“Ho voluto dedicare questa mia silloge a mia madre perché l’ho persa anni fa, ma la malattia di cui soffriva, l’Alzheimer, in realtà l’aveva già allontanata da me, rinchiudendola in un suo mondo, nella sua solitudine popolata da ricordi del passato ma completamente assente al suo presente e quindi a me, sua unica figlia.”
Il ricordo di un rapporto unico, una solitudine univoca a cui la donna non poteva sottrarsi. Giovanna Fracassi ricorda sua madre nella recente pubblicazione: “Emma. Alle porte della Solitudine”.
Edito dalla casa editrice Rupe Mutevole Edizioni nella collana “Trasfigurazioni” in collaborazione con Oubliette Magazine, “Emma” è la quarta silloge dell’autrice, preceduta da “Arabesques”, “Opalescenze” e “La cenere del tempo”.
Un’opera che indaga sulla tematica della solitudine con un tocco confidenziale e sincero, il ricordo non viene allontanato bensì integrato nel presente e nel verso letterario.
Giovanna si è mostrata molto disponibile nel voler raccontare la genesi della sua silloge, sul concetto di solitudine e non solo. Buona lettura!
A.M.: Ciao Giovanna, innanzitutto congratulazioni per la tua nuova pubblicazione “Emma. Alle porte della solitudine”. Una silloge con una copertina speciale. Ci sveli l’identità della donna raffigurata?
Giovanna Fracassi: Il volto della copertina è quello di mia madre, quando aveva l’età di 18 anni. All’epoca aveva da poco conosciuto l’uomo che sarebbe diventato suo marito dopo molti anni di vicissitudini famigliari e storiche. Erano gli anni del Fascismo e della Seconda Guerra Mondiale ed anche la vita dei singoli ne venne inevitabilmente condizionata. I miei genitori dovettero aspettare molto tempo per potersi sposare ed il loro fu un amore molto travagliato, pieno di peripezie. Ho voluto dedicare questa mia silloge a mia madre perché l’ho persa anni fa, ma la malattia di cui soffriva, l’Alzheimer, in realtà l’aveva già allontanata da me, rinchiudendola in un suo mondo, nella sua solitudine popolata da ricordi del passato ma completamente assente al suo presente e quindi a me, sua unica figlia. Anche per questo in molte mie poesie tratto i temi della solitudine, della mancanza, dell’allontanamento, dell’assenza. La vicenda di mia madre e il mio rapporto con lei, sono assurti a paradigmi delle tante solitudini che vedono protagoniste le donne, così spesso costrette a fare affidamento sulle loro uniche forze interiori per affrontare i molti momenti difficili che costellano la loro esistenza, proprio in quanto donne.
A.M.: Facendo un passo indietro, il tuo curriculum letterario annovera tra le pubblicazioni: “Arabesques”, “Opalescenze” e “La cenere del tempo”. Quanto è variato il tuo modus scribendi?
Giovanna Fracassi: La poesia è, per me, un modo di esserci, nella vita, in quel crogiuolo di pensieri, di sentimenti, di emozioni che costituiscono l’io individuale ma anche quello sociale. Pertanto, per poter esprimere tutto questo assume un valore importantissimo la scelta della parola. È questo l’atto creativo del poeta che con la parola evoca il significato, dà realtà all’irreale, all’immaginario, dà voce all’inconscio e ridefinisce, nobilita il reale, il quotidiano elevandoli dal particolare della vita di ciascuno all’universale della vicenda degli uomini in generale. La parola evoca suoni, colori, immagini, sensazioni tattili, persino odori, dà loro voce, corpo, senso, li pone in relazione tra loro e con il pensiero di chi scrive Pertanto la poesia e le parole che uso, sono per me un continuum in divenire perché non vi può essere compimento chiusura, fine, né nella singola mia poesia, né nelle mie sillogi. Al contrario vi sono e vi devono essere, l’assenza, la mancanza perché tutto questo lascia aperta la crescita, l’esplorazione, la ricerca, la tensione verso l’infinito. Scrivere è un atto dinamico: del pensiero e della parola, del significato e del significante. In questo senso, penso che il poeta debba essere anche camaleontico, sapersi calare e celare in mille sfaccettature della vita non solo propria ma anche degli altri e della natura che spesso fa da sfondo anche alle mie liriche. Partendo da questi presupposti è inevitabile che, nelle mie varie sillogi, vi sia un crescendo di maturità e di desiderio di ricercare una sorta di perfezione della forma e del contenuto poetici, dato che faccio mia questa funzione della poesia di farsi portavoce di tante istanze del pensiero e dell’animo umano, partendo dal particolare per giungere all’universale o spesso anche con il moto inverso. In tal senso mi piace pensare alla poesia come ad un laboratorio, dove il possibile si mescola all’impossibile, dove dimorano il tempo e lo spazio rendendo presenti il partire e il rimanere, l’esserci e il non esserci più, il ricordo ma anche l’oblio, la malinconia, la tristezza, la nostalgia ma anche l’estasi, lo stupore, l’incanto. Ecco perché le parole e alcune figure retoriche , sono da me usate in quanto simboli che rinviano sempre ad altro: riflessioni, considerazioni, osservazioni, domande e ricerca di possibili spiegazioni o interpretazioni.
