Che la nostra scelta sia illusoria e la nostra strada non sia che frutto del destino, o che la nostra vita invece non sia che specchio delle decisioni prese, è comunque inevitabile sfuggire al richiamo della propria natura e chi nasce artista conosce questa verità più di chiunque altro.
L’artista sa che calato nel mondo reale la sua vocazione difficilmente sarà considerata un mestiere, che fin dal primo momento in cui deciderà di compiere dei passi sulla direzione che ha intrapreso seguendo il proprio talento, la disillusione lo tenterà più di una volta, ma non vivrà mai questo cammino come una condanna, perché più saggiamente degli altri, è altrettanto consapevole che condannati sono piuttosto coloro i quali vestono abiti che non gli appartengono aspirando ad un’accettazione sociale che, per quanto possa arrivare, resterà sempre parziale.
Questa sicurezza è figlia della pace che prova quando mette il punto sull’ultimo lavoro, a conclusione della danza di immagini che sentiva pulsare nella sua mente e che voleva, prepotentemente, trovare il suo posto sul foglio. O pronuncia l’ultima parola del copione che per mesi lo ha accompagnato riempiendo le sue giornate, che ha ripetuto sotto la doccia, al semaforo.
Quando ami quello che fai non cerchi conferma nella cascata di applausi, quel rumore è solo la riprova di aver indovinato il pezzo nel puzzle, è fonte di miglioramento quando è pacato, di gioia totale quando è completamente sentito. Ma quando scegli di mettere la tua vita nelle mani dell’arte non puoi che godere solamente del plasmarla, tutto il resto, il contatto con l’esterno, non è che un semplice canale.
L’artista ama ciò che fa, e a parte quest’amore non ricerca nient’altro.
Questa è la passione che traspare ascoltando parlare Ivan Festa, attore italiano che è stato definito dalla giornalista Giovanna Carcaterra “Pirandello contemporaneo”, e che da Italo Svevo a Checkov, da Kafka a Boccaccio ha recitato e ideato innumerevoli spettacoli.
Maricia Dazzi, per The Freak, ha avuto il piacere di intervistarlo:
Quando e come hai capito che la tua strada ti avrebbe condotto su di un palco?
Sul palco mi ci sono trovato. Ho praticamente sempre lavorato a teatro, ho cominciato con grandi compagnie e, in un secondo tempo che prosegue tutt’ora, ho deciso di camminare da solo, seguendo il mio percorso personale, un percorso che a volte comporta delle scelte, forse anche impopolari, come rifiutare la Tv, facendo del mio lavoro un mestiere in cui voglio continuare a sudare, a sporcarmi.
Senz’altro gli incontri mi hanno arriso: ho collaborato con Mico Galdieri prima che diventasse presidente dell’Ente Teatrale Italiano, ha prodotto anche alcuni dei miei spettacoli . I titoli a le collaborazioni sono facilmente reperibili, guardo sempre avanti.
La maggior parte dei miei lavori viene definita “sperimentale”, è un termine che in realtà detesto, credo che possa sperimentare solo chi è capace di innovare o possiede un’ enorme esperienza, Peter Brook ad esempio può veramente insegnare qualcosa o sperimentare, io ho fame e voglio ancora imparare … direi piuttosto che metto in scena delle idee, come ho fatto ad esempio con “Dialoghi tra il Grande Me e il Piccolo me” novella di Pirandello che con me ha solcato per la prima volta le scene.
Raccontaci della tua carriera: da Boccaccio a Checkov, qual’è la storia il cui racconto ti ha più segnato?
Se devo scegliere forse ti direi lo spettacolo “Senz’atto” per il quale mi sono ispirato ad una novella di Kafka che racconta della trasformazione di un uomo in scimmia, è stata una bellissima prova: quando reciti il limite è non vederti, quando guardi gli altri riesci a guidarli. Sicuramente ci sono delle parti che di me continuano a fare parte.
Quale attore ritieni di poter definire il tuo idolo? Chi ti ha più ispirato?
Non penso sia possibile scegliere fra la miriade di mostri che ho visto ( Manfredi, Sordi, Totò , Gasmann e altri ) vivo di citazioni, non ho modelli. Posso dirti, però, che alcuni attori per me hanno sempre rappresentato degli “indicatori”, dei riferimenti che ti spingono a portare l’asticella sempre più in alto, e non è da tutti, Gian Maria Volontè, Marlon Brando e Peter Sellers .
