Riccardo Tozzi, dopo una lunga esperienza nel cinema e nella televisione, ha fondato Cattleya nel 1997. Tra i maggiori successi della casa di produzione ricordiamo ‘Caterina va in città’ (2002) di Paolo Virzì, ‘Io non ho paura’ (2003) di Gabriele Salvatores, ‘Non ti muovere’ (2004) di Sergio Castellitto e ‘Romanzo criminale’ (2005) di Michele Placido. Tra le ultime produzioni ‘Romanzo di una strage’ (2012) di Marco Tullio Giordana e ‘The face of an Angel’ (2014) di Michael Winterbottom.
Dal 1975 al 1985 Riccardo Tozzi è stato Capo delle Vendite per la Sacis Rai, dove ha curato la co-produzione e vendita internazionale di numerosi film come ‘Padre padrone’ di Paolo e Vittorio Taviani, ‘L’albero degli zoccoli’ di Ermanno Olmi, ‘Prova d’orchestra’ di Federico Fellini e ‘Identificazione di una donna’ di Michelangelo Antonioni. Per la Sacis, inoltre, ha prodotto uno dei massimi successi televisivi, ‘La piovra’. Per dodici anni, a partire dal 1986, Tozzi ha lavorato per Mediaset lanciando il settore della fiction televisiva e producendo numerosi film come Jane Eyre di Franco Zeffirelli e L’assedio di Bernardo Bertolucci.
Ci racconta com’è cominciata l’avventura di Cattleya?
Avevo lavorato per dieci anni alla Rai, occupandomi della vendita all’estero dei programmi e dei film. Poi dieci anni a Mediaset, dove ho costituito la produzione di fiction. Alla fine degli anni Novanta, visto il miracolo della fiction italiana, con la sparizione dal prime-time dei prodotti americani, ho pensato che potesse accadere lo stesso anche per il cinema. E poi mi ero stufato della televisione.
L’inizio fu nel 1998 con due film Matrimoni di Cristina Comencini e Un tè con Mussolini di Franco Zeffirelli. Quest’ultimo girò in tutto il mondo. In Inghilterra l’adorano.
Quanti eravate all’esordio di Cattleya?
Eravamo io, una segretaria e un amministratore. Poi, nel nuovo millennio si sono aggiunti Giovanni Stabilini (ex direttore generale di Mediaset, ndr) e Marco Chimenz (ex Vice Presidente Medusa, Responsabile dell’Ufficio Medusa e Mediaset di Los Angeles, ndr), il primo più per la parte management e l’altro per la parte commerciale ed internazionale. Poi c’è stata l’entrata di due soci finanziari minoritari: il gruppo editoriale De Agostini e il fondo di investimento San Paolo IMI.
Una svolta?
La nostra era una società anomala, capitalizzata, con una struttura forte. In seguito abbiamo creato un ufficio editoriale in America che ha curato i rapporti con le case editrici.
Come?
I nostri film più importanti sono trasposizioni di libri, come Romanzo Criminale, Ho voglia di te…
Com’è il rapporto con gli scrittori?
Tendiamo ad avere un rapporto particolare. Il produttore che prende i diritti di un libro in genere cerca di togliersi di torno lo scrittore. Noi, invece, collaboriamo, come abbiamo fatto con Ammaniti, De Cataldo e Moccia.
Quali sono i problemi del cinema italiano?
Siamo il paese in cui va meglio il cinema nazionale. Quando io ho cominciato questo lavoro era al dodici per cento, una quota bassissima. Ora in Europa siamo i più forti dopo i francesi. Il risultato è venuto crescendo.
E che pensa di chi si lamenta?
C’è sempre da lamentarsi, ci sono molte cose di cui lamentarsi. Noi non abbiamo avuto nulla, nessun intervento legislativo significativo. Bisogna considerare che siamo l’unico paese in cui esistono tre reti di stato che schiacciano la concorrenza e la pay-tv è in monopolio.
Come incide tutto questo nel cinema?
La televisione tende a prenderti molto e a dare pochissimo: Rai e Mediaset sono un duopolio concentrato.
Chi ha sbagliato in passato?
Tutti, compreso il mondo del cinema che ha chiesto quella legge che gli è stata data a metà degli anni Novanta. Le imprese, piuttosto che rinnovarsi, hanno chiesto un sostegno. Con l’euro ci si è resi conto che questo paradiso artificiale era finito e le imprese si sono rimboccate le maniche. È merito loro se oggi c’è ripresa di due punti in percentuale. Invece di lamentarsi, bisogna rimboccarsi le maniche. Ovviamente restano mille problemi.
Qual è stato l’errore più grande?
L’errore è vedere il cinema come qualcosa da assistere e non un’industria da promuovere. Siamo stati per molti anni adagiati nella cuccia dell’assistenza. Il deficit che oggi viviamo è il risultato di una pigrizia mentale. Abbiamo creato un debito. Finiti i soldi facili dello Stato, le imprese hanno ricominciato a lavorare. La ripresa del cinema che oggi viviamo deriva da produttori ed autori che hanno lavorato.
I film prodotti in Italia si vendono bene all’estero?
Eravamo spariti dal mercato estero ed interno facendo film noiosi. Ora siamo in ripresa.
Quindi molto bene per la produzione e la distribuzione. Che ne pensa dei registi e degli attori italiani in circolazione? Com’è il loro livello qualitativo?
Di registi ne vengono fuori parecchi, penso a Crialese, Garrone, Marra, Munzi ecc. Le generazioni degli attori sono diseguali, ma ne stanno venendo fuori molti apprezzati anche a livello internazionale, come Pierfrancesco Favino e Giovanna Mezzogiorno.
Secondo lei, come è cambiato e come cambierà il cinema con la crescita e lo sviluppo delle nuove tecnologie?
Le nuove tecnologie interessano soprattutto la distribuzione. L’home video cambierà. E poi c’è la telefonia mobile e la rete che saranno i grandi canali di riferimento per la distribuzione. Nonostante questo, i biglietti venduti nei cinema stanno aumentando, quindi i vecchi mezzi di distribuzione non muoiono. Fatta salva la televisione generalista, sarà un mondo globale del video on demand. Se vorrai, potrai vedere un film a casa, su internet, sul telefonino, oppure al cinema.