Magazine Cultura
Una piccola presentazione?
Salve, sono Aislinn e ho un problema: scrivo... (in coro: *Salve, Aislinn*).Ehm, a parte gli scherzi, sono una ragazza thirtysomething che per mestiere scrive, legge, traduce, corregge. Fieramente piemontese trapiantata in terra fintolombarda, nel tempo libero mi comporto in modo irresponsabile, ascolto musica, canto a squarciagola, parlo con gli dèi, cucino biscotti e passo il tempo con le persone che amo.
Ti andrebbe di presentarti anche come 'lettrice'? Libri preferiti, genere di riferimento...
Prediligo – che sorpresa, eh?! – l'urban fantasy, ma leggo più o meno di tutto, sia in italiano sia, sempre più spesso, in inglese, vista la quantità di bei libri che in Italia non vengono tradotti. Onnivora con pila eterna di volumi in attesa sul comodino e cronica mancanza di tempo – anche considerato che leggo molto anche per lavoro, come consulente editoriale, redattrice, traduttrice e un po' tutto quello che si può fare per agenzie e editori –, tra i miei libri sacri posso citare, in ordine sparso, Draculadi Stoker, Il Signore degli Anellidi Tolkien, World War Zdi Max Brooks, L'ombra dello scorpionee It di Stephen King, Orgoglio e pregiudiziodi Jane Austen, L'importanza di chiamarsi Ernestodi Oscar Wilde, Buona Apocalisse a tutti!di Gaiman e Pratchett. E se devo citarne anche solo uno italiano, dico Godbreaker di Luca Tarenzi.
Angelize parla di angeli, ma quello che ne viene fuori non coincide affatto con l'immaginario convenzionale. A quali figure angeliche ti sei ispirata?
Inizialmente ho cercato di «rimescolare» un po' l'immagine classica degli angeli, quella che oggi viene descritta ai bambini per insegnare loro a pregare l'angelo custode: mi sono chiesta cosa sarebbe accaduto se, anziché proteggere le persone, le avessero ingannate. D'altronde, nella Bibbia stessa gli angeli sono guerrieri, distruggono intere città... non sono esattamente figure pacifiche. Nel mio romanzo sono figli di un Dio che disprezza la carne e predilige lo spirito: non hanno sensazioni come il tatto o il gusto e sono incorporei. Alcuni si aggrappano a questa «purezza»; altri cercano di liberarsene per incarnarsi al posto di esseri umani e sperimentare la nostra vita. Per quanto riguarda le atmosfere, poi, le mie due storie a tema angeli preferite sono senz'altro il già citato Buona Apocalisse a tutti! e il film Dogmadi Kevin Smith. Insomma, l'urban fantasy mi piace tosto e con ironia.
Haniel – a quanto ho capito, personaggio uber-preferito di buona parte dei lettori – è uno spirito maschile nel corpo di una ragazza. Si è trattato di una scelta consapevole o di un personaggio che ti è sbucato in testa così? Ed è stato difficile raccontarlo?
Haniel si divide la palma di preferito con Hesediel, a essere sincera (cosa che un po' mi ha stupito. E dire che me lo aveva pure detto Luca Tarenzi, che, infatti, ha sempre preferito proprio Hese... non gli avevo creduto :-P), ma credo sia comunque in vantaggio come numero di «fan» (e di «fangirl» ^_^). Haniel è il primo personaggio che mi è venuto a trovare, addirittura nel racconto che ha fornito il nocciolo del romanzo, anche se lì era un «protoHaniel» meno giovane e meno complesso. Quando ho iniziato Angelize, si è presentato in scena a modo suo, sconvolgendo gli altri personaggi e anche me. Non tanto per la sua situazione: a lui non frega niente di quale corpo abbia temporaneamente, il suo comportamento non varia di una virgola, il che crea non pochi imbarazzi nelle altre persone. La parte complessa è stata usare il suo punto di vista: le prime volte è stato un vero giro sulle montagne russe, tanto che poi ho dovuto limare molto le sue pagine (e d'altronde tutto il romanzo è passato attraverso diverse riscritture e revisioni). Hani ha la tendenza a partire per la tangente inseguendo i suoi pensieri, a mescolare passato e presente, a «spegnersi» e isolarsi dal resto... ho dovuto tenerlo a bada per mostrare tutto questo senza che al lettore (e a me!) venisse mal di testa. E, oltre tutto, Haniel non ammette nemmeno con se stesso molto di quello che prova, quindi ho dovuto mostrare tutto senza mai dire nulla in maniera esplicita, in un emblematico «show, don't tell»... Ma, una volta prese le misure del personaggio, tutto è diventato naturale per me. Fin troppo.In maniera un po' inquietante, in effetti.Quello che amo di lui è che non è il classico «duro dal cuore tenero»: è un matto dal cuore fragile. Che nel dubbio si corazza con spranghe e tirapugni.
