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Intervista a Mauro Franceschi, terza parte

Creato il 26 maggio 2010 da Empedocle70
Intervista a Mauro Franceschi, terza parte
Quale significato ha l’improvvisazione nella sua ricerca musicale? Si può tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?
Credo non si debba dimenticare che Bach, Mozart, Beethoven e Chopin erano anche ottimi improvvisatori. Nella scuola organistica è ancora in uso lo studio di tecniche improvvisative. L’improvvisazione non è patrimonio jazzistico, o contemporaneo, è stata semplicemente lasciata in un angolo dalla tradizione colta europea per un poco di tempo, ma è ricomparsa nel secolo passato sottonuove forme, penso ad esempio alla Serenata per un satellite di Maderna, e nel frattempo non è mai scomparsa da molte altre tradizioni. Come detto prima, personalmente mi affascina “improvvisare con le note scritte”, come accade nell’interpretare IN C di Riley e nel repertorio chitarristico che prediligo, meno o nulla improvvisare su un giro di accordi.
Nel 1968 Derek Bailey chiese a Steve Lacy di definire in 15 secondi la differenza tra improvvisazione e composizione, la risposta fu “In 15 secondi la differenza tra composizione e improvvisazione è che nella composizione uno ha tutto il tempo di decidere che cosa dire in 15 secondi, mentre nell’improvvisazione uno ha 15 secondi” .. la risposta di Lacy era troppo ironica o corrisponde a verità?
E’ una risposta simpatica e in buona parte condivisibile, non si deve dimenticare però che in quei 15 secondi l’improvvisatore utilizza tutto il sapere accumulato a tal fine.
Qual è il ruolo dell’Errore nella sua visione musicale? Dove per errore intendo un procedimento erroneo, un’irregolarità nel normale funzionamento di un meccanismo, una discontinuità su una superficie altrimenti uniforme che può portare a nuovi sviluppi e inattese sorprese...
La sua domanda mi ricorda un bel momento della mia vita, non solo musicale. Ero a New York, avevo l’occasione di sottoporre a Scott Johnson le musiche che stavo scrivendo per una versione del Romeo e Giulietta shakesperiano, e imparare da lui. Le musiche che avevo composto per una scena erano corrette, gradevoli, ma nulla più. Johnson mi disse: “ Mauro, make the right wrong thing”, e ascoltammo il Romeo e Giulietta di Prokofiev, le sue melodie mozartiane e le sue armonizzazioni “really right wrong!”.
Parliamo di marketing. Quanto pensa che sia importante per un musicista moderno? Intendo dire: quanto è determinante essere dei buoni promotori di se stessi e del proprio lavoro nel mondo della musica di oggi?
Moltissimo, ma voglio dire a quanti come me non ne sono capaci, di non demordere.
Come vede la crisi del mercato discografico, con il passaggio dal supporto digitale al download in mp3 e tutto questo nuovo scenario? Tutta questa passiva tendenza ad essere aggiornati e di possedere tonnellate di mp3 che difficilmente potranno essere ascoltati con la dovuta attenzione non comporta il rischio di trascurare la reale assimilazione di idee e di processi creativi?
Concordo pienamente. Mi ricorda un simpatico allievo quindicenne che al secondo appuntamento mi presenta estasiato il suo nuovo I-Pod, pieno di tantissima musica: ma non sapeva cantare la melodia di più di un paio di hit, ne trascrivere a orecchio nessuno degli assoli dei suoi eroi. E’ l’effetto fotocopia, l’illusione di conoscere per il solo fatto di possedere.
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