A.M.: “Emma. Alle porte della solitudine”, come suggerisce il sottotitolo, intrattiene un rapporto privilegiato con la solitudine dell’essere umano. Quanto ritieni sia importante la solitudine nell’atto creativo?
Giovanna Fracassi: L’atto creativo, per me, può avvenire solo nella solitudine, quando il mondo, dopo essere stato osservato, respirato, indagato con tutti i sensi e fatto proprio, tace, è finalmente lontano. In questa sospensione temporale, in questo spazio libero, si forma, prende corpo e si anima la mia scrittura. La composizione di una poesia somiglia ad un parto dell’anima e del pensiero. Nel mio silenzio interiore prendono forma immagini, riflessioni, emozioni e si amalgamano in nuovi accostamenti di parole, in nuovi affreschi, si aprono nuovi percorsi di significato. Tutto ciò che attingo dal mondo, dagli altri, dalle mie letture, dalle mie esperienze si sedimenta nella mia interiorità e poi germoglia nell’urgenza dell’espressione poetica. Questo atto creativo avviene di solito accompagnato dalla musica, che altro non è se non la poesia dei suoni; grazie alla sua potenza evocativa e alla sua forza immaginativa, riesco a scrivere guidata dalle vibrazioni che la musica provoca titillandomi le corde del cuore.
A.M.: Il Conte di Lautréamont scriveva: “Esiste una logica per la poesia. Non è la medesima per la filosofia. I filosofi sono da meno dei poeti. I poeti hanno il diritto di considerarsi superiori ai filosofi.”. La poesia superiore alla filosofia? Ci avevi mai pensato?
Giovanna Fracassi: Filosofia e poesia affrontano in modo diverso gli stessi temi: l’origine e la fine dell’Universo, il destino dell’uomo, la felicità, il dolore, la morte. Ma sono assai diversi gli strumenti di cui si servono. La poesia ci permette un contatto più immediato con la realtà perché ci fa entrare in comunicazione con le persone, ci permette di penetrare, con la nostra sensibilità e la nostra intelligenza, nelle situazioni più varie e ci consente un approccio alle cose che ci circondano e alla natura, molto profondo e pervasivo. Lo sguardo del poeta coglie, osserva, interpreta e ricompone tutto ciò che lo circonda. Si scrivono poesie su ogni argomento, il lavoro, l’impegno civile, la religione, l’arte, il mondo delle piccole cose, la propria casa, il giardino o ancora la vita dei campi o nella città, l’amore in tutte le sue declinazioni, l’amicizia, i sentimenti positivi come anche quelli negativi, la malattia. Nulla si sottrae all’osservazione acuta e piena di pathos e di vita del poeta. La filosofia si occupa dell’indagine razionale, sottopone ogni quesito, ogni problema all’indagine della ragione nel tentativo di riportare ogni elemento ad un Uno, ad un Tutto originario. La poesia non ha questo scopo: anzi vive della molteplicità, si sostanzia della varietà dell’essere e della vicenda umana in questo solo mondo conoscibile e interpretabile. E lo fa con tutta la sua forza immaginativa e creatrice arrivando a quell’immediatezza che coinvolge e comunica, laddove la filosofia necessita di lunghe e approfondite riflessioni e razionalizzazioni. Ma non c’è vera poesia senza filosofia perché l’oggetto dell’indagine, alla fine, è appunto lo stesso: l‘Uomo gettato in questa vita, in questo Universo. Quindi non sono d’accordo con questa affermazione: non vi è, a mio parere, superiorità dell’una sull’altra. Hanno pari valore, pari dignità nella loro specificità.
A.M.: In un recente articolo, Cristina Biolcati scrive”: “In alcune liriche si avverte una voglia di “leggerezza”, la necessità di potersi fidare di qualcuno, affinché non tutto sia dolore. Salta all’occhio che il sangue in questa silloge non sia rosso, ma bianco.”. Confermi?
Giovanna Fracassi: È proprio della poesia saper ammantare di leggerezza anche i sentimenti e le emozioni più dolorose. La parola in poesia è sempre simbolo, rinvia a riflessioni, a considerazioni che non hanno come referente il singolo, un io e/o un tu, ma un Io totalizzante, l’ Uomo. Il poeta non scrive di sé ma dell’Uomo. Come potrebbe quindi scrivere solo del dolore? Come potrei io scrivere solo del dolore che, pur restando la cifra ultima della vicenda umana (basti considerare che essa si conclude inevitabilmente con la sofferenza e con la morte) deve trovare una sua collocazione nella vita di ciascuno? Una collocazione tale che lo renda significativo, che consenta all’uomo di aprirsi, tramite esso, agli altri, al mondo, a tutto ciò che è altro da sé. Ecco perché, nella mia poesia, il colore del sangue è bianco: perché il dolore è pura genesi, è candida trasformazione, è totale e offerta apertura, è maieutica scoperta di sé stessi e di sé stessi nel mondo. È anche fiducia certo, in un altro giorno, in un altro domani, in un altro pensiero, in un’altra emozione, in un altro afflato verso il sublime, nella tensione alla vita, in un insopprimibile istinto di conservazione e di sopravvivenza dello spirito, dell’anima.
