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Intervista ad Alessandro Borghi

Creato il 19 febbraio 2015 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Romano, classe 1986, Alessandro Borghi è una delle giovani promesse del cinema italiano. Con un passato da stuntman e una gavetta fatta di serie tv, da Distretto di Polizia 6 a RIS 5 passando per Squadra Narcotici e Romanzo Criminale 2, è approdato al grande schermo con 5 (Cinque), pellicola indipendente diretta da Francesco Maria Dominedò e Roma Criminale, poliziesco dalle sfumature seventies ambientato ai giorni nostri per la regia di Gianluca Petrazzi. L’occasione per svoltare definitivamente la sua carriera gliel’ha data però Stefano Sollima, reduce dall’enorme successo riscosso con la serie tv Gomorra, affidandogli il ruolo di Numero 8, boss della mala di Ostia, in Suburra, pellicola tratta dall’omonimo romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, nella quale il regista indaga lo stretto legame tra il potere politico e quello criminale nella città eterna.

Se ti dovessi raccontare a chi ancora non ti conosce, come descriveresti il percorso che ti ha portato alla recitazione? Che studi hai fatto? Recitare è quello che hai sempre voluto fare o ci sei inciampato in questo mestiere?

In realtà non quasi, ci sono completamente inciampato. Ho iniziato da molto giovane una carriera da modello, se vogliamo chiamarla così, ma in realtà era qualcosa di un po’ più piccolo, che era comunque iniziata sempre per caso e poi all’età di 18 anni ho incontrato fuori da una palestra colui che ancora oggi è il mio agente, Danilo Cesarano della Planet Film, che mi ha fermato e mi ha chiesto se volevo fare un provino per Distretto di Polizia, come protagonista di puntata . All’inizio sono stato anche abbastanza diffidente se devo essere sincero e non mi sono presentato. Poi però mi hanno chiamato quelli della produzione e mi hanno fatto fare questo provino  per il quale sono stato preso e dal primo giorno sul set, il 10 agosto del 2006, ho capito che c’era qualcosa di veramente speciale. Da lì ho cominciato poi a studiare alla Jenny Tamburi, dove ho trascorso tre anni e poi ho preso parte a vari corsi e workshop sia con insegnati stranieri, inglesi e americani, sia con italiani e ho continuato il mio percorso.

Hai da poco concluso le riprese di Suburra, il nuovo film di Stefano Sollima che indaga il rapporto fatto di corruzione tra il potere politico e criminale nella Roma dei giorni nostri. Quando sul set vi sono arrivate le notizie degli arresti inerenti alle indagini di Mafia Capitale come avere reagito? L’atmosfera è cambiata o non vi siete lasciati trasportare dalle notizie reali per continuare il vostro lavoro senza avere ingerenze esterne?

In realtà se questa domanda tu la facessi a qualcuno che non è di Roma ti risponderebbe in maniera diversa. Questo semplicemente perché chi sta a Roma ha piena coscienza delle dinamiche che regolano questa città che poi in realtà sono, in maniera diversa e sotto altri punti di vista, dinamiche che regolano un po’ tutto il Paese purtroppo. Quello che è venuto a galla era una cosa che gli abitanti della città sapevano già da tempo e a maggior ragione noi che ci eravamo trovati a lavorare su Suburra e a fare un discorso che già a priori fosse legato a queste dinamiche. Ovviamente quando siamo stati davanti alla televisione un po’ questa cosa ci ha stupito, ma semplicemente perché quella del romanzo di De Cataldo e di Bonini era veramente una favola, che loro hanno scritto e che sì, forse poteva essere ispirata da fatti reali ma che non erano ancora venuti a galla, e quindi quando ci siamo trovati a vedere che quello che noi stavamo raccontando combaciava esattamente con quello che stava succedendo ne abbiamo semplicemente parlato, ma molto poco, concentrandoci nel cercare di fare il nostro film nella miglior maniera possibile e, a quel punto, ad entrare ancora di più nel meccanismo che abbiamo riscontrato nella realtà. Diciamo che la notizia  non ci ha stupito molto, inoltre eravamo già avanti con le riprese e ci trovavamo in un momento abbastanza importante quindi non c’era molto tempo per concentrarsi su altro.

