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Foto di Tony Zecchinelli
Rita Charbonnier è l’autrice di tre romanzi molto apprezzati dai lettori: “La sorella di Mozart”, “La strana giornata di Alexandre Dumas” e “Le due vite di Elsa” (Edizioni Piemme), pubblicato nel maggio di quest’anno. Nata a Vicenza, ma residente a Roma, ha studiato musica ed è stata, in passato, attrice di teatro e tv. Visitando il suo sito si entra in contatto con tutto il suo mondo artistico.I suoi tre romanzi sono ambientati in epoche lontane: “La sorella di Mozart” nella seconda metà del settecento, “La strana giornata di Alexandre Dumas” nell’ottocento, “Le due vite di Elsa” nella prima metà del novecento. Come mai questa scelta?
Sono stati i personaggi a condurmi nelle loro epoche. Non scelgo a priori un’ambientazione storica per poi costruire una trama al suo interno; il processo è opposto. In principio mi appassionai alla figura di Nannerl, sorella di Mozart, per poi restare affascinata da Maria Stella Chiappini, la protagonista del mio secondo romanzo che si confida con un giovane Dumas; Elsa, per la prima volta, è un personaggio di invenzione. Vive nell’era fascista per due ragioni: è alla ricerca del proprio sé e il processo è reso più difficile dal contesto omologante e repressivo (bisogna essere ‘cattivi’ con i propri personaggi); tra il 1931 e il 32 avvenne nella realtà un episodio che fa da sfondo alla sua vicenda, cioè il trasferimento delle spoglie di Anita Garibaldi da Nizza a Roma e l’innalzamento del monumento all’eroina sul colle del Gianicolo.
Il personaggio di Elsa, del suo ultimo romanzo, racchiude in sé una profonda bellezza, che si scopre piano piano, leggendo la sua storia. Chi – o cosa- le ha ispirato la figura e la vita di Elsa Puglielli?
Grazie del complimento. Il personaggio è nato e cresciuto pian piano, così come lo si scopre durante la lettura. Vi sono confluite parti di persone che ho conosciuto, e di me stessa; memorie famigliari, ispirazioni nate da testi di psicologia, idee suggestive come quella della reincarnazione, utilizzata in realtà per parlare d’altro. Qualche tempo fa ho ricevuto una email da una lettrice che affermava di credere che Elsa fosse una persona realmente esistita, da me conosciuta, magari un’anziana parente, e che io avessi costruito il romanzo attorno a lei. Ho dovuto risponderle che non è così, anche se le sue parole mi hanno fatto molto piacere, perché provano che il personaggio è costruito bene! Il che, naturalmente, non è solo merito mio. È merito in primo luogo della stessa Elsa, che un giorno, con discrezione, ha deciso di venire a trovarmi.
“Le due vite di Elsa” è stato pubblicato nell’anno del 150mo anniversario dell’Unità d’Italia, e all’interno del romanzo troviamo anche alcuni richiami alla storia di Anita e Giuseppe Garibaldi. Coincidenza o “personale” celebrazione?
Mi piacerebbe quasi poter affermare di aver scritto questo romanzo puntando all’anniversario; ma non è andata in questo modo. Peraltro, quando uscì la prima edizione de “La sorella di Mozart”, nel 2006, fui accusata da alcuni di aver concepito un’operazione un po’ furbetta, perché quello era l’anno del 250esimo anniversario della nascita di Mozart. È ovvio che la ricorrenza aiutò la diffusione del romanzo, soprattutto all’estero, ma io non mi ero di certo messa davanti al calendario alla ricerca di anniversari per scrivere qualcosa di adatto! E il fatto che quel romanzo sia ancora ‘vivo’ cinque anni dopo (è uscito nei Bestseller Piemme, tra breve ne sarà probabilmente pubblicata una nuova edizione spagnola, ho appena ceduto i diritti cinematografici a una giovane e brillante producer americana) dimostra che non è basato su un pretesto. Per tornare a Elsa, nella storia compaiono Garibaldi e Anita, ma solo come personaggi di una pièce teatrale (peraltro volutamente brutta, gonfia di retorica) e come fantasie della protagonista. Inoltre non c’è nulla di commemorativo; al contrario. Vi sono raccontate le celebrazioni garibaldine del 1932, come dicevo prima, ma soprattutto nelle loro ombre e nei loro misteri.
Prima di dedicarsi alla scrittura Lei è stata, per quindici anni, attrice di teatro. Le manca il palcoscenico o ha trovato, grazie ai suoi romanzi, la sua “dimensione”?
La vita quotidiana del teatrante non mi manca più di tanto, né mi manca una sensazione scomoda, straniante che avevo non di rado. Mi piaceva ripetere scherzosamente, parafrasando una famosa battuta di Groucho Marx: “Non andrei mai a vedere uno spettacolo nel quale ci sono io”. Ho fatto diversi spettacoli che non condividevo; talvolta andavo in scena vergognandomi del contesto, di quel che dovevo dire e del modo in cui mi era richiesto di farlo. Ho fatto anche spettacoli che mi davano un’intensa sensazione di realizzazione artistica, naturalmente, ma quella non è la norma, o almeno non lo è stata per me. Negli ultimi tempi, però, sto recuperando una dimensione teatrale o teatralizzata: quando mi propongono di presentare “Le due vite di Elsa”, chiedo sempre se nel luogo c’è un pianoforte. In tal caso posso fare un ‘reading musicale’, un breve recital nel corso del quale leggo brani del romanzo e canto le canzoni che vi sono citate, accompagnandomi al piano. Devo dire che la formula è piaciuta, al punto che sto pensando di aggiungere altro materiale e mettere in piedi un vero e proprio spettacolo.
Qual è l’aspetto- o gli aspetti, se più di uno- che apprezza maggiormente del suo lavoro?
Il fatto di essere responsabile di ogni dettaglio dell’opera. (Il che potrebbe anche configurare un delirio di onnipotenza.) Se nel teatro l’apporto all’opera complessiva da parte dell’attore, che sia solo attore, è molto limitato, e se nella scrittura, ad esempio, di sceneggiature si è autori solo di un progetto, il romanziere è insieme autore, regista, attore e tecnico. Crea il prodotto finito racchiundendo in sé tutte le figure che concorrono alla creazione di uno spettacolo teatrale o cinematografico.
Sì, temo proprio che di delirio di onnipotenza si tratti. Dovrò rifletterci.
Quali sono le opere che hanno contribuito alla sua formazione personale e professionale?
Non mi è semplice sceglierne soltanto alcune, ma ci proverò. In ordine sparso. Da ragazzina leggevo e amavo Simone de Beauvoir: “Memorie di una ragazza perbene”, “Una donna spezzata”. Mi colpì molto “Lettera a un bambino mai nato” di Oriana Fallaci, un’autrice che negli ultimi anni della sua vita ha assunto posizioni discutibili, ma è stata una grande giornalista e scriveva come una dea. Per alcuni anni fui una divoratrice dei libri di Richard Bach (ero e sono rimasta un’onnivora), da “Il Gabbiano Jonathan Livingston” in poi, e credo che questo mi abbia molto influenzata. In seguito, tra i romanzi che sono stati importanti per me, che mi hanno colpita e stupita, ricordo “L’immortalità” di Milan Kundera. E “L’amante di Lady Chatterley” di D. H. Lawrence, un classico! Quando poi incontrai Ian McEwan, agli inizi degli anni ’90, me ne innamorai perdutamente e credo proprio che sarà un amore eterno.
Nota: questo è il trecentesimo post del blog, nato il 4 marzo 2006. Auguri, non solo Mozart!