Incontro il Senatore Lucio Malan alle 9.00 del mattino nella hall dell’Hotel Ramada. Ieri è stato uno dei 70 osservatori indipendenti che hanno monitorato le elezioni nel Donbass. In conferenza stampa ha dichiarato: “La questione della legittimità della Repubblica di Donetsk non fa parte del nostro lavoro. Ho accettato l’invito del comitato elettorale perché più di un milione di cittadini europei erano chiamati a votare.”.
Per l’OSCE, invece, le elezioni nel Donbass non erano sufficientemente europee e se ne è fregata, nonostante quanto riporti il suo stesso sito: “L’Organizzazione lavora anche con le organizzazioni regionali al di fuori dell’area OSCE. L’obiettivo è quello di condividere le esperienze riguardo preallarme, prevenzione dei conflitti, gestione delle crisi, risanamento post-conflitto, promozione dei diritti umani e delle elezioni democratiche…”.
Il Servizio di Sicurezza ucraino, che ha fatto suoi i valori europei, ha dichiarato che gli osservatori stranieri che hanno assistito alle elezioni saranno inclusi nella lista delle personae non gratae, in quanto considera il loro lavoro un’attività criminale.
Malan si dice dispiaciuto di questo fatto. Era già stato osservatore varie volte in questo paese. Nelle elezioni del 2004 era tra quelli che avevano denunciato brogli. È venuto nel Donbass con lo stesso impegno di allora, pronto a testimoniare qualsiasi irregolarità.
“Questo è il lavoro che gli osservatori devono fare. Io sono stato due volte osservatore elettorale in Crimea. Siccome ricordavo i brogli del 2004, per le elezioni nazionali del 2007 ho voluto andare proprio in una regione a fortissima maggioranza filo-russa. Come osservatore io dovevo dimostrarmi neutrale, però in cuor mio speravo vincessero i filo-europei, gli eredi degli arancioni. La logica vuole che i brogli tu li fai dove sei forte, non dove sei debole. In altre parole, è più facile passare dal 80% al 90% nelle zone dove sei forte, piuttosto che dal 2% al 4% nelle zone dove sei debole. Dove sei forte, puoi avere scrutatori, funzionari, poliziotti dalla tua parte e quindi è più facile imbrogliare. Invece, tutto si è svolto in modo assolutamente regolare. In quell’occasione mi sono reso conto che la lingua ucraina in Crimea non sapevano neanche cosa fosse, diversamente da quanto avviene a Kiev e sopratutto nelle campagne dell’Ucraina centrale e occidentale. La sincera simpatia, vicinanza, tendenza per la Russia e per Putin in particolare, da parte dei cittadini di Crimea era evidente.”
C.M. Simpatia che si è palesata con il referendum dello scorso marzo, al quale la UE ha reagito applicando le sanzioni richieste insistentemente dagli Stati Uniti.
L. M. Le sanzioni alla Russia di sicuro non fanno comodo all’Europa. Dal punto di vista politico, se lo scopo era evitare le questioni Crimea e Donbass, sono state del tutto inefficaci. Mentre sono state estremamente efficaci nel creare danni all’economia europea, costringendoci a cedere quote di mercato ad altri paesi e nello spingere la Russia a cercare altre alleanze, in particolare con la Cina. È vero questo: sono gli americani che hanno proposto, ma sono i paesi NATO che hanno accettato.
C. M. Come se la Russia fosse un nemico dell’Europa.
L. M. Infatti, io non penso che lo sia. Bisogna fare in modo che non lo diventi. Chiaro che se si ha un atteggiamento ostile verso qualcuno è facile che si venga ricambiati. Poi indubbiamente una serie di mosse della Russia, le questioni Crimea e Donbass, non sono cose da prendere alla leggera. Un cambiamento della carta geografica è sempre problematico, non può essere preso alla leggera da nessuna delle parti. Sta di fatto che ci vuole un certo realismo nell’approccio alla politica verso la Russia. Bisogna capire se questo atteggiamento ha degli effetti positivi almeno per quanto riguarda gli episodi sui quali è basato e quali sono le conseguenze negative. Creare un’alleanza di ferro tra Russia e Cina, per non parlare degli altri paesi, contro l’Occidente a me sembra una cosa ben più grossa che non le questioni Donbass e Crimea.
C.M. Ancora una volta l’Europa non riesce a curare i propri interessi?
L.M. Sicuramente è stata fatta una serie di scelte autolesionistiche. Il fatto che l’Europa non cresca da vent’anni non può essere soltanto sfortuna.
C. M. La UE in futuro cambierà la sua posizione riguardo la validità del referendum e il fatto che la Crimea ora sia parte della Federazione Russa?
L.M. Io credo che un normale e moderato realismo politico farà sì che prima o poi, magari continuando a negarlo pubblicamente, si arriverà a una forma di accettazione. Io trovo giusto che questo avvenga. Sappiamo che la Crimea era diventata ucraina in conseguenza di una mossa di Kruscev, ma tanto non cambiava molto all’interno dell’Unione Sovietica. Adesso invece cambia molto. Da parte dell’Ucraina è anche comprensibile la preoccupazione. Prima la Crimea, poi il Donbass, un pezzo per volta rischiano di perdere tutto.
