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Parlando di legge e di sport viene subito in mente l’attualità ed i problemi che ha riscontrato la FIDAL di cui il blog ha già parlato, cosa puoi dirci di più?
Il tema “doping” è sempre molto delicato e quindi è sempre opportuno affrontarlo con la massima obiettività e terzietà.La vicenda in cui è stata coinvolta la FIDAL con i suoi atleti pare essere il risultato, come d’altronde segnalato anche dal Presidente del CONI Malagò, di un mero anche se grave impasse burocratico – tecnologico degli uffici delle Procura Antidoping che mi auguro possa essere sbrogliato e risolto celermente in favore degli atleti.
Ritengo sia infatti doveroso precisare che i deferimenti emessi (a mio avviso, come avviene sempre in questi casi, oltremodo enfatizzati mediaticamente a danno degli atleti) non concernono ipotesi di accertate assunzioni o possesso di sostanze vietate ma la presunta (ci tengo a sottolineare tale aggettivo) mancata reperibilità ai controlli da parte degli atleti. D’altro canto, stante la funzione che le è propria, la Procura non poteva esimersi dal fare luce sulla vicenda; la strada dalla stessa percorsa risulta infatti giustificabile se rapportata alla necessità di garantire la massima trasparenza (soprattutto per il futuro) sulle procedure di comunicazione a cui gli atleti e le rispettive FSN devono riportarsi nel rispetto delle normativa vigente. Il riferimento è in particolare alla lettera c) della “Premessa” delle NSA (Norme Sportive Antidoping), la quale prevede testualmente che la Nado Italia (ente nazionale al quale compete la massima autorità e responsabilità in materia di attuazione ed adozione del Programma Mondiale Antidoping WADA) “esige, quale condizione per partecipare ai Giochi Olimpici ed ai Giochi Paralimpici che gli Atleti non regolarmente iscritti ad una FSN si rendano disponibili per il prelievo dei campioni biologici e forniscano regolarmente informazioni precise ed aggiornate sulla loro reperibilità nell’ambito del Gruppo registrato ai fini dei controlli (RTP) nel corso dell’anno precedente ai Giochi Olimpici ed ai Giochi Paralimpici” nonché all’art. 2.4 che individua le ipotesi di mancata reperibilità (Violazione delle condizioni previste per gli Atleti che devono sottoporsi ai controlli fuori competizione, incluse la mancata presentazione di informazioni utili sulla reperibilità e la mancata esecuzione di test in base a quanto previsto dal D-CI. Ogni combinazione di tre mancati controlli e/o omesse comunicazioni entro un periodo di dodici mesi, accertata dalle Organizzazioni antidoping aventi giurisdizione sull’Atleta, costituirà violazione delle NSA.)
- le leggi sullo sport in italia sono all’avanguardia o siamo indietro su alcuni campi? quali?Mi duole dirlo ma siamo davvero obsoleti e lacunosi al riguardo.
Nonostante l’importante riforma sulla giustizia sportiva operata dal Coni ed a cui tutte le FSN affiliate si sono adeguate a decorrere dall’estate 2015, siamo sostanzialmente fermi.La legislazione italiana in tema di sport è nel suo complesso piuttosto datata e nei casi anche recenti in cui il legislatore è intervenuto, lo ha fatto per porre rimedio ai problemi essenzialmente lucrativi connessi al solo mondo del calcio. Si pensi a mero titolo esemplificativo ai famosi decreti salva calcio dei primi anni 2000 relativi allo scudo fiscale (decreto legge 24 dicembre 2002 n. 282) o all’autonomia dell’ordinamento sportivo (decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220) o da ultimo alla “legge sugli stadi” di cui alla Legge n. 147/2013.Siamo in sostanza ben lontani da una disciplina organica ed unitaria come quella ad esempio adottata da tempo in Francia con l’emanazione di leggi ordinarie ad hoc ed un vero e proprio codice (ndr Code du Sport)La mancanza di una simile organicità e unitarietà si riflette in particolare nella disciplina del rapporto di lavoro sportivo. La normativa di riferimento è risalente ai primi anni ’80 (Legge 23 marzo 1981 n. 91) nota come “legge sul professionismo sportivo” ) che, oltre ad essere ormai datata, risulta strutturata sulla dicotomia professionismo – dilettantismo a cui il nostro ordinamento è ancorato purtroppo saldamente. L’art. 2 della leggae dispone infatti che “sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi e i preparatori atletici che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle Federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle Federazioni stesse con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica”.Esiste pertanto un elevato numero di tesserati (a titolo esemplificativo si richiamano gli atleti che praticano “professionalmente” lo sport della pallavolo, del rugby o del nuoto) che sebbene abbia fatto dell’attività sportiva un vero e proprio lavoro è ad oggi ancora inserito nell’alveo del dilettantismo” e, pertanto, escluso dall’ambito di applicazione di tale legge.Nonostante la giurisprudenza, sia nazionale che europea, abbia da tempo riconosciuto l’attività svolta dai professionisti di fatto come attività lavorativa meritevole di tutela, ad oggi non sé ancora ottenuto un formale riscontro dal legislatore nazionale ordinario.- hai scritto anche del st.pauli fc, squadra di calcio tedesca, e del suo acquisto dell’azienda che ne produce il merchandising pensi sia una strada percorribile anche in Italia?può essere una via per le grandi o per le piccole squadre?
Credo che una simile strada possa essere perseguita in Italia; però, forse, la maggior parte delle realtà societarie sportive di massima serie non è per così dire culturalmente pronta. E’ infatti tendenzialmente ancora diffusa e radicata la pratica di affidare a terzi l'intera gestione del marchio mediante la cessione del marchio in licenza a società di outsourcing a fronte del versamento di royalties proporzionali alle vendite effettuate. Senza voler sembrare superficiale, il tema è in sostanza banalmente connesso alla forza del brand dei singoli club. Le realtà sportive minori il cui brand ha una forza meramente “domestica” (sport diversi dal calcio e per lo più dilettantistici), per motivi di pura economicità, gestiscono già personalmente il proprio merchandising.
Da appassionata e tifosa sicuramente tante medaglie alle Olimpiadi di Rio. Un appuntamento importantissimo per lo sport italiano.
Da giurista, un maggiore interesse da parte del legislatore italiano non solo al tema spinoso del rapporto di lavoro sportivo come sopra evidenziato ma maggiore attenzione anche allo sviluppo dello sport di base e dei nostri “vivai” integrando il sistema scolastico nazionale, dal periodo della scuola dell’obbligo a quello universitario, nonché la pianificazione di importanti progetti di costruzione e di ristrutturazione dell’impiantistica sportiva (pertanto non solo calcistica) del territorio nazionale.
Avv. Federica Ongaro
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