colpì Franco Sensi, lo scomparso presidente della Roma. Facemmo insieme sulla sua macchina un tragitto Fiumicino-Roma, arrivando entrambi da Milano. Cominciò a confidarsi su tutto (la Roma, l’economia, la sua storia di imprenditore) svelando particolari e emettendo giudizi che – se li avessi riportati – avrebbero avuto un’eco incredibile. Ma non ho mai spacciato per interviste conversazioni confidenziali.

 6- Quale è stato l’episodio che l’ha colpita maggiormente nella sua lunga e bella carriera?

 - Non posso dimenticare l’11 settembre e spiego perché. Era un martedì, il primo martedì della Champions League 2001-2002. La mia trasmissione era, ovviamente, in palinsesto. In quelle tragiche ore di concitazione non si capiva se si sarebbe giocato e/o se si sarebbe andati in onda. Intano scorrevano le tremende immagini del secondo aereo, del crollo, dei suicidi dalle Torri. L’UEFA decise di far giocare le partite (poi rinviò il turno del mercoledì). Alla fine la Direzione Generale di Mediaset decise di mandarci in onda: io da solo, senza pubblico, senza Raimondo Vianello, senza interviste. Io, filmati, classifiche. Fu difficile trovare il tono giusto. La mattina dopo, i risultati d’ascolto furono sorprendenti: il 27% d’ascolto (più o meno il doppio della nostra media abituale). Evidentemente, nel pieno di quell’immane tragedia, nell’angoscia di immaginare cosa sarebbe potuto ancora succedere di lì a poco, la gente aveva cercato un piccolo, momentaneo rifugio dalle paure.

 7- Quale invece è stato l’episodio che tornando indietro vorrebbe “cancellare”?

 - La sera della morte di Andrea Fortunato. Anche qui siamo a un martedì, era il 1995 e conducevo la terza e ultima stagione de “L’Appello”. La notizia arrivò nel tardo pomeriggio, ma per me fu come se mi stesse scoppiando qualcosa dentro, non solo per il dolore per il povero Andrea, stroncato dalla leucemia. Io sapevo che la mattina dopo, a Roma, mio figlio, allora 19enne, si sarebbe sottoposto a un doloroso “puntato midollare” proprio per stabilire se quel male con cui stavamo cercando di combattere da qualche settimana fosse leucemia. Leggere, in apertura di trasmissione, la notizia della morte di Andrea è stata l’impresa più difficile della mia carriera e, per la prima e unica volta, ho avuto qualche difficoltà a completare la lettura, con la voce rotta dall’emozione. Vorrei davvero cancellare tutto di quel giorno, e in primis la morte di Andrea. Quanto a mio figlio, grazie a Dio, dopo un altro mese di angoscia e diagnosi incerte, tutto si risolse per il meglio. Misteriosamente, come ebbe a dirmi in persona il professor Mandelli, il massimo ematologo italiano che, di fronte alla guarigione, disse a me e a sua madre: “Non chiedetemi cosa ha avuto vostro figlio. So solo dirvi che è guarito”. Come dimenticarlo ?

 8- Lei ha scritto insieme a Pino Frisoli il libro “Sport in TV”, ci racconta da cosa è nata questa idea e di cosa tratta il vostro libro?

 - L’idea e la rigorosissima ricerca sono di Frisoli. Me le ha sottoposte, mi sono piaciute molto gli ho proposto di integrarle con 10 mie testimonianze . Così è stato e ne è nato, credo, un bel libro di cui ho un merito molto marginale.

 9- Oggi lo sport in Tv è assolutamente cambiato rispetto ad anni fa, la mia opinione è che si tende a una maggiore “spettacolarizzazione” per aumentare l’audience mentre prima era più “essenziale” come se dovesse esclusivamente fornire una buona informazione, Lei da che parte si schiera ?

 - Chi ha letto il libro, ma anche chi mi segue da tempo, sa perfettamente da che parte io mi schieri. Dalla parte dell’essenzialità, dell’analisi lucida, della consapevolezza che non si sta parlando della terza guerra mondiale. Quanto alle telecronache, e alla loro esasperazione spettacolare, sono dalla parte del ritmo, non della concitazione, del racconto, non dell’urlo, dell’emozione non della drammatizzazione. Non sopporto i protagonismi imperanti: sono stato e sono amico fraterno di Martellini, Pizzul, Ciotti; ho avuto sui miei campi di “Tuttobasket” un fuoriclasse come Aldo Giordani; ho frequentato tanto, anche per motivi familiari, un signore come Alberto Giubilo, la voce dell’ippica e dell’equitazione in Rai. Nessuno di questi strillava né si atteggiava a personaggio. Eppure sono nella storia.

 10- Sig.De Luca, ci dice in esclusiva per Noi del “Bar Frankie”, se dovesse scegliere solo un nome, a chi assegnerebbe il titolo di “miglior giocatore di tutti i tempi” ?

 - Non ho alcun dubbio: Maradona.

 

SIG.DE LUCA, La ringrazio della cortese disponibilità, un caloroso saluto da tutta la nostra redazione e…un arrivederci fra i tavoli del “Bar Frankie” !


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