Intervista a Pietro Ichino a cura di Andrea Di Stefano pubblicata il 22 febbraio 2015 dai quotidiani locali del gruppo L’EspressoProfessore qual è il suo primo giudizio sui decreti approvati ieri dal Governo?Complessivamente molto positivo: in questi decreti ci sono tutti i pilastri essenziali della riforma che occorre per voltar pagina rispetto al regime di job property, e all’inefficienza e al dualismo fra protetti e non protetti che ne consegue.
Quali pilastri?Flessibilizzazione e generalizzazione della disciplina dei licenziamenti, trattamento di disoccupazione di livello europeo ed esteso a tutti, integrazione tra strutture pubbliche e agenzie private specializzate attraverso il contratto di ricollocazione, libertà di scelta dell’agenzia da parte del lavoratore, retribuzione della stessa a risultato, estensione della protezione a tutta l’area caratterizzata da sostanziale dipendenza economica del lavoratore.
Si considera il padre nobile di questa riforma?“Nobile” no di certo. “Padre” è un’espressione davvero eccessiva; anche perché alla stesura di questi testi hanno contribuito in modo decisivo anche altri giuslavoristi, tutti di grande valore. È vero però che l’idea del contratto a tutele crescenti come forma normale di assunzione è frutto di un progetto che ho incominciato a proporregià nel 1989, e che ha preso compiutamente forma nel mio libro del 1996Il lavoro e il mercato. È anche vero che alla riforma ho dato in Senato un contributo forse non secondario.