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Andrea Maraschi e Andrea Marcellini, A.M. e A.M., da questa coincidenza di iniziali e da una forte amicizia nascono nel 2010 i 2 a.m., giovane duo di Senigallia, nel cuore delle Marche, regione che negli ultimi anni ha sfornato a profusione talenti del panorama indie italiano.
Il progetto musicale dei 2 a.m. affonda le radici del proprio sound nel fertile terreno del rock e del pop britannici, dai pilastri portanti della seconda british invasion fino alle recenti derive alternative e passando ovviamente dal brit-pop. Con queste influenze musicali in testa i due marchigiani compongono e registrano 7 brani che nell’ottobre del 2011 danno vita al primo EP della band, “The End. The Start“, che da subito ottiene un buon riscontro dalla critica e dal pubblico.
Ad un anno esatto dal primo disco, coadiuvati da un maestro della produzione come Mattia Coletti, Maraschi e Marcellini pubblicano il loro secondo lavoro, “Parallel Worlds“, EP di 6 brani uscito il 22 ottobre e, come il precedente, disponibile in free download. Il nuovo album, anticipato dal singolo “Axl’s song” e dal relativo primo video ufficiale della band, segna un passo avanti nella modellazione del suono, ora più maturo grazie anche alle esperienze dal vivo del gruppo che si fanno sentire nei passaggi più graffianti dell’album, e nella composizione, con liriche profonde che affrontano temi attuali e intimisti. Un secondo lavoro che conferma il talento dei due e fa ben sperare per il futuro.
Ciao ragazzi! Cominciamo dal principio: come nascono i 2 A.M. e quali sono gli obiettivi e lo spirito alla base delle vostre canzoni?
Diciamo che il fatto che noi suoniamo insieme è il risultato di un rapporto molto più profondo che è radicato nella vita di ogni giorno. Amici? Di più, forse fratelli. La musica è la naturale conseguenza di questa grande complicità.
Nel 2011 il debutto con “The End. The Start” e ora “Parallel worlds”, in cosa siete cambiati durante questo tempo e cosa invece è rimasto uguale ad un anno fa?
Concettualmente, “The End. The Start” è nato da una nostra evoluzione a livello umano. Nei due anni che hanno preceduto la realizzazione del disco sono successe tante cose, tutte molto significative e che, sicuramente, ci hanno dato modo di crescere e diventare persone più mature e consapevoli. Di conseguenza, il disco ha rappresentato, per noi, un nuovo punto di partenza. “Parallel Worlds” arriva un anno dopo. Il concept del disco ruota intorno a quei temi che fanno parte della nostra vita quotidiana, ma che molta gente non vuole “vedere”: la paura, la malattia, la morte, il conflitto, la caduta e la risalita. Musicalmente, il disco nasce da una nostra maggior consapevolezza nell’approccio al sound. Seguendo il messaggio del disco, ci è venuto molto naturale arrivare a sonorità che risultino più sporche, ruvide, ma allo stesso tempo intimiste e profonde.
Parlateci di “Parallel worlds”: Da dove nasce? Quali sono questi “mondi paralleli” e dove sono?
I “mondi paralleli” di cui parliamo sono quelli in cui ognuno di noi vive contemporaneamente, quelle diverse sfaccettature dell’esistenza quotidiana che tutti conosciamo benissimo. La società ci impone dei modelli di comportamento che ritiene “giusti”, mentre ne demonizza altri definendoli “sbagliati”, quando in realtà ogni nostra azione, perfino la più controversa, ha sempre le sue ragioni. Ma fa molto comodo ricorrere a queste categorie del bene e del male, che fanno ormai parte di un mondo sempre molto più attento alla superficie, all’immagine (facebook…) e molto poco ai contenuti. Se una persona ha dei comportamenti “anomali”, “strani”, la prima reazione non è mai chiederle “perché?”, cercando di capire il suo contesto emotivo, visto che è molto più sicuro e comodo escluderla e giudicarla; la ragione, credo, è che tentare di avvicinarsi a chi ci sembra “strano”, “sbagliato” o “malato” rischia di farci fare anche un esame di coscienza verso noi stessi, cosa che per codardìa tendiamo a evitare. Il confine tra i due mondi (sano e patologico) è molto sottile. Nel senso: ok, ci sono le persone malate, ma anche le cosiddette persone normali sono sempre a un passo dall’altro mondo, quello oscuro, quello della malattia, della morte. Nei casi più gravi, basta che un qualcosa vada storto e si passa al di là. Ci sono però una miriade di casi più “normali”, che sono poi quelli più subdoli, perché queste persone vivono schiave delle proprie “malattie” e mettono in atto comportamenti che non sono così distanti da quelli di chi soffre di una vera e proprio patologia.
La vostra musica è ricca di richiami ad un sound di stampo britannico, un po’ brit-pop, un po’ post-rock, e comunque figlio degli ultimi due decenni. Quanto incidono le influenze musicali sulla vostra composizione? C’è un artista o un gruppo a cui vi ispirate in maniera particolare?
La musica che ascolti influisce sempre, spesso anche solo a livello inconscio. I primi dischi che nella vita ti conquistano rimangono parte di te, e sono lì nel sedile posteriore della tua mente quando impugni la chitarra o ti siedi al pianoforte. La musica che ami orienta necessariamente il tuo gusto musicale, dunque il tuo songwriting, ma i risultati che puoi ottenere sono a volte molto più personali di quanto potessi pensare. Per questo abbiamo canzoni più “classiche”, dove si può sentire più chiaramente il dizionario musicale di riferimento, ma altre assai più sfuggenti a catalogazioni.
Negli ultimi tempi molti artisti della scena indie italiana stanno abbandonando o semplicemente accantonando il cantato in inglese a favore dell’italiano, voi avete mai pensato a questa possibilità? Che impatto avrebbe sulla vostra musica?
Non ci abbiamo pensato perché sarebbe un gesto innaturale per noi. Ogni testo che scriviamo prende forma in inglese, suona meglio in inglese, si canta meglio in inglese. Non cambieremmo per nessun motivo!
Dopo la presentazione dell’album sono già state fissate le prime date del tour, come vi state preparando e che tipo di spettacolo ci dobbiamo aspettare dal vivo?
È la prima volta che presentiamo i nostri brani in chiave elettrica, e questo ci rende davvero eccitati. Abbiamo fatto le prime due date e, a parte dei problemi di suono che abbiamo avuto nel primo concerto, siamo davvero soddisfatti. Il motivo non è solo l’adrenalina che ti dà il suonare loud, ma il fatto che riusciamo a passare da brani tirati come “PG” o “The untold worlds” a pezzi intimisti come “I cannot cry” e “Trying”, all’interno della stessa setlist. E tutto ciò rende giustizia al nostro eclettismo compositivo e sonoro.
Progetti per il futuro? Sogni nel cassetto?
Suonare live il più possibile e continuare con la promozione. Fra poco gireremo il nostro secondo video e… speriamo che la Juve vinca la Champions nel giro di un paio d’anni.
Intervista pubblicata su Oubliette Magazine
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