Magazine Cultura
Più che una domanda .. questa è in realtà una riflessione: Luigi Nono ha dichiarato “Altri pensieri, altri rumori, altre sonorità, altre idee. Quando si ascolta, si cerca spesso di ritrovare se stesso negli altri. Ritrovare i propri meccanismi, sistema, razionalismo, nell’altro. E questo è una violenza del tutto conservatrice.” … ora .. la sperimentazione libera dal peso di dover ricordare?
E’ molto interessante il fatto che mi venga posta questa domanda proprio ora. Sono stato coinvolto in un progetto multimediale e pluridisciplinare finanziato dalla comunità europea, a cui prendono parte molti artisti da tutto il mondo, con lo scopo di svolgere un viaggio di ricerca incentrato sulle tradizioni culturali di Serbia, Bulgaria e Turchia. Da questo viaggio sarebbe dovuta nascere una sorta di biblioteca, di archivio, a cui tutti i partecipanti potessero accedere ed esaminare il materiale raccolto agli altri; provenendo ognuno da un campo differente, come quello musicale, della danza, della pittura, anche i tipi di materiale raccolto differiscono tra loro, ma sono tutti importanti in funzione di una futura performance conclusiva, che nascerà come evoluzione del materiale raccolto. Quindi i termini “composizione”, “performance”, “tradizione” e “ricordo” sono termini con i quali ho convissuto, anche in maniera conflittuale, negli ultimi mesi. Credo che il ricordo e la preservazione della memoria culturale siano necessità naturali dell’uomo, e che la nuova sperimentazione non potrà facilmente liberare dal peso di una necessità così grande come quella di ricordare.
Trovo interessantissima la citazione di Nono: l’uomo fa fatica ad ascoltare l’altro e a ricevere impulsi dall’esterno che siano estranei alla sua persona, e filtra gli impulsi esterni secondo le sue necessità, secondo quello che si vuole sentire dire. E per questo motivo in realtà l’uomo normalmente trova nell’altro gli elementi che lo avvicinano a se stesso, che lo rispecchiano. Probabilmente questa tendenza è spinta dalla necessità di auto identificazione, di riconoscersi, dal bisogno di un’ulteriore sicurezza, dato che il diverso, il nuovo, fanno paura. E proprio questo salto viene proposto da Nono: il salto nel vuoto, la ricerca del nuovo, che inizialmente spaventa, ma che in realtà arricchisce e dà valore aggiunto alla vita del singolo.
Qual è il ruolo dell’Errore nella sua visione musicale? Dove per errore intendo un procedimento erroneo, un’irregolarità nel normale funzionamento di un meccanismo, una discontinuità su una superficie altrimenti uniforme che può portare a nuovi sviluppi e inattese sorprese...
Imparare ad amare l’errore è una disciplina che richiede anch’essa un processo lungo, di introspezione e ricerca. Dare un valore all’errore innanzitutto significa amare l’essere umano nelle sue qualità e nelle sue imperfezioni. Molti giovani musicisti che cominciano ad avere successo e consapevolezza del proprio valore vengono accecati da se stessi, si pongono ad un livello di superiorità rispetto agli altri, sia che siano colleghi sia che siano ascoltatori. Avendo la musica un valore fortemente comunicativo, nel momento stesso in cui non ci si pone allo stesso livello di chi ci ascolta, ma ad un livello di superiorità, mirando dunque a sfoggiare le proprie doti di virtuoso, allora non è possibile stabilire un contatto diretto con l’ascoltatore, e non si crea un livello di comunicazione attraverso il quale si possa accedere al cuore del fruitore musicale.
Credo perciò sia molto importante, specialmente nel campo artistico, mantenere una grande umiltà, e una grande autocritica. Attraverso la consapevolezza dell’errore, si è sempre alla ricerca, di profondità di interpretazione e di miglioramento come esecutori. Chi si crede già perfetto, e non si accorge dei propri errori, e critica solo gli altri, e non se stesso, e pontifica da un pulpito fittizio, si trova in un vicolo ormai senza uscita.
Parliamo di marketing. Quanto pensa che sia importante per un musicista moderno? Intendo dire: quanto è determinante essere dei buoni promotori di se stessi e del proprio lavoro nel mondo della musica di oggi?
Credo sia molto importante. Fripp stesso mi dice che, finché non si entra in un motore che funziona per inerzia, non bisogna aspettare che suoni il telefono, perché nessuno ti cerca se tu stesso non ti muovi. Un altro chitarrista australiano, Craig Ogden, mi ha detto: “Sai, io mi sento molto fortunato; tuttavia devo parte di questa fortuna a me stesso, perché ho creato le condizioni tali perché qualcosa avvenisse”. Quindi, affinché si aprano anche 2-3 porte importanti, è fondamentale bussare a centinaia, e naturalmente capire come e con chi sia opportuno muoversi. Quando si parla di marketing, tuttavia, si parla di denaro, di organizzazione: gli agenti non fanno beneficienza, e non più promozione di nomi sconosciuti. Ecco perché nella vita di un musicista classico alcuni passaggi sono obbligatori, anche se non sempre piacevoli: studio, corsi, concorsi, premi, articoli, sponsor, contratti ecc.
L’intreccio diabolico consta dunque da un lato dalla possibilità, da parte degli agenti, di arricchirsi sugli artisti; dall’altro, accettare questo compromesso come artista, sapendo che l’agente si arricchisce facendo promozione sul proprio nome, quindi in qualche maniera aiutando l’artista.
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