Fare questa recensione mi rallegra il cuore perché, finalmente, posso parlare di un film tratto da un libro che ho letto. Il che è un avvenimento, perché chi mi segue ha sempre dovuto trovarsi una speciale dicitura dove mi scusavo se non potevo fare il paragone fra film e libro, perché non avevo avuto modo di leggere quest'ultimo. E quindi oggi per festeggiare una piccola conquista personale in ambito letterario, volevo parlare di questa pellicola e dell'opera che l'ha ispirata. Che per me Anne Rice è stata una vecchia maestra ispiratrice nel periodo della mia adolescenza, quando ero un metallaro di quelli persi e finiti che però voleva ambire a fare l'intellettualoide di turno, poi però dopo i primi due romanzi della sua saga dei succhiasangue sono seguiti gli altri, e da lì in poi ho cominciato a comprendere che forse farsi ispirare da una darkettona cinquantenne non era forse il massimo. Ma rimaneva però quel suo bellissimo libro d'esordio, che ancora oggi rimane uno dei miei romanzi del cuore.
Uno strano giovane con la mania di intervistare gli sconosciuti incontra un misterioso individuo, che sottopone al suo 'trattamento'. Scoprirà che egli altri non è che Luois de Point du Lac, un vampiro dalla vita secolare, e insieme a lui ripercorrerà la sua triste vita fatta di sangue, dolore, morte e filosofia...Un adattamento di quel romanzo non era un'impresa facile, e non solo per i fan incalliti come me. Un libro ha il vantaggio che, se la lunghezza è eccessiva, lo si può leggere a più riprese in totale libertà. Un film invece il più delle volte va visto tutto in un'unica sparata, e in casi come questo la cosa può diventare problematica. Non tutti infatti possono sopportare per più di un'ora e mezzo tutto il concentrato di negatività, depressione e malinconia che un libro come quello riusciva a infondere. Infatti ce n'è davvero per tutti i gusti, fra i drammi personali da umano di Louis [che si legge Luì] e quelli su una vita immortale che perde di significato perché, non avendo un termine, non da il giusto stimolo per rendere il tempo passato sulla terra memorabile. Cosa diventa davvero prezioso se sei destinato a vivere per sempre? E se vivi per sempre... per cosa vivi? Questi sono i quesiti ai quali il romanzo della Rice cercava di rispondere, magari non facendolo completamente e girandoci elegantemente intorno, però riuscendo a infondere nel lettore un'atmosfera davvero suggestiva che valeva tutte le trecento pagine che lo componevano. Il film alla fine riesce a fare una porca figura, dimostrando d'essere un adattamento fedele ma ugualmente dotato di una propria distinta personalità. La sceneggiatura infatti è scritta dalla stessa autrice [che in seguito, per motivi che non ho mai compreso, ha litigato con la produzione] che sa quando essere più o meno fedele allo scritto di partenza, e infatti parti che nel libro avevano uno spazio ai limiti dell'eccesso qui sono tagliate a favore dell'economia narrativa filmica. Infatti il fratello impazzito di Louis/Luì è sostituito con un dialogo fuori campo di due minuti a favore di un figlio e di una moglie morti, e Lestat si presenta da solo e senza l'ingombrante presenza del padre morente. Cose che alcuni fanboy hanno contestato ma che a me sono sembrate davvero efficaci. Regge il tutto poi la regia di un Neil Jordan in stato di grazia, il quale affidandosi a un numero limitato di barocchismi o manierismi, realizza una regia pulita ed efficace, che nonostante il ritmo lento finisce per non annoiare mai. Contribuiscono al successo visivo poi le stupende scenografie del nostrano pluripremiato all'Oscar Dante Ferretti, che ricostruisce molte città europee ed americane di due secoli fa con estremo realismo, così come i costumi, davvero bellissimi. La fa da padrone però il trucco di Stan Winston e una fotografia davvero delicata che enfatizza gli elementi marginali dell'inquadratura, senza snaturare nulla. Un po' anomalo invece il cast, che vede Brad Pitt nei panni dell'irrequieto Louis-Luì [perché a me i capelli lunghi non stavano così bene?] e un istrionico Tom Cruise nella parte di Lestat de Lioncourt, forse non l'elemento più indicato per quel ruolo - i due vinsero poi il Razzie Award come peggior coppia dell'anno. Ci sono anche Christian Slater, Antonio Banderas e Stephen Rea, ma li supera in bravura tutti la piccolissima Kirsten Dunst in un ruolo di certo non facile, specie per l'età che aveva allora. Poteva essere quindi un capolavoro, ma è deficitato da un finale abbastanza meh che si vede in contrapposizione con quello aperto del libro, giacché la produzione non ha mai previsto un seguito - che è stato poi in parte realizzato con l'orrido La regina dei dannati.Certi lo trovano noioso ma io, nonostante l'innegabile lentezza, penso che questa sia davvero una pellicola affascinante e intelligente quanto basta. La consiglio, se non altro per avvicinarsi al bellissimo libro.Voto: ★★★★