Uno dei tuoi primi approcci al mondo della recitazione è stato come stuntman in produzioni tv come Nassiriya – Per non dimenticare di Michele Soavi. In Suburra, ci sono delle scene d’azione articolate come quelle che abbiamo visto in Gomorra? E se sì, ne hai preso parte in prima persona?

Sì, ho cominciato come stunt ma in realtà anche quella è stata una cosa non venuta da me perché non avevo in mente di fare quel mestiere. Tutto è iniziato perché uno dei miei migliori amici è una persona che lavora nel cinema da tanti anni e il padre prima di lui e fanno questo lavoro da una vita. Dato che ho fatto molti anni di arti marziali mi cominciarono a chiamare per fare delle controfigure, magari in alcune scene di colluttazione ma assolutamente in maniera disinteressata, per farmi guadagnare la giornata, anche perché ero molto piccolo. Ho cominciato a fare queste cose non per andare sul set ad imparare, anche se in realtà poi ho rubato molto da loro. Poi certo un po’ per la mia preparazione, un po’ per l’esperienza che mi hanno dato loro, adesso se capita di fare qualcosa mi metto sempre in prima linea. A volte nel cinema capita che comunque non te lo lascino fare ma semplicemente perché se tu hai un ruolo da protagonista o una parte importante nel film, se ti accadesse qualcosa sarebbero costretti a fermare la produzione.

Come ti sei preparato per costruire il personaggio di Numero 8, boss della mala di Ostia con il pallino di trasformare il litorale romano in una sorta di Las Vegas? Hai letto il romanzo di Bonini e De Cataldo?

In realtà Stefano ci aveva vietato di leggere il romanzo per ovvi motivi. Chi ha letto il romanzo lo sa, è molto sopra le righe, ha un’impronta fumettistica, dove tutti i personaggi sono ben delineati, ma a volte anche sopra l’immaginario reale legato a quei personaggi. Io comunque una letta gliela diedi, di nascosto, per farmi un’idea, rendendomi però subito conto che era una cosa che doveva essere modulata, che fosse molto più reale e al tempo stesso molto più cinematografica. Ho cominciato quindi a lavorare su quelle che potevano essere la sfumature del personaggio, cercando di dargli una mia impronta, poi ovviamente Stefano l’ha perfettamente delineata e mi ha aiutato in una maniera incredibile a trovare la strada che fosse più interessante, e io sono andato ad attingere a quelli che erano un po’ i miei ricordi da ragazzo perché sono nato e cresciuto a Roma Sud e tante di quelle realtà le ho vissute e ancora oggi le vivo, quindi ho attinto un po’ dai miei ricordi e sono riuscito a prendere degli elementi che mi aiutassero ad avvicinarmi il più possibile alla realtà e alla quotidianità di questi personaggi e spero di esserci riuscito.

Sul set avevi modo di improvvisare, proporre modifiche o ti sei attenuto alle direttive del regista e della sceneggiatura?

Assolutamente sì. Stefano per fortuna fa parte di quella tipologia di registi che sono il pane degli attori, lascia davvero carta bianca. Ascolta le tue proposte, a volte neanche, nel senso che tu arrivi sul set e hai dei cambiamenti da fare e lui ti dice di andare tranquillo e se poi c’è qualcosa che non  funziona basta tagliarla. Ho avuto davvero la possibilità di modificare, di spaziare, di mettere dentro del mio per un personaggio che già di suo era scritto in una maniera importante, e questo poi mi ha permesso di metterci qualcosa di me, che poi in realtà mio non era. Si tratta di un discorso che fa un giro e ritorna nel punto di partenza perché sono riuscito a mettere del mio in relazione a delle cose che ricordavo o non riguardo la mia persona.

Hai preso parte a molte produzioni per il piccolo schermo e a pellicole di genere, da Distretto di Polizia 6 a Roma Criminale. Temi di rimanere incastrato in questo tipo di ruoli? Ti è capitato di rifiutare delle parti che ti sembravano ripercorrere una strada già battuta?

Se devo essere sincero questa paura non l’ho mai avuta. Ovviamente, andando avanti nel tempo, ho rifiutato delle cose che non appartenevano in quel momento a quello che era il mio progetto e adesso sono davvero contento di averlo fatto perché poi ho avuto il ritorno che speravo di avere. Sono sempre stato abbastanza attento a non fare cose che si somigliassero troppo come ad esempio, Roma Criminale che era un film di genere nel quale interpretavo un commissario di polizia e  Suburra che è l’esatto opposto.

