Intervista ad un genitore con figlio disabile

Da Terzosettoresocialnetwork @TerzoSettoreSN

Disabile e famiglia? Un binomio inscindibile. "Noi i primi 'specialisti', senza risorse e senza visibilità"
Quella di seguito è un’intervista ad un genitore di un figlio disabile. Un genitore che si è rivolto a SenigalliaNotizie.it per far passare all’opinione pubblica la situazione di emergenza permanente che vivono le famiglie e le condizioni che si trovano ad affrontare i nuclei familiari senigalliesi dopo l’incontro a porte chiuse tenutosi alla chiesa dei Cancelli per discutere del servizio di assistenza domiciliare.
- Sindaco, assessore e dirigente hanno sentito le Vostre ragioni, rimostranze, proposte. Soddisfatti?
- E’ la soddisfazione del bicchiere mezzo pieno, mezzo vuoto. Ci hanno chiesto scusa. Però non possiamo dare ai nostri figli delle chiacchiere, che rischiano di far vedere il dito e nascondere la luna.
- Tradotto, cosa significa?
- Il mondo del genitore di un disabile è sconosciuto ai più. Come una conchiglia sigillata. E, come in ogni conchiglia c’è una perla, così per noi ogni figlio, anche se limitato, è pur sempre una perla, un essere unico e irripetibile. Il disabile porta in sé una carica umana, una ricchezza, una miniera ancora tutta da scoprire.
- Spieghi meglio, per cortesia.
- Medici, psichiatri, assistenti sociali, si accostano ai nostri figli come professionisti e noi valorizziamo il loro sostegno e competenza. Ma per loro si tratta di “utenti“, “casi“, “soggetti/oggetti di studio” (e anche di ricerca), quindi li studiano, analizzano, stilano tabelle, ma rimangono alla loro circonferenza. Non hanno strumenti per misurare il loro mondo interiore di emozioni, sentimenti, affetti. In tutti gli istituti ci è stato detto, che i primi “specialisti” siamo noi genitori. Se è inaccessibile l’universo del disabile, lo è anche quello dei loro genitori. Come fa un medico a rendersi conto di quello che soffre una madre, la cui maternità è rimasta “incompiuta”, non realizzata in pieno? Come farà a curare questa “ferita esistenziale”, che non si rimarginerà mai? Per trattare con noi ci vuole una professionalità “umana” oltre che tecnica e scientifica, perché è come entrare nel santuario, nelle vene di un dolore talmente profondo, che arriva alle radici dell’esistenza. Ogni genitore non vuole il meglio per suo figlio? E chi non è riuscito, per mille motivi, a dargli la salute, efficienza, autonomia? Amministratori ed operatori sociali non possono non tener presente che, chi viene messo alla prova dalla vita, diventa più sensibile e anche, talvolta, suscettibile…
- L’amministrazione cosa avrebbe dovuto fare?
- Il sindaco dice che il suo stile di governo è di partecipazione democratica. Perché si decide a dialogare con noi dopo un mese e mezzo? Sono aumentati gli utenti, da 126 a 139? Che fa un buon padre di famiglia? Cerca altre risorse, ricorre ad un’economia più oculata, creativa. Non si fa così per il Summer Jamboree per il quale sono già raddoppiati i finanziamenti per l’anno prossimo? Non si è finanziato il Cater Raduno? I fuochi d’artificio, le 136 manifestazioni, gli orti per la Cesanella?
- E stato ribadito che le risorse non sono infinite, che per i servizi sociali si spendono 5 milioni l’anno, di cui uno e più per i disabili. Non è poco, vero?
- Ma il sindaco ha dimenticato altre cospicue entrate: multe, posteggi, concessioni d’ogni tipo, tasse varie, ecc. La legge 104 taglia la testa al toro: “Le situazioni di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici” (art. 3,4).
- Non potete negare l’emergenza economica…
