Intervista a V.M. Giambanco, autrice de “Il dono del buio”, Edizioni Nord
In occasione dell’uscita italiana, in anteprima mondiale, de “Il dono del buio” della Casa Editrice Nord, pubblichiamo l’intervista alla gentile autrice, V.M. Giambanco
Cominciamo con una curiosità: V.M. sta per “vietato ai minori”? O che altro? Non indicare il nome per esteso corrisponde a una scelta editoriale?
V.M. sono le iniziali del mio nome: Valentina Maria.
In Inghilterra (ndr: i diritti di pubblicazione sono stati acquistati in molti paesi, ove l’opera ha scatenato un’asta agguerrita per quello che si annuncia come nuovo, eclatante caso editoriale) corrisponde a una precisa strategia di marketing: non abbinare il nome di un’autrice femminile a un romanzo noir. Vi sono diversi precedenti di successo: P.D. James e, in altro ambito, J.K. Rowling, ad esempio.
Inoltre “Valentina Maria Giambanco” sarebbe stato decisamente troppo lungo…
E il nome della protagonista, Alice Madison, si pronuncia Alice all’italiana o “Ális” all’americana?
La seconda che hai detto! Ális, all’americana.
Come mai un’autrice nata a Roma, cresciuta a Firenze e a Milano ha scelto per la sua opera d’esordio un’ambientazione americana? Come mai Seattle?
Ho famiglia lì, ci ho vissuto. La città è meravigliosa e cosmopolita, era l’ambiente perfetto per la mia storia. Sia per gli aspetti urbanistici, sia per il contesto naturale nel quale la città si colloca. La natura circostante è meravigliosa e, separati da pochi chilometri, troviamo tutti gli ambienti: il mare, il fiume, il lago, la foresta. I luoghi che descrivo sono tutti reali, tranne quelli ove si consumano i reati (il luogo dove i bambini vengono rapiti, l’appartamento ove avviene la strage familiare): volevo evitare che si stabilisse una connessione tra un luogo reale e il delitto.
Nel mio commento ho definito “pulsanti” le scene del tuo thriller. Quanto ha influito l’esperienza cinematografica sul tuo modo di scrivere?
Moltissimo, in tutti i modi possibili. Sono stata assistente al montaggio per quindici anni, ho avuto bravi registi e montatori come eccellenti maestri: lì ho coltivato l’amore per il cinema e ho partecipato alla ‘creazione’ delle storie. In modo del tutto naturale e istintivo, ho assimilato e assorbito meccanismi che ritengo fondamentali nella scrittura dei romanzi.
Uno degli elementi che maggiormente colpisce il lettore è il tecnicismo: l’accuratezza dei dettagli scientifici nella ricostruzione della storia …
Questo aspetto deriva da approfondite ricerche personali. Da questo punto di vista, benedetto sia internet! Non mi sono avvalsa di consulenti, mi sono documentata in occasione dei passaggi tecnici cruciali. La ‘trovata’ del “DNA mitocondriale” (quello che sopravvive a lungo e ha derivazione materna), tra l’altro, s’ispira alla ricerca condotta sull’identità della principessa Anastasia.
L’altra dimensione sicuramente distintiva del romanzo è l’attenzione alla psicologia dei personaggi …
In effetti il mio percorso è “dal dentro al fuori”. Volevo creare personaggi tridimensionali, scolpiti in modo che apparissero reali. Il lettore passa un po’ di tempo con loro e deve entrare nella loro mente, nello spirito e nel cuore.
Lo stesso assassino agisce quasi per comunicare un suo disagio: “Qualcuno aveva cercato di comunicare qualcosa attraverso gli omicidi. Si trattava di un messaggio crudele, contorto e malvagio …” E ancora: “L’assassino aveva scelto l’abitazione dei Sinclair come teatro delle proprie gesta, come un modo per comunicare con loro”… Ė un’implicita adesione alla teoria ‘sociologica’ del male?
Non necessariamente. Se ci pensi, questo schema ricalca i meccanismi dell’indagine: agenti e inquirenti utilizzano le manifestazioni del delitto, che sono gli elementi visibili e l’espressione nella quale l’omicida si rivela. Le modalità di esecuzione di un reato costituiscono la principale rivelazione di chi l’ha attuato.
