Una carriera lunghissima la tua, Stefano, che ti ha regalato tantissime soddisfazioni ad alti livelli di professionismo e che ora ti vede impegnato nella natia Cerea in un avvincente campionato di Eccellenza. Partiamo dall’attualità, dall’odierno: siete capitati in un girone di ferro, con tante valide pretendenti alla promozione diretta. Chi vedi come più accreditata tra Rovigo, Arzignano e Villafranca? Voi contate di tenere il passo e di fare il grande ritorno in D?
-Il campionato è stato sicuramente molto avvincente e combattuto fino all’ultima giornata. C’erano squadre allestite per fare un campionato di vertice, importante, e tutte quelle che hai citato tu hanno lottato fino all’ultimo per ottenere la promozione. Per quanto ci riguarda abbiamo fatto un grande campionato, e fino all’ultimo abbiamo dato l’anima per inseguire un traguardo che all’inizio era insperato. Siamo partiti infatti a luglio dopo la delusione dell’anno scorso e ripartire non è stato facile. Tanti giovani bravi si sono messi in luce, noi vecchietti abbiamo cercato di portare la nostra esperienza, dando sempre il massimo dell’esempio e dell’impegno. E’ la società non ci ha mai fatto mancare nulla, mettendoci a disposizione tutto ciò che ci serviva con puntualità.
Qual è la qualità maggiore che emerge nella tua squadra: l’esperienza data da te e altri compagni, penso a Moretto da poco rientrato, o l’entusiasmo dei nuovi, dei più giovani? O è tutto l’ambiente che aiuta a far salire le prestazioni della squadra?
-Come detto sia l’apporto dei più giovani, sia quello dei più vecchi è stato fondamentale. Si è creato un’alchimia veramente bella, che ci ha portato a giocarci il campionato fino all’ultimo. E sia lo staff tecnico che la società ci sono sempre stati vicini in tutto con grande professionalità.
Sei di Asparetto, una piccola frazione di Cerea appunto, che tu lasciasti ben presto per volare al Chievo. Ti ricordi le sensazioni e le emozioni del periodo? I sacrifici per arrivare dove sei arrivato in cosa consistevano, sempre se tu li hai vissuti come tali. O nel tuo caso, la voglia di emergere e di rimanere al Chievo ha superato il resto? C’erano altri tuoi compagni che hanno mollato prima o non hanno completato il loro percorso; nella tua esperienza quali possono essere le maggiori difficoltà che si incontrano lungo il cammino di un giovane calciatore?
-Sicuramente non è stato facile. Ricordo i grandi sacrifici dei miei genitori, che mi accompagnavano ad allenamenti e partite. Ricordo la grande fatica nel far conciliare gli studi con gli allenamenti. Ma la forza interiore, l’entusiasmo mi hanno permesso di superare tutto ciò. Il momento più difficile è stato sicuramente quello dell’adolescenza, ricordo i miei amici che uscivano a divertirsi e io non potevo perchè dovevo andare alla partita, e nel poco tempo libero dovevo studiare. Ma la passione e l’amore per questo sport mi hanno dato la forza per fare questi sacrifici.
Per moltissimo tempo sotto contratto con il Chievo, immagino con molti momenti topici in cui magari pensavi di esordire in prima squadra, cosa che è in effetti accaduta, ma quando ormai eri già quasi un veterano delle categorie inferiori, tra cadetteria e terza serie. Hai sempre messo davanti l’opportunità concreta di giocarti le tue carte altrove, di fare esperienza sul campo o hai rammarico di non essere stato tra i protagonisti di quel Chievo così forte nelle sue prime stagioni in serie A? Che ricordi hai di alcuni compagni di squadra dell’epoca, quelli del “miracolo” di Delneri?
-Al Chievo sono cresciuto, sono diventato uomo, sono arrivato all’età di 9 anni, ero un bambino. A diciotto ho firmato il mio primo contratto da professionista e dopo tanti sacrifici il mio sogno è diventato realtà. Nessun rammarico, ho avuto la grande gioia di esordire in serie A e di fare esperienze sportive ed umane fantastiche, ho vissuto in tante città d’Italia ed ho conosciuto amici e persone straordinarie. Ho avuto la fortuna di giocare con grandi campioni, che mi hanno insegnato tanto.
La vita da professionista ti ha portato ben presto a maturare esperienza lontano da casa: Pescara, Avellino ma persino Acireale ai tempi del tuo primo prestito. Che tipo di esperienze sono state, non solo da un punto di vista prettamente sportivo? In fondo eri poco più che un ragazzo, immagino tu sia cresciuto in fretta…
-Sono state esperienze bellissime, che porterò sempre dentro il mio cuore. Oltre alla componente sportiva, che mi ha formato professionalmente, ho avuto modo di crescere in fretta, di vivere lontano da casa, di abitare sia con altri compagni di squadra che da solo, di conoscere posti nuovi e come detto prima persone fantastiche. Ogni città in cui ho giocato mi ha lasciato ricordi indelebili nel cuore.
