Intervista a Younis Tawfik “l’Islam deve reagire”

Creato il 22 gennaio 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

Retrò Magazine ha intervistato Younis Tawfik, giornalista e scrittore musulmano, in merito alla strage di Charlie Hebdo e sul futuro del mondo arabo.

Younis Tawfik, è ancora fresca la ferita dell’attentato terroristico alla sede del giornale satirico francese Charlie Hebdo. Lei ritiene che la reazione di sdegno da parte delle comunità musulmane sia stata sufficiente?
La reazione del mondo musulmano non è stata sufficiente. Quelli che sono andati in piazza sono semplici rappresentanze, magari anche individuali. Io vorrei che la comunità fosse più partecipe, in modo che questo tipo di fanatismo non continui a dilagare in Europa e in Italia. Se noi non affrontiamo come musulmani il fanatismo in seno alle nostre comunità, gli altri non lo possono fare per noi. Dobbiamo farlo soprattutto per i giovani: i giovani sono molto fragili, e possono cadere nella rete del fanatismo e poi del terrorismo. Il fanatismo cresce e trova terreno fertile nella periferia. Per esempio questi giovani terroristi, nati in Francia e cittadini francesi, evidentemente non sono integrati fino in fondo. La mancata integrazione crea un’anomalia: loro trovano nel gruppo, nel branco, un rifugio. Per rabbia, per vendetta, agiscono contro l’occidente. Ritengono che la società occidentale, e quella musulmana che non è con loro, sia corrotta e vada purificata. E per purificarla si può e si deve usare ogni mezzo.

Eppure la cultura araba è ricca di storia e di tradizione. Nei secoli passati gli intellettuali arabi, così come i filosofi, gli astronomi o i matematici, non erano da meno dei loro colleghi europei. Che cosa si è interrotto nel percorso storico del mondo arabo?
A chi dice “eravate” io dico “eravamo!”. Noi siamo i figli di oggi. Il mondo arabo non ha avuto, come quello occidentale, un processo di evoluzione paragonabile al rinascimento e poi all’Illuminismo e all’età moderna. Dopo l’attacco mongolo contro Baghdad e la dissoluzione del Califfato, il mondo arabo ha subito un lunghissimo medioevo. Per questo, come in Europa secoli fa, l’Islam mischia politica e religione: ogni azione fatta dalla politica inquina la religione e la danneggia: l’Islam politicizzato ha ripercussioni sulla fede islamica stessa. Ovviamente i terroristi usano l’Islam come base ideologica per convincere alcuni che aderiscono a credere che quella sia la strada giusta. Ora, essi non hanno la forza dell’occidente, intendo forza militare, scientifica, tecnologica, ma hanno la forza della fede. Negli anni ’80, in Afghanistan, quando i giovani Mujaheddin di allora combattevano contro l’Armata russa che aveva invaso il paese, avevano bisogno di questo concetto. Per combattere contro un esercito molto più numeroso e più forte di me, ho bisogno di un’altra forza, quella della fede, del martirio. L’Islam sta cercando lentamente di evolvere, ma nel seno dell’Islam c’è un’ala che non vuole. Ci sono stati tentativi di riforma che sono stati interrotti perché capiti male.

Ad esempio la Primavera Araba. Le aspettative erano tante, ma qualcosa è andato storto. In alcuni casi è andata meglio, ma in certi Stati le rivolte hanno portato un’instabilità politica pericolosa.
La primavera arabo ha funzionato, in un certo senso, perché ha messo fine alla dittatura laica. Ma la rivolta dei giovani è stata rubata da organizzazioni di matrice religiosa, poi trasformate in partiti, che erano già meglio strutturate e ben preparate, mentre i giovani non lo erano. In Tunisia ha vinto la democrazia, ha vinto il candidato laico. In Libia invece non ha funzionato, perché ci sono gruppi appartenenti all’Isis e ad Al-Qaida che combattono contro i laici. In Siria, prima c’è stata una rivolta democratica repressa dal regime, poi una lotta armata: nel caos sono proliferati alcuni gruppi di terroristici, tra cui appunto l’Isis. C’è l’esercito libero che combatte contemporaneamente contro Assad e contro l’Isis. Il mondo sta a guardare, Assad continua a usare armi chimiche contro l’esercito libero, mentre dall’altro lato compra il petrolio dall’Isis per finanziarli.

L’occidente ha appoggiato per anni le dittature laiche. Signor Tawfik, le ritiene migliori rispetto alle dittature religiose?
Non si può dire che fossero meglio. Il metodo con cui è stato abbattuto Saddam Hussein è stato sbagliato. In Siria invece nessuno è intervenuto, perché ci sono in gioco la Russia e l’Iran, e l’Occidente vuole turbare fino a un certo punto la situazione. Per rispondere alla domanda non bisogna dimenticare che i regimi dittatoriali sono la causa della proliferazione dell’estremismo e del fanatismo islamico. Dopo la sconfitta del ’67 contro Israele, i giovani arabi sono caduti in una sorta di depressione politica. Negli anni ’80 c’è stata la reazione, molto violenta, anche con attacchi contro i dittatori che affamavano la popolazione. Il terrorismo è germogliato e cresciuto in questo contesto.

Secondo lei, signor Tawfik, qual è la strategia migliore per porre fine al terrorismo. Un attacco Nato in Iraq?
Un intervento della Nato contro l’Isis non metterà fine al terrorismo. Ormai è dilagato. L’intervento armato non può risolvere il problema. Innanzitutto bisogna risolvere il conflitto israeliano-palestinese. Da questo dipendono molti altri problemi. Dall’altra parte ci vuole un intervento diretto nei confronti della società araba, per aiutare al mondo arabo a crescere culturalmente, scientificamente, tecnologicamente, per fare in modo che cominci a vedere le cose diversamente. Tocca al mondo arabo, ai giureconsulti, alle guide religiose, agli imam, agli intellettuali. In Occidente, poi, ci vuole un forte lavoro di integrazione delle comunità musulmane.

Signor Tawfik, in Italia a che punto siamo con l’integrazione?
In Italia manca l’anello tra l’istituzione e la comunità islamica. Io ho lavorato nella consulta, abbiamo lavorato per tre anni per stipulare un’intesa tra Stato e Islam. Poi il ministro Maroni ha annullato tutto. Di questo approfitta la destra italiana, come quella francese. Se tu non hai un dialogo diretto con la comunità, non la riconosci (l’Islam non è riconosciuto, nonostante si tratti della seconda comunità religiosa), la comunità non si sentirà responsabile di denunciare il terrorista o di isolarlo. Tu devi dare responsabilità alla comunità, la responsabilità viene dall’essere parte della società, quando sei accettato: allora sì che la difendi, la società.

Tags:charlie hebdo,isis,islam,Tawfik

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