Sul set di Suburra hai lavorato al fianco di attori affermati come Pierfrancesco Favino, Elio Germano e Claudio Amendola. Com’è stato lavorare con loro? Gli hai chiesto consigli?

Purtroppo non ho avuto la possibilità di lavorare direttamente con loro. L’unico dei tre con il quale ho fatto tre scene è stato Claudio Amendola dato che Suburra è strutturato in maniera tale da avere delle storie che viaggiano in parallelo, a sé stanti che poi si vanno ad incrociare. Quindi non ho avuto la possibilità né di lavorare con Elio né con Favino che sono due tra i migliori attori che ci sono non solo in Italia, ma in Europa. Ho cercato di rubare con gli occhi qualcosa quando andavo sul set e magari li vedevo recitare ma come in realtà avevo già fatto in passato quando li vedevo in altri film. Avevo sulle spalle un carico importante soltanto sapendo di lavorare nello stesso film, sperando di essere alla loro altezza.

Hai appena preso parte al nuovo film di Claudio Caligari, Non essere cattivo, prodotto da Valerio Mastandrea. Puoi parlarci del tuo personaggio e del film?

Cominciamo a girare venerdì. Il film è meraviglioso, tratto da una storia vera che parla di due amici veri, quasi fratelli, che partono insieme da giovani e vanno avanti nella loro vita prendendo scelte diverse ma comunque sempre restando in contatto l’uno con l’altro, ed essendo una storia vera il film ha un’impronta quasi documentaristica, anche se documentario non è, e questo deriva per l’80% dallo stile che ha Claudio Caligari, che non tutti conoscono purtroppo ma è una pietra miliare del nostro cinema. Ha diretto film come L’odore della notte e Amore tossico che ancora adesso quando li guardo mi viene veramente la pelle d’oca. Io e Luca Marinelli, i due protagonisti, stiamo facendo un lavoro soprattutto su di noi, parliamo molto e passiamo molto del nostro tempo insieme proprio per cercare di arrivare sul set con l’empatia che serve ai due personaggi per essere reali. Se su Suburra ho fatto un lavoro per certi versi improntato al tentativo di avvicinarmi alla realtà qui non devo avvicinarmi, qui deve essere la realtà. Su questo film non si deve recitare.

Come attore, immagino ti capiterà di vedere moltissimi film e moltissime serie, e tu che hai spesso lavorato in produzioni per il piccolo schermo se le paragoni con la realtà delle serie americane, come ad esempio Breaking Bad, cosa vorresti portare da una realtà così diversa in un prodotto nostrano?

Breaking Bad è la serie più incredibile che abbia mai visto in tutta la mia vita e che credo vedrò mai. La caratteristica fondamentale secondo me di Breaking Bad, ma come delle altre serie americane, è ovviamente il livello degli attori che è strepitoso e deriva dalla preparazione che c’è dietro quei personaggi e purtroppo molto spesso nel nostro Paese questa possibilità non l’abbiamo. Per esempio quando si parla di Matthew McConaughey che ha perso 30 kg e ha vinto l’Oscar per Dallas Buyers Club non dicono che ha avuto sei mesi di tempo per farlo. In Italia con i tempi e i budget che abbiamo sei fortunato sei hai tre settimane per perdere 30 kg. Credo che la caratterista fondamentale che loro hanno e a noi manca è che non hanno paura di raccontare le cose, mai. Noi cerchiamo sempre una via di mezzo. In Breaking Bad c’è cinismo e per tutta la serie tu cambi continuamente punto di vista, in un momento stai dalla parte della moglie, in un altro da quella di Walter o ancora di Pinkman e questa cosa qui non c’è. Qui si cerca sempre di fare il minimo indispensabile e di trovare un punto comune in grado di accontentare tutti e questo è un grandissimo errore.  Molto spesso mi è capitato di leggere dei progetti in fase embrionale che erano meravigliosi sulla carta e poi vederli realizzarti e valevano la metà della metà di quello che avevo letto all’inizio perché quando cominciano a mettere bocca troppe persone le cose perdono di autenticità.

Manuela Santacatterina  

 


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