A quale dei tuoi personaggi ti senti più vicina?
Tra quelli di Angelize, direi Haniel. Per certe insicurezze, per certi dark sides. Haniel non riesce a credere che anche lui possa trovare un po' di felicità. Nei miei momenti peggiori, lo penso, e ancora di più l'ho pensato in passato, anch'io. Per fortuna, gli dèi e le persone care mi sono accanto per scacciare quei momenti.
Gestisci un blog, una pagina fb e rispondi spesso su Ask. Hai instaurato un dialogo piuttosto fitto coi tuoi lettori. La figura dello scrittore è cambiata nel tempo, e forse lo è anche il suo rapporto coi lettori.
Ormai chiunque è potenzialmente raggiungibile da chiunque in pochi secondi, grazie a internet. E qualsiasi lettore che voglia fare i complimenti o coprire di insulti l'autore di un libro appena letto non deve faticare molto... Per quanto mi riguarda, mi fa piacere quando un lettore mi contatta attraverso il blog o qualche social: sono mezzi che mi permettono di ricevere un feedback a quello che scrivo e anche di conoscere un sacco di persone interessanti, che arricchiscono la mia vita: quasi tutte le mie migliori amiche le ho conosciute prima proprio tramite Anobii o Facebook. Naturalmente, non tutte le persone che si incontrano on line sono gradevoli, ma, fortunatamente, essere entrata a contatto con il web 2.0 già da adulta, per una pura questione anagrafica, fa sì che non abbia mai avuto particolari problemi nel tenermi lontano dagli utenti molesti.Per quanto riguarda la figura dello scrittore oggi, mi sembra che l'immagine dell'autore rinchiuso in un eremo, tra nuvole poetiche e lontano dai comuni mortali, sia alquanto anacronistica ormai, e la confidenza che forse certi scrittori non volevano dare ai lettori, i lettori stessi se la sono presa da soli... d'altronde gli scrittori sono esseri umani, e qualsiasi tentativo di negarlo e di porsi «al di sopra» rischia di sconfinare nella presunzione o nell'ingenuità, a essere gentili. Come si può sperare di raccontare qualcosa sulle persone, se ci si pone al di sopra di esse? Per tornare al punto: se qualcuno mi contatta perché interessato a quello che ho scritto, comunque, mi sembra solo giusto e doveroso rispondere. Basta usare un minimo di buon senso, per far funzionare le cose, come in qualsiasi interazione umana.
C'è una certa esterofilia, soprattutto per i paesi anglofoni, nella letteratura italiana. Come mai hai deciso di ambientare Angelize in Italia? Ed è stato così fin da subito?
Sì, Angelize è nato a Milano ed è sempre rimasto legato a quella città. Hai ragione nel dire che prevale l'esterofilia nelle ambientazioni, perché un John o una Mary che si muovono nel Maine o a New York o a Londra sembrano molto più «fighi» di un qualsiasi Marco o Alessandra in Italia... Io, però, non concordo. Quando scrivo, voglio che nasca una storia che solo io avrei potuto raccontare, quindi voglio parlare di quello che mi colpisce, di quello che vivo, di come vedo ciò che mi circonda – ed ecco Milano, ecco i personaggi italiani immersi in un contesto italiano. Un contesto che, a mio parere, non ha nulla di inferiore o di meno interessante rispetto alle famose città straniere che si leggono in altri libri, anzi. Non escludo di utilizzare in futuro anche ambientazioni estere, naturalmente: non rifiuto nulla a priori. Ma quando lo farò, sarà perché quella certa storia non poteva che essere ambientata in quel certo luogo, così come Angelize sarebbe stato molto diverso se non fosse stato ambientato a Milano.
Ti va di parlare del 'processo creativo' dietro le tue storie? Come iniziano, come si evolvono, quando capisci che è tempo di iniziare a scrivere?