C.M. In maggio Bruxelles prometteva la seconda tranche di prestiti senza nascondere che questa dipendeva dalla questione Donbass, essendo la principale fonte di guadagno in valuta estera della tesoreria ucraina e quindi garante del rimborso. Adesso Kiev sta perdendo la guerra, però l’UE pagherà i debiti ucraini con la Russia per risolvere il problema delle forniture energetiche.
L. M. La cosa paradossale è che con l’embargo impediamo alle nostre aziende di commerciare con la Russia e poi diamo 5 miliardi cash a Putin, soldi dei contribuenti europei. Sì, come rappresentante del popolo italiano, qualche perplessità ce l’ho.
Diciamo le cose come stanno: la gente qui non sembra rimpiangere l’Ucraina. Donetsk è una città palesemente benestante per gli standard del paese. Chiaramente questo gioca a favore dei separatisti.
C.M. Esiste ancora la volontà di far entrare l’Ucraina nella UE?
L.M. Per la verità, su questo c’è sempre stata una certa freddezza da tutte le parti. Perché se ne conoscevano le implicazioni.
C. M. La Russia si ritrova accerchiata da basi NATO. Kazakistan, Caucaso, Scandinavia, Polonia… La politica espansionistica della NATO è sotto gli occhi di tutti.
L. M. Effettivamente ci sono delle situazioni che possono dare alla Russia questa sensazione e certamente lo stesso popolo russo la percepisce. Bisognerebbe cercare di non alimentarla. Detto questo, la questione dell’accerchiamento è anche un po’ retorica. La Russia è uno stato grande quanto mezzo mondo e l’altro mezzo mondo la circonda. La cosa principale della NATO alla fine non sono i carri armati, gli aerei, ecc. Perché quelli sono di proprietà dei singoli stati membri, Stati Uniti in primis. La vera arma della NATO è l’articolo 5. Se l’Ucraina fosse stata nella NATO avremmo dovuto andare in guerra contro la Russia per recuperare la Crimea. Perché la Crimea è parte del territorio ucraino, per cui in base all’articolo 5 qualsiasi tipo di azione militare, anche a seguito di referendum, rappresentava gli estremi per l’articolo 5. Tutto il resto è facoltativo. Se gli Stati Uniti o un altro paese decidono di fare una guerra da qualche parte, ci vuole una decisione all’unanimità, ma l’articolo 5 prevede l’obbligo dell’intervento militare. Se qualcuno sbarcasse in Sicilia, dagli Stati Uniti all’Estonia sarebbero obbligati a venire ad aiutarci. La stessa cosa varrebbe per l’Ucraina.
C. M. Però nessuno è sbarcato in Ucraina. I media hanno parlato di invasione russa, ma non c’è stata nessuna invasione.
L. M. Non sono un esperto militare, ma quando sono stato a Saur Mogila ho capito che non era importante per controllare Donetsk. In fondo, si tratta di una collinetta a 60 chilometri dalla città. Era importante per tagliare eventuali linee di rifornimento dalla Russia. E il fatto che lì l’attacco sia stato inflitto dagli ucraini indica che il loro timore era proprio quello. Poi, invece, pare che le milizie fossero tutte locali.
C. M. Finisse oggi la guerra, ci vorrebbero anni per ricostruire il Donbass e far ripartire l’economia. Otto delle industrie più importanti della regione sono di proprietà di Rosneft, la maggiore compagnia petrolifera russa, le cui quote sono per gran parte proprietà del governo. Sarà la Russia allora a far rinascere il Donbass, mentre la UE si farà carico della bancarotta dell’Ucraina?
L. M. Secondo me, l’Ucraina è un paese dalle grandi potenzialità persino senza queste due regioni. Certo, queste potenzialità sono ben lungi dall’essere realizzate. Io credo che bisogna trattare le cose con realismo e ricostruire la pace. Fermare focolai di guerra è sempre una buona cosa.
C. M. La guerra nel Donbass potrebbe essere il banco di prova per un conflitto più ampio, un nuovo confronto tra Occidente e Oriente, un tentativo di coinvolgere la Russia sul piano militare?
L. M. In via teorica, sì. Mi sono sempre detto che i paesi europei di sicuro, e gli Stati Uniti quasi di sicuro, non hanno né la forza né la volontà di scatenare guerre. Dopodiché, quando sono arrivato qui, ho constatato che la guerra qui c’è stata. A Saur Mogila ho visto le tombe scavate sul momento, tombe di giovani europei dell’età di mio figlio uccisi da altri europei in una vera e propria guerra.
Si sta andando verso una forte tensione fra le parti. Non bisogna sottovalutare questo. Cento anni fa nessuno pensava, o meglio qualcuno lo pensava, ma non la maggior parte dei cittadini europei, che da un attentato in Serbia, per quanto principesco, sarebbe nata una guerra con milioni di morti, quanti non si erano mai visti prima. Qualche decina di questi anche tra i miei parenti.