A Cremona hai vissuto una buona stagione, viatico per l’approdo in B. Quali sono state le maggiori differenze che hai riscontrato tra le due categorie?
-A Cremona era il mio secondo anno di serie B. Fino ad allora non avevo avuto grandi infortuni, e fisicamente ero al top. E’ stata una grande stagione, ho giocato con continuita e ho fatto il mio record di goal in serie B. Avevo già giocato a Cremona in serie C, a diciotto anni, e ritornare dopo anni in B è stato molto bello. E’ una città alla quale sono molto legato.
Ripercorrendo la tua carriera, a quali allenatori ti senti più grato? Qual è quello che maggiormente ti ha “capito”, mettendoti nelle condizioni di esprimerti al massimo delle tue potenzialità? E in generale da quale hai imparato di più?
-Ho avuto tanti allenatori…Tutti mi hanno trasmesso qualcosa di importante, e da tutti ho cercato di imparare segreti diversi. A tanti sono ancora molto legato. Ricordo con piacere Galderisi che ho avuto a Cremona ed Avellino, Roselli a Varese, Vavassori ad Avellino e a Verona…Lo stesso Pellegrini…
L’esordio in serie A o l’approdo, seppur in tempi bui, all’Hellas Verona? Quale di questi due momenti tieni maggiormente nel cuore?
-Sono due emozioni completamente diverse, non paragonabili. Solo chi le ha vissute può provare dentro di se le emozioni che danno. L’esordio in serie A è il sogno di un bambino che si realizza, è il massimo, e il Chievo mi ha dato la possibilità di farlo…Vestire la maglia della propria città, e vincere un campionato è un’altro sogno che si è realizzato. Quando vesti qualsiasi maglia, devi farlo con grande onore e rispetto, se la maglia è quella della tua città, rappresenti la tua gente, e il senso di appartenenza ti avvolge. Io ho sempre cercato di farlo al meglio e col massimo impegno.
Sentiamo parlare sempre più spesso dei “mali” che attanagliano il calcio, della mancanza di valori ecc. Tutti coloro che hanno avuto modo di conoscerti sono certi nell’affermare che tu sia rimasto il ragazzo tranquillo di sempre, serio e umile. Ci confermi che è possibile quindi trovare ragazzi semplici, lontani dall’immagine comune che i media mandano quotidianamente? Hai legami di amicizia vera coltivati negli anni con alcuni tuoi colleghi?
-Io sono così, ero così e lo sono rimasto. E sono fiero di esserlo. Questi valori, quelli dell’umiltà, della volontà e del sacrificio sono stati quelli che mi danno la forza di raggiungere i miei obbiettivi, professionali ed umani, e non mi hanno mai tradito. In un ambiente come quello calcistico è più facile montarsi la testa perchè tutto sembra più facile. Ma nella mia avventura ho conosciuto ragazzi splendidi, puliti e veri, è normale poi che le strade si dividano per le esperienze di vita più svariate, ma a tanti di questi sono ancora molto legato.
A Cerea immagino che tu sia visto come uno “che ce l’ha fatta” a far diventare la sua passione, il suo sogno, una realtà. Alla fine della giostra hai dei rimpianti su quella che poteva essere stata una carriera diversa o hai raggiunto tutti gli obiettivi che ti eri posto? Che consigli senti di dare ai tuoi compagni più giovani, alcuni dei quali magari legittimamente ambiscono a un futuro da professionista nel mondo del pallone?
-Nessun rimpianto. Non bisogna mai averne. Tutte le scelte se meditate e ponderate con attenzione non possono essere rimpiante. Purtroppo nella vita ci sono tante variabili impreviste, che non possiamo controllare…é normale che avrei fatto a meno di qualche infortunio scomodo, come quelli alla spalla o alle ginocchia…ma anche questo fa parte della vita, e va superato a testa alta. Ai ragazzi giovani dico solo di essere se stessi, di dare tutto, ma per raggiungere un obbiettivo bisogna essere disposti a fare fatiche e sacrifici. Nulla è facile. Solo dopo aver fatto questo non si ha nulla da rimproverare a se stessi. Ora il calcio offre meno opportunità di un tempo, sfondare è più difficile, per questo è fondamentale costruirsi una strada alternativa con lo studio.
Avrei tante altre cose da chiederti e curiosità da soddisfare, ma immagino che carne al fuoco ce ne sia già tanta e sono sicuro che i lettori saranno ben soddisfatti di poter leggere dalle tue parole il frutto della tua lunga e bella esperienza calcistica.