Tutto comincia da un'idea ancora abbozzata, il classico «che cosa succederebbe se?...», lo spunto di partenza, insomma, qualcosa che mi colpisce e comincia a frullarmi per la testa e a cercare altre idee, altre suggestioni, altri spunti con cui combinarsi per creare la trama, come se stessi costruendo qualcosa con il Lego, senza ancora sapere cosa – un processo che può richiedere pochi giorni così come anni. Quando comincio a scrivere, devo avere in testa almeno l'idea di base, con l'inizio della storia, il fatto scatenante, le prime scene; almeno un personaggio che, a furia di rimuginare, mi ha colpito, si è presentato e ha cominciato a farsi conoscere abbastanza bene da permettermi di entrare nel suo punto di vista; e, infine, la conclusione presunta – che magari cambierà, prima che io ci arrivi davvero, ma almeno mi fornirà una direzione verso cui tendere. Per il resto, preparo scalette frammentarie man mano che proseguo, con alcuni punti chiave che devo toccare, ma sono scalette soggette a modifiche, aggiustamenti e cambi in corsa, principalmente perché, di solito, i personaggi cominciano a fare di testa loro e si fanno venire idee che io non avevo considerato, imprimendo alla storia una direzione imprevista. Con questo non voglio fare discorsi pseudoromantici da «invasata dalle Muse»: in ogni forma artistica c'è qualcosa di divino, secondo me, ma non è quello di cui volevo parlare ora. Intendo solo dire che più i personaggi sono vivi nella mia mente, più mi immedesimo in loro, più è facile che scrivendo siano le loro stesse parole, i loro pensieri e la loro personalità a suggerirmi svolte ed eventi che non avevo previsto.
Sarei tanto, tanto lieta se potessi anticipare qualcosa di quanto stai scrivendo adesso.
Sto lavorando a una «trilogia atipica» urban fantasy, a due romanzi fantasy in ambientazione storica e... be', a un altro progetto che è ancora troppo poco delineato per parlarne meglio. I due fantasy storici sono uno stand-alone ambientato nel XVI secolo in varie località europee, che ha a che fare con la mia passione per il folklore, e un romanzo, che potrebbe avere una continuazione, ma che per ora è uno stand-alone, ambientato invece nel Mediterraneo diversi secoli prima di Cristo. La trilogia invece è «atipica» perché si tratta di storie che hanno la stessa ambientazione, una città piemontese, ma protagonisti ed elementi fantastici diversi: i personaggi principali del primo sono comparse del secondo e viceversa, mentre il terzo volume unisce tutti quanti. I primi due volumi sono autoconclusivi, comunque, pertanto non sarà necessario leggerli entrambi e in ordine, e vorrei che anche il terzo stesse in piedi da solo, nonostante il fatto che, com'è ovvio, conoscere già i personaggi aiuterà a cogliere meglio i vari riferimenti. Che altro posso dire? Ah, sì, grazie al mio amico Mauro, uno dei miei betamartiri, ovvero i lettori cui passo le mie prime stesure per un parere, la trilogia ha il nome non ufficiale di «metallari contro mostri» XD (ODDIO se solo potesse rimanere come titolo ufficiale *__* NdLeggy)
I vampiri sono stati al centro di un tornado editoriale fino a pochi anni fa. Come credi che ne sia uscita la figura del vampiro, e perché ti va di scriverne?
Ah, i vampiri! Quindi sveliamo che ho una storia su di loro per le mani, eh? ^^Be', dal tornado di cui parli sono usciti come è nella loro natura: da immortali. Possono venire ridotti ad adolescenti innamorati, privati della loro pericolosità, dei loro aspetti bestiali... ma prima o poi riemergono sempre, e ciò che resta alla base di tutto è la loro essenza: uomini ma non più umani, mostruosi ma invisibili e mescolati alla gente, simili a noi, ma alieni... Insomma, non importa quanti Twilight escono, il fascino del vampiro resta, così come i motivi per scriverne e rielaborarne la figura.Per quanto mi riguarda, amo i vampiri dai tempi della mia prima lettura di Dracula (1995, avevo tredici anni), in seguito alla quale ho iniziato a leggere tutto quello che trovavo sul folklore e i miti legati a questa figura. Ho cominciato a scrivere una storia su di loro già dieci anni fa, perché... be', non li trovavo da nessuna parte come li volevo io. E no, non sono vampiri che brillano. So che presentare un romanzo di vampiri oggi è un rischio – chi dirà che non se ne può più, chi dirà che è una moda... – ma sono discorsi che non mi interessano. È la storia in sé che conta, non le chiacchiere di questo tipo. E dentro quella storia c'è tutta la mia passione, tanti dei miei incubi, alcuni dei personaggi che amo di più tra quelli che ho creato. Perciò, a suo tempo leggerete e vedrete...