- Assolutamente. Ma il genitore del disabile vive in “situazione di emergenza permanente“, con l’ossigeno in casa per l’apnea notturna, con il sondino, con il 118 a portata di mano. Convive 24 ore su 24 con il suo problema, che spesso diventa cruccio, dolore accumulato, notti insonni. Non c’è sabato né domenica, né Natale né Pasqua… sempre, sempre con il figlio, che reclama attenzione, affetto, premure, medicine, visite, controlli; deve essere imboccato, cambiato, sollevato, portato a scuola, alla fisioterapia, in piscina, all’ippoterapia… Mio figlio è un utente della Lega del filo d’oro, la quale ha un ufficio SOLO per la raccolta fondi. L’entrata più cospicua non è la retta giornaliera (circa 300,00 euro), ma le donazioni, lasciti, offerte, “l’obolo della vedova“. Qualora si rendesse necessario i cittadini di Senigallia, le molteplici associazioni si negherebbero di dare una mano e non solo in termini economici? Lo prevede la legge 104: “Il servizio di aiuto personale (…) può avvalersi dell’opera aggiuntiva di (…) cittadini di età superiore ai 18 anni che facciano richiesta di prestare attività volontaria, organizzazioni di volontariato” (art. 9, 2). E poi, se necessario, potremmo fare uno stand per raccolta fondi; i nostri cuochi eccellenti non ci negherebbero una serata gastronomica speciale alla Rotonda; e perché no una serata in onore dei nostri figli? Il problema di fondo è un altro: la visibilità. Per una società fatta di pregiudizi il disabile non sta bene in una città turistica, meglio proteggerlo, nasconderlo… E così si alimenta l’immaginario popolare. “I figli sani non capiscono, si spaventano“. Ed invece sono quelli che affrontano la cosa con maggior semplicità, serenità. Sì, certo, fanno mille domande imbarazzanti, ma mio figlio è conteso dai suoi compagni di scuola, che fanno a gara per spingere la carrozzina, fargli una carezza, dargli un bacino, cantargli le sue canzoncine preferite, imitare i versi degli animali.
- Torniamo alla legge 104, quella che regola questa materia.
- Una legge eccellente non sempre applicata integralmente. Per essa il disabile e la sua famiglia sono un binomio inscindibile, perché la salute, dignità, benessere dei due soggetti vanno di pari passo.
- Veniamo alle ore di assistenza.
- La legge stabilisce che l’unico competente è l’autorità sanitaria, non il politico né l’amministratore pubblico.”Gli accertamenti relativi alla minorazione, alle difficoltà, alla necessità dell’intervento assistenziale (…) sono effettuati dalle unità sanitarie locali mediante le commissioni mediche” (art. 4).
- Cosa direbbe a chi afferma di conoscere bene la vostra situazione?
- Non ce la facciamo noi genitori… Quante volte, la mattina presto, sulla spiaggia deserta, chiudo gli occhi per tentare di immedesimarmi in mio figlio/non/vedente per immaginare: cosa prova, cosa sente, cosa passa dentro di lui che vive dietro la barriera del buio? Impossibile capire, impossibile immedesimarsi…
- E allora?
- Per vincere la tristezza lo porto alla stazione, faccio il tifo con lui per i treni, andiamo a Fano e torniamo, canto per strada, lo abbraccio e riempio di baci… Chi non sta male quando una madre la fa finita insieme al figlio disabile? Oggi né la giudico tanto meno la condanno, perché la disperazione può portare a gesti estremi. Ma dove sono i vescovi, i parroci, i cattolici “impegnati” a prevenire l’irreparabile? Tra una processione e l’altra non potrebbero organizzare una festa cittadina per “celebrare” i nostri figli crocifissi dalla disabilità?
- E la stampa cattolica, Voce Misena ha fatto da altoparlante alle vostre difficoltà?
- Afona… eppure non dovrebbe essere la “voce di chi non ha voce“?
- Nella replica il sindaco ha parlato di rischio di “banalizzazione”. Secondo lei a che cosa si riferiva?
- Forse alla mia provocazione, che ritengo una proposta. Per dare un minimo di visibilità ai nostri figli non sarebbe augurabile inserire tra le 136 manifestazioni turistiche la giornata del disabile con il supporto dei clown, di qualche scuola di ballo, che organizzi la “danza delle carrozzine”? Non sarebbe bello vedere sindaco e assessori spingere una carrozzina nel corso due Giugno? Un gesto che vale più di mille tagli di nastri tricolori?

da Alberto Marinetti (scrittore e giornalista)


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