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Intervista a Michele Monina

Creato il 02 febbraio 2012 da Angeloricci @angeloricci
Michele Monina da sempre spazia tra la letteratura, la saggistica e la musica e ha pubblicato con editori come DeriveApprodi, Pequod, Castelvecchi, Guanda, Mondadori. Vero e proprio esploratore della cultura pop ha scritto, tra le altre cose, le biografie di Vasco Rossi, Laura Pausini, Fabri Fibra e Valentino Rossi.

Michele, c’è differenza tra scrivere un racconto o un romanzo e scrivere invece la biografia di una rockstar? O, forse, sono soltanto facce diverse di un’unica narrazione?
Nel corso degli anni sono passato attraverso quelli che convenzionalmente vengono definiti generi con una certa agilità. Personalmente non ho mai capito il motivo di queste distinzioni, e in quanto scrittore, nato nella narrativa e poi passato alla saggistica e alla cosiddetta varia, ho sempre pensato che scrivere è scrivere, a prescindere dalla sezione della libreria dove poi i miei libri sarebbero finiti. Se poi proprio non possiamo uscire da questi cliché, io sono e resto un narratore, al limite un narratore in prestito alla saggistica.
Nel tuo ultimo libro, 10 modi per diventare un mito (e fare un sacco di soldi), edito da Laurana, descrivi molto di quello che c’è dietro la creazione di una rockstar o popstar di successo. Oggi il successo in campo musicale passa proprio solo attraverso uffici stampa e campagne create a tavolino? La bella storia, da film americano, del giovane di belle speranze che suona per strada e viene scoperto per caso dal grande discografico è soltanto una bella storia da film?No, credo che esistano quelle belle storie da film anche nel mondo reale. Che siano rarissime, ma possibili. Resta comunque il fatto che il tipo che suona in strada diventa una star solo dopo che l'ha intercettato il grande discografico, nei film americani. Quindi quel passaggio è necessario. O meglio, è necessario trovare il modo di far passare il talento del tipo che suona in strada da quella strada al resto del mondo. In questo la rete fa molto, ma la rete da sola è semplicemente una strada più grande e molto ma molto affollata. Diciamo che talento e lavoro fatto a tavolino sono il giusto mix.
Se i talenti musicali vengono trovati ormai attraverso i reality la domanda sorge spontanea: la case discografiche fanno ancora scouting?Le case discografiche non fanno scouting almeno da dieci anni. Forse anche di più. Del resto non esistono quasi più, le case discografiche. Stanno implodendo. Morendo per dolce morte autoinflitta. Lo scouting lo fanno i produttori, quei pochi capaci, e anche un po' noi critici musicali. Io, nel mio piccolo, almeno un paio di artisti poi arrivati al successo li ho intercettati prima che diventassero famosi...
Nel mondo dei libri la rete ha rivoluzionato l’universo della critica. Ormai di libri si parla sui blog, le riviste letterarie hanno quasi tutte abbandonato il cartaceo per trasferirsi online, nei social come anobii e goodreads sono ormai i lettori che scrivono, parlano e giudicano i libri e gli editori cominciano ad accorgersene. Che impatto ha avuto il web sulle riviste musicali (mi riferisco al mitico Rolling Stone, a Uncut, ma anche, per esempio, al nostrano Il Mucchio Selvaggio)? Il giornalismo che si occupa di musica, penso a mostri sacri come Riccardo Bertoncelli o a eretici geniali come Piero Scaruffi, ha ancora un senso?Il mondo dell’editoria e quello della discografia sono distanti e incompatibili, credo, e lo dico a ragion veduta, visto che da sempre frequento assiduamente entrambi. Anche se la rete ha in qualche modo sparigliato le cose anche nel mondo della musica. Oggi la Bibbia non è più Rolling Stone (parlo della versione americana, perché quella italiana, nella quale ho anche scritto per i primi quattro anni di vita, non è mai stata la Bibbia alcunché), ma Pitchfork, che è un sito musicale. E i critici più interessanti si muovono in rete, più che sul cartaceo. Ovviamente, essendo la rete libera, oltre a nomi credibili e accreditati, sul web si muovono anche immensi ciarlatani, e scegliere chi seguire è rischioso e difficile (non c’è un direttore e un editore che ci mette la faccia, spesso, almeno riguardo ai blog). In Italia, invece, la faccenda è un po’ diversa. I giornali musicali stanno chiudendo tutti, e non c’è stato un ricambio in rete. Io ho scritto a lungo per Tutto Musica, che era la rivista leader del mercato, che ha poi chiuso. Ho scritto su Rockstar, che era la numero due, e che ha seguito la stessa sorte. Mucchio è da tempo diventata rivista di ultranicchia e sta rischiando di chiudere. Questo anche grazie a nomi vecchi e incapaci di farsi da parte, come lo stesso Bertoncelli, ma anche i vari Massimo Cotto e affini, lì, attaccati alla sedia manco fosse questione di vita o di morte. Ecco, loro dovrebbero abbandonare la professione, e lasciarla fare a chi ci mette ancora passione. E magari anche un po' di stile.
Credi che la stessa macchina organizzativa che crea un mito della musica, ovviamente fatte le debite proporzioni, possa anche creare un mito della letteratura?Guarda, su questo ti chiedo qualche mese di tempo. Sto lavorando in quella direzione, ma al momento non posso dirti altro.Un’ultima domanda. Ma tu volevi fare la rockstar, vero?Io sono una rockstar. 

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