Quand'è che ti sei detta 'Sì, ok, credo che diventerò una scrittrice'?
Ero adolescente, non ricordo di preciso quando, ma probabilmente avevo circa quindici o sedici anni. Anche se già scrivevo da qualche anno, è più o meno intorno al 1998 che ho iniziato a lavorare davvero su una lunga storia che poi avrei portato a termine, a scrivere insomma con continuità. Non c'è mai stato nient'altro che io sia stata così sicura di fare come scrivere, nient'altro mi ha accompagnato così a lungo nella mia vita.
Da insider, che idea ti sei fatta del fantastico in Italia? E del rapporto tra editori e lettori?
Ammetto di non essere particolarmente ottimista in merito: in un Paese in cui i lettori sono una minoranza, i lettori di fantastico sono una minoranza nella minoranza... non parliamo poi di quelli che vanno oltre l'occasionale fantasy o paranormal romance di moda. Gli editori inseguono il colpo grosso, il caso, facendo i conti con i numeri ben poco incoraggianti e tartassati dalla crisi che ha travagliato un po' tutti, e spesso preferiscono non rischiare. Per quanto riguarda gli scrittori di fantastico di casa nostra, ci sono alcuni autori validi, che devono faticare tantissimo per trovare un loro spazio – e parlo per esperienza personale: prima che Fabbri avesse il coraggio di credere nei miei urban fantasy ho ricevuto la mia quantità di rifiuti e vissuto le delusioni di qualsiasi altro «aspirante». Tutto questo, però, non vuol dire che l'unica possibilità sia rassegnarsi, anzi. Siamo scrittori, siamo lettori, quindi dobbiamo tenerci stretta la nostra follia di sognatori e continuare a fare quello che amiamo – scrivere le storie che solo noi possiamo scrivere, meglio che possiamo, cercare buoni libri e diffonderli tramite il passaparola. E continuare a insistere, con le case editrici, con i nuovi progetti coraggiosi come Acheron Books, che pubblica solo storie di qualità rivolte al mercato internazionale. Insomma, se il gioco si fa duro, è il momento di impegnarsi il doppio per giocare.
Il mondo dei libri è bello perché è strano. Quali sono le critiche/osservazioni più assurde che ti abbiano rivolto finora?
Direi le critiche a scene che non erano state apprezzate... e lo credo bene, perché il lettore in questione citava scene che nel libro non ci sono affatto. Giuro.
Qualche consiglio per chi vuole scrivere?
Leggere tanto. Di tutto. E se volete scrivere fantastico, imparare l'inglese e leggere quello che esce all'estero e non arriva da noi. Oltre a questo... scrivere. Scrivere con costanza, anno dopo anno e storia dopo storia. L'esperienza della pratica continua, dello sfidare i propri mezzi e del tentare strade nuove, non la si può conquistare con scorciatoie. Va benissimo leggere i manuali – l'ho fatto e continuo a farlo anch'io, perché be'... parlano di qualcosa che amo, no? E qualche spunto interessante, qualche suggerimento utile si trova in quasi tutti. Ma, allo stesso tempo, non fatene una malattia: se non riuscite a scrivere un capitolo perché a metà vi scoraggiate e lo mollate da parte pensando di non riuscire a seguire punto per punto tutti i consigli di tutti i manuali possibili e immaginabili... non imparerete niente. Quando iniziate una storia, concentratevi sul concludere la vostra prima stesura: poi ci sarà tempo per rivedere, sistemare, riscrivere e correggere. E siate flessibili. Se siete bravissimi tecnicamente ma non avete niente da dire, se le vostre pagine restano fredde e senza passione, nessuno show don't tellvi salverà, così come se avete un'idea notevole, ma non sapete esprimerla (vi perdete in infinite spiegazioni senza portare avanti la trama, per esempio, e magari sbagliate pure i congiuntivi), l'occasione di raccontare qualcosa di bello sarà sprecata. Infiammatevi per la vostra storia, innamoratevi dei vostri personaggi: il lettore quell'amore lo sente.
Infiniti ringraziamenti per esserti prestata alle mie infinite domande. Spero che ci incontreremo presto, sia in cartaceo che di persona :)
Lo spero anch'io! E grazie a te per la chiacchierata ^___^
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