In definitiva e per quel che valgono le definizioni, il tuo è un thriller più scientifico o più psicologico?
Direi più psicologico …
E veniamo alla protagonista. Un’anima contrastata. Ha rischiato di commettere un parricidio. Ed è una potente visionaria …
Sì, cerca di sintonizzarsi a livello empatico con l’assassino, vuole capirne le motivazioni per anticipare i suoi movimenti. In questo, l’immaginazione della détective è fondamentale.
Da questo punto di vista, ho trovato affinità tra Alice e un altro eroe dei gialli: il commissario Ricciardi di De Giovanni. Lui, addirittura, vede le manifestazioni delle vittime dei casi sui quali indaga …
Anche se la modalità di Ricciardi mi sembra più “paranormal”. Alice cerca semplicemente di mettersi nei panni dell’assassino, per capirne il flusso dei pensieri e delle azioni. Si concentra. Ė più psicologa che sensitiva.
In un ipotetico film, quale attrice vedresti nel ruolo di Alice? Così i lettori riescono a immaginarla fisicamente. Perché tu, salvo errori, non la descrivi mai fisicamente …
Vero! L’assenza di descrizione fisica della protagonista è voluta e corrisponde a una scelta ben precisa: per lasciare al lettore la libertà di immaginare Alice attraverso i suoi atti, i suoi pensieri, le descrizioni che altri personaggi della storia ne forniscono. Per questo non risponderò alla tua domanda. Pensa quanto potente è stata l’interpretazione di alcuni attori: Tippi Hendren in “The birds” di Hitchcock o Anthony Hopkins nei panni di Hannibal ne “Il silenzio degli innocenti” sono stati tanto efficaci da identificare ormai il personaggio che hanno interpretato.
Un’altra situazione molto evocativa, che troviamo nel tuo romanzo, è quella dei gemelli. La sinestesia tra i gemelli (“D’ora in avanti funzionerà così: quando uno di voi due combinerà una cazzata, io punirò l’altro”) e il “doppio perturbante” sono un topos della letteratura di tensione. Dalla “Casa Usher” di Poe a “Shining”, tanto per citare due precedenti illustri …
Nella storia è stato essenziale vedere l’infanzia dei gemelli, l’esperienza della perdita tragica e l’assenza psicologica di un ‘alter ego’ uguale ma diverso. Il gemello è perfetto per realizzare questo scopo.
Rivedremo ancora in azione Alice Madison? Hai già qualcosa di nuovo nel cantiere criminologico di Seattle?
Come no! Nel romanzo che sto scrivendo, la storia inizia sei settimane dopo la fine de “Il dono del buio”. Nella nuova vicenda opera lo stesso team di polizia e vi sono tutti i personaggi ‘sopravvissuti’ al primo romanzo.
Nel romanzo, se non erro, un mistero rimane un po’ nell’ombra. Quello della Nostromo. Ė un effetto voluto?
Ti confermo, l’autore del reato è stato proprio lui (Ndr: ovviamente non possiamo svelare di chi parliamo!). Il caso della Nostromo voleva essere un fatto reale … inventato.
Sul sito dedicato al thriller www.ildonodelbuio.com ci sono due simpatiche iniziative. Una è la possibilità di abbinare la propria foto al romanzo. La seconda è un test psicologico che consente di avere un responso sul lato oscuro della propria personalità. Tu l’hai fatto? Che esito hai avuto? Io sono risultato “cangiante e inafferrabile”.
Anch’io ho avuto lo stesso esito! Non trovi che sia una gran bella definizione? Così sfuggente e aperta …
Concordo e sono contento di questa coincidenza che ci accomuna! C’è qualcosa che vorresti aggiungere, o una domanda che avresti voluto sentirti rivolgere e che io non ti ho posto?
No, Bruno, grazie. Ė stata un’intervista davvero molto interessante e completa.
Valentina alias V.M. Giambanco, siamo noi che ringraziamo te per la gentilezza e la leggiadria con la quale ci hai parlato del tuo romanzo. E lo facciamo invitando gli amici di www.i-libri.com a leggere “Il dono del buio”: magari cimentandosi anche nel test psicologico di www.ildonodelbuio.com per scoprire il lato oscuro della personalità …
Bruno Elpis