Roberto Gemo Website: http://robertogemo.wordpress.com/Quando avete iniziato a suonare la chitarra e perché? Con che strumenti suonate e con quali avete suonato? Roberto Gemo: Ho cominciato con la chitarra a sei anni e verso i nove ho suonato per un anno le tastiere. Ho avuto da sempre un'attrazione verso tutti i tipi di chitarre...ho suonato la classica con corde di nylon, l'acustica folk, la 12 corde, la solid-body elettrica, la arch-top jazz e uno strumento fretless. Ho utilizzato la Roland-guitar-synth e la chitarra midi (sulle orme di Fripp), abbandonate a malincuore a causa dei continui accostamenti che mi venivano fatti con un chitarrista che al tempo non conoscevo (Pat Metheny). Attualmente suono tutti gli altri strumenti ad eccezione della fretless e della 12 corde che ho sostituito con una chitarra classica soprano e una acustica baritono. Che studi avete fatto e qual è il vostro background musicale? Quali sono state e sono le vostre principali influenze musicali? R.G.: L'inizio è stato da autodidatta, poi mi sono diplomato al conservatorio Pollini di Padova in chitarra classica e successivamente ho conseguito la laurea di 2°livello in jazz presso il conservatorio Pedrollo di Vicenza. Ho cominciato con il folk e il rock per arrivare al prog – quest'ultimo primo grandissimo amore musicale – e dunque da CSN&Y a James Taylor, dai Deep Purple ai Jethro Tull,Yes, King Crimson e in cima alla montagna i Genesis (tralasciando un centinaio di altri). Come chitarristi Blackmore, Fripp, Holdsworth. Poi è arrivata la musica classica, specialmente quella del 1900, ed è stata una marea, una continua fonte di ispirazione: Villa Lobos, Leo Brouwer, Dodgson,Elgar, Holst, Berg, Webern solo per citarne alcuni. A questo si è aggiunto il jazz, inteso come improvvisazione, ma non una vera passione della tradizione afro-americana, bensì il suo sviluppo moderno ed europeo: Metheny, Scofield, Frisell e Ralph Towner.
Quale significato ha l’improvvisazione nella vostra ricerca musicale? Si può tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?
R.G.:Il significato più grande di improvvisazione sta nella sua definizione: dire, scrivere, comporre (versi, un discorso, ecc.) all’improvviso, seguendo l’ispirazione del momento, senza cioè preparazione o meditazione. L'improvvisazione esiste da sempre e non è stata inventata dai jazzisti. Già nel periodo barocco si parla chiaramente di questo, ma anche nella musica indiana, nel flamenco e in tantissime altre culture musicali. Improvvisare è prima di tutto una spinta interiore. Personalmente non credo che si possa parlare di vera improvvisazione quando si studiano patterns per giornate intere e poi si sviluppano in concerto, ho sempre avuto un rifiuto per questo tipo di lavoro. Penso invece che improvvisare possa essere un rompere gli schemi (di qualsiasi tipo) e proprio per questo studio e ignoranza devono lavorare in grande sinergia. Nelle partiture dei compositori di musica classica contemporanea esistono grandi spazi improvvisativi, in continua espansione...ma ci vorrà molto tempo e una grande conoscenza dei vari linguaggi.Una domanda un po’ provocatoria sulla musica in generale, non solo quella contemporanea o d’avanguardia. Frank Zappa nella sua autobiografia scrisse: “Se John Cage per esempio dicesse “Ora metterò un microfono a contatto sulla gola, poi berrò succo di carota e questa sarà la mia composizione”, ecco che i suoi gargarismi verrebbero qualificati come una SUA COMPOSIZIONE, perché ha applicato una cornice, dichiarandola come tale. “Prendere o lasciare, ora Voglio che questa sia musica.” È davvero valida questa affermazione perdefinire un genere musicale, basta dire questa è musica classica, questa è contemporanea ed è fatta? Ha ancora senso parlare di “genere musicale”? R.G.:Credo ancora nel genere musicale soprattutto per rispetto delle persone che sacrificano una vita allo studio o a suonare un tipo specifico di musica. Non mi piace che nei discorsi tutto diventi banale come al bar: non si diventa un concertista classico in due settimane ma neanche un buon rocker, folk, jazz e qualsiasi altro genere. Detto questo i confini della musica si stanno dilatando o scomparendo e a me questo piace molto.Per quanto riguarda Cage, ho imparato dallo studio del '900 e della musica contemporanea che ci sono molti compositori eccezionali, molti provocatori, molta mediocrità...la creatività è una cosa difficilissima da valutare. Una cosa è certa da sempre: se sei famoso può venirti riconosciuto quello che non c'è ...anche Bach, Mozart, Davis, Parker e i Beatles hanno fatto cose più o meno buone.Berlioz disse che comporre per chitarra classica era difficile perché per farlo bisognava essere innanzitutto chitarristi, questa frase è stata spesso usata come una giustificazione per l’esiguità del repertorio di chitarra classica rispetto ad altri strumenti come il pianoforte e il violino. Allo stesso tempo è stata sempre più “messa in