A.M.: Una curiosità: trascrivi i tuoi versi sul cartaceo con l’ausilio della classica penna oppure ti affidi all’immediatezza della tastiera?
Giovanna Fracassi: Compongo nelle situazioni più varie e con i mezzi che mi trovo a disposizione. Accade che scriva con la matita sulla copertina di un libro o su un foglio di giornale, con la penna sul block notes che porto sempre con me e che utilizzo quando, per esempio, sono in auto e devo fissare subito un pensiero, un’immagine, un’emozione; ma scrivo anche in mezzo alla confusione, ad una mostra di pittura, o in un museo, e allora può tornarmi utile persino il cellulare. Ho una notevole capacità di estraniarmi da tutto e da tutti, bastano solo pochi minuti. Poi so che a casa, al computer, con la musica di sottofondo, recupererò quanto appuntato e ricreerò tutto il mio pensiero.
A.M.: Le tue pubblicazioni presentano la firma della casa editrice Rupe Mutevole Edizioni. Dopo anni di conoscenza potresti dire che la casa editrice è molto attiva nella promozione dei suoi autori? Insomma, la domanda spicciola è perché scegli Rupe Mutevole per le tue pubblicazioni?
Giovanna Fracassi: Ho avuto la fortuna di incontrare, del tutto fortuitamente, la Casa Editrice Rupe Mutevole Edizioni tramite Facebook. Sin dalla prima pubblicazione sono stata seguita e consigliata dall’editrice Cristina dal Torchio, dai collaboratori a vario titolo coinvolti e, in particolare, da te Alessia. Con tutti ho avuto rapporti molto chiari, sereni, e ho apprezzato la professionalità, la pazienza e la cura con cui sono stata accompagnata in questo mio percorso di scrittrice. Ho anche assistito con piacere e soddisfazione alla progressiva crescita di questa Casa Editrice che ha ampliato moltissimo, in questi pochi anni, la sua attività, divenendo una realtà editoriale sempre più presente nel panorama italiano ed estero, sviluppando varie iniziative volte alla promozione dei suoi autori. Credo che come autrice non possa chiedere di più. Inoltre ho già consigliato ad alcuni miei conoscenti di affidarsi a Rupe per la serietà che la contraddistingue e per la qualità del suo operare. Personalmente continuerò a pubblicare i miei prossimi lavori con Rupe Mutevole, sicura che la mia esperienza con questa casa editrice non potrà che essere sempre più positiva e gratificante, per entrambi.
A.M.: Un’anticipazione doverosa è che “Emma. Alle porte della solitudine” sarà presentata alla prestigiosa Fiera del Libro di Francoforte che si terrà ad ottobre 2015. Sai già se potrai essere presente all’evento?
Giovanna Fracassi: In quel periodo non mi è facile allontanarmi dal mio impegno come docente. Certo sarebbe mio desiderio potervi partecipare, sia per l’importanza dell’evento che si svolge in una città della Germania che già ho visitato e apprezzato, sia per la soddisfazione personale. Già l’anno scorso vi è stata presentata la mia penultima silloge “La cenere del tempo”, che anche Emma sia stata scelta per l’edizione di questo anno non può che rendermi particolarmente felice ed orgogliosa.
A.M.: Salutaci con una citazione…
Giovanna Fracassi: Il termine poesia deriva dal greco pòiesis, che rimanda al verbo pôiein: fare, creare. Pertanto scrivere una poesia è un atto creativo che presuppone un’intenzionalità, quindi la messa a punto dei contenuti e dei messaggi che si vogliono trasmettere, il possesso di un quadro di riferimenti culturali, l’aver fatto propri valori e principi etici. Il verso non è solo, o non tanto, una questione di eleganza e di metrica, quanto piuttosto l’espressione di un pensiero, di un’idea, di un’emozione, di un sentimento, di un’immagine o di un desiderio. Concludo perciò citando Ugo Foscolo: “Odio il verso che suona e che non crea”.
Per pubblicare con Rupe Mutevole Edizioni invia un’e-mail ([email protected]) alla redazione inviando il tuo inedito, se vuoi pubblicare nella collana “Trasfigurazioni” con la collaborazione di Oubliette Magazine invia ad: [email protected].
Written by Alessia Mocci
Addetta Stampa ([email protected])
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