Marlon Brando è perfetto in Pelle di Serpente affiancato da una straordinaria Magnani, come nel “Il padrino”, ma quando non lo è stato? Gian Maria Volontè sono andato a trovarlo dove si è sentito vivo e dove riposa , alla Maddalena. Era moderno già negli anni ’70, una scena del film “Sacco e Vanzetti” è stata interrotta e rifatta più volte perché un attore alle sue spalle non riusciva a contenere le lacrime guardandolo, enorme lo è stato in “Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto ” come ” la classe operaia va in paradiso ” insieme a Salvo Randone. Altro attore straordinario è il Peter Sellers di “Oltre il giardino” e de “Il dottor Stranamore” . Questi rappresentano degli esempi ma, chiudiamo qui altrimenti continuo …
Quali sono le difficoltà per chi come te ha scelto questo mestiere? Pensi sia più difficile essere nato attore in Italia?
In Italia siamo invasi dalla necessita’ di apparire questo svuota senso e significato. Molti lo pensano nessuno lo sottoscrive per ragioni di comodo. Ci sarebbe troppo da dire…Trovo questo atteggiamento mediocre poco costruttivo, il nostro è un mondo mediocre che si nutre di poco talento e molta fortuna, nel mio come in tutti gli ambienti.
Vedo spettacoli che all’estero verrebbero fischiati e che invece a Roma, essendoci un pubblico, purtroppo, molto “televisivo”, anche se senti il brusio in sala degli spettatori che lamentano la bruttezza di quello che stanno guardando, alla chiusura fanno comunque quattro minuti di applausi. Questo è un male, se qualcosa non piace non deve essere applaudito, il pubblico a teatro deve avere una funziona partecipativa, non può estraniarsi e battere le mani solo perché è consuetudine, per quello esiste la televisione.
Valentino Rossi in una recente intervista ha giustamente detto “Qualsiasi cosa in Italia è più difficile”. Il nostro non è un paese giovane, non ti danno spazio e quando lo trovi devi cercare di mantenerlo con i denti e gli spintoni, è intollerabile che i Festival vengano diretti da persone quasi centenarie che neanche si presentano, come succede anche nelle università.
La censura è spaventosa. Ho dovuto combattere per poter pronunciare termini come “culo” o “sperma” a delle letture alle quali ho partecipato.
Fare il mio lavoro è ulteriormente complicato se sei al di fuori degli schemi, fare qualcosa di diverso è male. Ogni giorno devi combattere contro un sistema che è una sorta di “feudalesimo”: o sei con me o contro di me.
Senza contare che i teatri stanno morendo, non c’è una politica di mantenimento, per questo, una mia personale idea, è quella di creare nuovi spazi per quest’arte.
Non amo molto il genere al quale appartengo per natura anche se al contempo involontariamente sono un filantropo: mando il mio messaggio e chi lo vuole ascoltare so che lo ascolta, se nessuno dovesse farlo lo manderei in Francia o altrove.
Nonostante le difficoltà sono comunque riuscito a ritagliarmi i miei spazi e la mia nicchia.
A cosa stai lavorando al momento? Mi hai accennato di un progetto del quale sei particolarmente entusiasta…
La casa editrice Voland mi ha invitato a fare delle letture dei testi finalisti al Premio Strega, lì, ho conosciuto uno degli scrittori Giorgio Manacorda, autore di “Corridoio di legno”, libro bellissimo che lui stesso mi regalò siglandolo con una splendida dedica e la promessa di risentirci. E così accadde.
Conoscendolo mi accorsi che parlava dei suoi personaggi come un poeta di altre epoche, raccontando come questi gli fossero nella scrittura “fuggiti di mano”. Gli parlai di un lavoro su Pasolini senza sapere che fosse stato legato personalmente a lui: cominciò infatti la sua carriera portando le sue poesie proprio a Pierpaolo. E’ forse stato l’unico a non approfittare della sua amicizia. Seppi che il suo campo era anche quello teatrale, a settembre ci risentimmo e siamo partiti.
Stiamo costruendo un legame artistico e credo e spero anche personale, lui è un vero poeta, è una persona che stimo moltissimo, sono onorato mi abbia degnato della sua attenzione.
Mi ha inviato quattro testi e altro non posso anticiparti; posso solo dirti che metterò tutto me stesso per rendere questo lavoro degno di essere rappresentato.