crisi” dal crescente interesse che la chitarra (vuoi classica, acustica, elettrica, midi) riscuote nella musica contemporanea, per non parlare del successo nella musica leggera, dove chitarra elettrica è ormai sinonimo di rock ... in quanto musicista polivalente e trasversale… quanto ritiene che ci sia di veritiero ancora nella frase di Berlioz? R.G.:Sono stato sempre un sostenitore dei chitarristi-compositori in quanto conoscendo profondamente lo strumento, riescono a farlo suonare bene. Inoltre il compositore che scrive per chitarra nel tempo perso o perché assillato dagli esecutori non esprime talvolta il suo massimo livello. Siamo troppo condizionati dai “grandi” e questo sin dai tempi di Bach, che ha scritto cinque suite per liuto, strasuonate in tutto il mondo, mentre S.L.Weiss è stato spesso dimenticato e non saprei dei due chi scrive meglio per questo strumento. Inoltre vorrei dire che il repertorio di chitarra classica è aumentato in maniera imponente nel novecento, specialmente nella seconda metà del secolo, per merito di compositori come Villa Lobos, Brouwer e moltissimi altri. Se di crisi dobbiamo parlare io credo sia dovuta ad un ormai lungo periodo di decadenza culturale, nel quale tutti hanno le loro colpe...musicisti, addetti ai lavori, scuola e ignoranza di massa dilagante. Basti pensare che per uno come me che vive nella provincia, poter ascoltare in concerto qualcosa di diverso da Vivaldi, Bach e Mozart è un'utopia!....(e invece ai concerti di chitarra classica si ascoltano Egberto Gismonti, Ralph Towner...e tantissimi “viventi”).Luciano Berio ha scritto “la conservazione del passato ha un senso anche negativo, quanto diventa un modo di dimenticare la musica. L’ascoltatore ne ricava un’illusione di continuità che gli permette di selezionare quanto pare confermare quella stessa continuità e di censurare tutto quanto pare disturbarla”, che ruolo può assumere la ricerca storica e musicologica in questo contesto? R.G.:Nella mia fedele agenda cartacea ho scritto sulla prima pagina questa frase di Gustav Mahler: “La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”. In queste parole trovo la risposta, ossia portare dentro di noi la forza delle grandi idee cercando di vivere ora. La ricerca deve essere conoscenza storica e stimolo per il presente. Amo molto andare nei musei, ma amo ancora di più conoscere artisti e persone che stanno facendo qualcosa (di piccolo o grande) in vita. Un mio amico una volta disse che adorava Chet Baker... allora io risposi – vai spesso a vedere concerti con trombettisti, ce ne sono di immensamente bravi – e lui mi rispose di no.Ho, a volte, la sensazione che nella nostra epoca la storia della musica scorra senza un particolare interesse per il suo decorso cronologico, nella nostra discoteca-biblioteca musicale il prima e il dopo, il passato e il futuro diventano elementi intercambiabili, questo non può comportare il rischio per un interprete e per un compositore di una visione uniforme? Di una “globalizzazione” musicale? R.G.:Partendo da quest'ultima parola, io distinguo molto i termini “globalizzazione” e “contaminazione”: il primo lo identifico in una sorta di massificazione che ha colpito tutti i generi musicali ed è per me la morte della personalità, mentre il secondo è la vita in costante mutazione, una integrazione infinita. Il decorso cronologico della musica invece, mi ha sempre un po' confuso...penso ad autori come Wagner che hanno anticipato un mondo di cose e ad autori contemporanei che vivono in un passato nostalgico...non riesco a giudicare questo fenomeno.Ci consigliate cinque dischi per voi indispensabili, da avere sempre con se.. i classici cinque dischi per l‘isola deserta: R.G.:(premetto che questa è la domanda assolutamente più complicata, direi almeno 50)The lamb lies down on Brouadway – Genesis Enigma Variations – Edwar Elgar Still life talking – Pat Metheny Ana – Ralph Towner Greatest hits – James Taylor Quali sono invece i vostri cinque spartiti indispensabili? R.G.:Preludi e Studi – Villa Lobos El noi de la mare Berceuse (Cancion de Cuna) – Leo Brouwer Oblivion – Astor Piazzolla Joyful Departure – Ralph TownerIl Blog viene letto anche da giovani neodiplomati e diplomandi, che consigli vi sentite di dare a chi, dopo anni di studio, ha deciso di iniziare la carriera di musicista? R.G.:Può essere la passione, il gioco e il lavoro più bello al mondo se non si dimentica il perché si è cominciato: il sogno è nel percorso del musicista, ad ogni traguardo se ne ricostruisce un altro.Con chi vi piacerebbe suonare e chi vi piacerebbe suonare? Che musiche ascoltate di solito? R.G.:Ho una eredità da band-prog...mi piace suonare (e mi è sempre piaciuto) con chi condivide un certo mondo musicale molto aperto e fortunatamente ho trovato per strada bravissimi musicisti e ottimi amici...suonerei volentieri con un quartetto d'archi. Ora non ascolto molta musica, direi soprattutto classica...ma un poco di tutto.