Gianni Pittella: Le scelte politiche dell’Unione europea sono fortemente condizionate dall’orientamento del Consiglio europeo e dai suoi equilibri interni, dove prevalgono i governi dei paesi di maggior peso economico, come la Germania, la Gran Bretagna, la Francia. Il Parlamento europeo, unica istituzione eletta direttamente dai cittadini, sta cercando faticosamente di ritagliarsi il ruolo di co-legislatore assunto con il Trattato di Lisbona.
Gianni Petrosillo: Molti attribuiscono alla Germania una chiusura eccessiva su parametri economici che i singoli paesi dell’Unione sono tenuti a rispettare per tenere i conti a posto, tuttavia, l’Italia è stata tra i primi Stati a ratificare la costituzionalizzazione dei vincoli di bilancio che rendono incostituzionale il deficit. Qui, dunque, i tedeschi non c’entrano ma siamo noi che per un eccesso di compiacenza verso i mercati e la BCE ci priviamo di quegli strumenti, come la spesa in disavanzo, indispensabili a salvare un sistema e farlo ripartire nei momenti di maggiore difficoltà. La Germania sarà tetragona ma noi siamo o non siamo autolesionisti?
Gianni Pittella: La crisi drammatica di liquidità che hanno attraversato i nostri conti pubblici era soprattutto un problema di credibilità: i mercati chiedevano una maggiore remunerazione per accettare il rischio di investire sul nostro debito. Il governo Monti e la maggioranza che lo sostiene in Parlamento sono stati costretti a varare riforme strutturali della spesa pubblica e ad accettare le condizioni rigoriste della Bce e della Germania nella gestione del bilancio per ricostruire e rafforzare la fiducia perduta degli investitori; e per un paese come il nostro che ha il terzo debito mondiale per ammontare era un’operazione vitale. Ora l’emergenza è finita, la fiducia nell’Italia sta tornando, è il momento di far ripartire gli investimenti nella crescita e nell’occupazione con politiche più espansive.
Gianni Petrosillo: Uno delle note dolenti dell’Ue resta la politica estera. In un’epoca storica di passaggio al multipolarismo geopolitico, con nuove potenze e vecchie conoscenze che si affacciano sullo scacchiere internazionale, riconfigurando i rapporti di forza tra nazioni e aree geografiche, la politica estera, come affermano fior di strateghi mondiali, diventa la politica tout court. L’Ue, sotto questo aspetto, ci pare che non abbia non solo una direzione univoca ma che difetti proprio di una direzione specifica e originale. Ad esempio, Francia e Germania sottoscrivono accordi commerciali con la Russia in settori sensibili, armamenti ed energia, in ossequio alla loro realpolitik che non contempla i dubbi sulla democraticità delle controparti. A nostro parere fanno bene i loro interessi, ma perché, allora, quando ci ha provato l’Italia, come per il gasdotto South Stream, si è scatenato il putiferio, tanto che abbiamo dovuto accogliere tra i partner del progetto tedeschi e francesi? In Libia, addirittura, francesi e inglesi, con il pretesto della tutela dei diritti umani, hanno iniziato una guerra per scalzarci dagli affari, com’è puntualmente avvenuto, quantunque in quel luogo gli oltranzismi siano addirittura peggiorati dai tempi di Gheddafi (l’episodio dell’assalto al consolato americano a Bengasi docet. Il WSJ ha peraltro rivelato che Stevens era un agente della CIA). Che gioco è questo? Gli altri membri sono immuni a quel che s’impone all’Italia?
Gianni Pittella: Con il Trattato di Lisbona l’Unione europea si è dotata di un alto rappresentante per la politica estera, proprio per cominciare a prefigurare una conduzione comune e univoca dei rapporti internazionali. Purtroppo fatta la legge trovato l’inganno: per ricoprire l’incarico è stata nominata una distinta baronessa inglese con nessuna esperienza diplomatica alle spalle. Il risultato è stato molto deludente per le aspettative europee, mentre i rapporti diplomatici sono rimasti nelle mani dei singoli paesi.
Gianni Petrosillo: Il Presidente Napolitano ha richiamato ancora una volta all’unità politica dell’Europa, nonostante i tanti problemi irrisolti e le difficoltà insolute che hanno disilluso i cittadini europei. L’UE è nata proprio per dare ai popoli che entravano a farne parte, spesso con poco entusiasmo o persino tanta diffidenza, maggiori garanzie di prosperità e di benessere. Tuttavia, è lo stesso Presidente ad ammettere che essa non rappresenta ancora una società giusta in grado di sostenere lavoro, risparmi e futuro, cosicché egli ci mobilita tutti ad un surplus di fiducia e di speranza. Quanto a lungo dovrà durare la pazienza della collettività continentale? Moriremo disperati?
Gianni Pittella: La crisi economica e sociale che ha colpito il continente potrebbe essere una preziosa opportunità per dare un’accelerazione al processo di unità politica. La dimensione globale delle crisi finanziarie ha mostrato tutta l’inadeguatezza della dimensione nazionale per affrontarle. Occorre un’unità fiscale per reperire le risorse da investire sulle grandi reti materiali e immateriali europee, l’innovazione, la ricerca, l’istruzione, l’agenda digitale, l’energia e le produzioni verdi; un’unità nella gestione del debito, per metterlo al riparo dalla speculazione e investire nello sviluppo; occorre un’unità bancaria che metta sotto il controllo comune gli istituti di credito e doti la nostra moneta di una banca federale prestatrice di ultima istanza; serve un’unità politica che assicuri una governance democratica a tutto questo. Ci stiamo battendo in Parlamento perché questi obiettivi si concretizzino al più presto.
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