“È l’iniziazione alla vita ed ogni iniziazione che si rispetti presume la perdita di qualcosa. Tra l’altro è un romanzo di formazione come lo sono “L’amico ritrovato” di Fred Uhlman, od “Il giovane Holden” di Salinger. Questo binomio di iniziazione e perdita è la realtà dei fatti, l’inevitabile risveglio nella vita degli adulti, l’abbandono del sogno/sonno di Alice.”
Con queste parole, Vincenzo Restivo, racconta della perdita e della centralità della morte nel suo romanzo “L’abitudine del coleottero”, edito nel dicembre 2012 dalla casa editrice Watson Edizioni, nella collana editoriale Luci.
L’autore racconta di un ragazzo appena diciottenne alle prese con la sua maturità e le responsabilità che permettono tale cambiamento.
Un ragazzo che all’improvviso dovrà crescere, lasciando la sua esistenza di stereotipi fanciulleschi ed insetti dalle ali colorate in un mondo che si sgretola, ogni giorno, davanti ai suoi occhi. Tutto questo porterà Vincent, il protagonista, alla perdita completa degli incanti e delle leggerezze che lo avevano preservato dalla crudezza della vita.
Ma non voglio anticiparvi di più, sarà Vincenzo a raccontarvi qualcosa in più del suo ultimo romanzo. Buona lettura!
A.M.: Da “The Farm” a “L’abitudine del coleottero”? Quanto è cambiato Vincenzo Restivo?
Vincenzo Restivo: Da The Farm a L’ abitudine, qualcosa è cambiato. The Farm era il risultato di una forte passione, quella per la letteratura horror anche se è colmo di elementi autobiografici. Sono cambiato perché scrivere horror non mi interessa più tanto, oggi preferisco scrivere altro, affrontare altri tipi di argomenti, addentrarmi in altri mondi e forse osare un po’. Eppure L’abitudine ha senza dubbio una forte componente grottesca, è quell’eredità inevitabile. Tra l’altro, come scrivo anche nel libro: “a volte la vita vera riesce a farti accapponare la pelle più di un film del terrore”. Ecco, l’evoluzione sta proprio in questo, l’essermi reso conto che i mostri non vanno inventati quanto cercati nella nostra realtà quotidiana, o addirittura tra le mura domestiche.
A.M.: Il titolo del tuo romanzo ha a che fare con una passione per gli insetti oppure è dato da altre situazioni della tua vita?
Vincenzo Restivo: Da piccolo ero abbonato ad una rivista. Si chiamava Bugs. Era divertente perché ti permetteva di costruire strutture scheletriche e luminose di grossi insetti. Ogni inserto conteneva un pezzetto fluorescente. Così si può dire sia nata la mia passione. Inoltre, coi i miei cuginetti, spesso si andava in giro per il giardino della vecchia casa dei nonni a raccogliere lombrichi e lumachine senza guscio, quelle viscide che somigliavano a sanguisughe. Credo che in questo caso, situazioni di vita e passioni siano indubbiamente legate.
A.M.: Potresti definirlo una storia sulla perdita dell’innocenza?
Vincenzo Restivo: Il libro è senza dubbio una storia sulla perdita dell’innocenza. È l’iniziazione alla vita ed ogni iniziazione che si rispetti presume la perdita di qualcosa. Tra l’altro è un romanzo di formazione come lo sono “L’amico ritrovato” di Fred Uhlman, od “Il giovane Holden” di Salinger. Questo binomio di iniziazione e perdita è la realtà dei fatti, l’inevitabile risveglio nella vita degli adulti, l’abbandono del sogno/sonno di Alice.
A.M.: Che cosa rappresenta per te la morte?
Vincenzo Restivo: Ho tanta paura della morte, lo giuro. Credo che chiunque ami tanto la vita abbia paura di finire, in ogni caso. Mi spaventa soffrire o veder soffrire e paradossalmente è quello che il protagonista del libro fa. Il suo star male è proprio dipeso dal vedere gli altri soffrire, tra l’altro quando intorno a te cominciano a crollare quei castelli di carte che avevi costruito con tanta pazienza, facendo affidamento su figure importanti e solide, su quegli adulti che ad un certo punto vengono a mancare, allora sì che cominci ad aver paura. Eppure c’è rigenerazione, purificazione, dopo la sofferenza, per chi resta. Nel libro la morte è vista così, ad un certo punto diviene anche quell’ospite tanto atteso, ed è grottesco, sfiora quasi il macabro, ma è reale, più reale della vita stessa.
A.M.: Raccontaci qualcosa del protagonista Vincent.
Vincenzo Restivo: Vincent ha diciott’anni ma è ancora un bambino, rinchiuso in un mondo immaginario per non affrontare una realtà fin troppo difficile dove è stato catapultato senza preavviso. Vincent deve togliere lo sporco per riuscire a fare chiarezza nella sua vita e per farlo deve affrontare di petto una realtà che lo spaventa appunto perché ancora del tutto sconosciuta. Vincent è stato ingannato e si è crogiolato in questo inganno infantile, ha creduto alle fiabe ma ora quelle stesse fiabe gli si rivoltano contro e lui può vederle nella loro veste grottesca. Spaventosa. Vincent non sono io, non ha nulla di autobiografico sebbene abbia quasi il mio stesso nome ed il libro è raccontato in prima persona, ma è sicuramente tutto quello che non vorrei essere, perché fa paura essere come lui, vivere quello che lui vive, sognare quello che lui sogna.
A.M.: Qual è il target di lettori che pensi possa apprezzare il tuo “L’abitudine del coleottero”?
Vincenzo Restivo: A primo impatto il libro sembrerebbe rivolto ad un pubblico giovane, ma credo che le tematiche che affronta ed il messaggio che vuole trasmettere siano per tutti. Il libro è uno sprono a non perdersi mai d’animo anche quando sembra che la vita non la smetta di riserbarci brutte sorprese. Tra l’altro è la storia delle tre generazioni di una famiglia e penso che chiunque possa trovarci qualcosa di sé, indipendentemente dall’età. Viene in aiuto la voluta mancanza di una territorialità ed una temporalità ben precise che danno alla storia un carattere universalizzante dove ognuno può identificarsi e trarre le proprie conclusioni.
A.M.: Come intendi muoverti per promuovere il libro? Presentazioni? Social Network?
Vincenzo Restivo: Dall’uscita del libro c’è già stato un corner espositivo alla libreria Guida di Caserta e una presentazione presso l’associazione culturale Gian Battista Vico a Napoli. Credo di continuare così, alternando corner e presentazioni, del resto c’è sempre qualcosa di nuovo da dire e quando si apre un dibattito col pubblico è sempre piacevole il confronto.
A.M.: Come ti trovi con la casa editrice Watson Edizioni?
Vincenzo Restivo: Con Watson edizioni si è creata da subito una bella sintonia. È difficile, al giorno d’oggi, trovare una casa editrice totalmente cost-free che ti supporti e si metta a tua completa disposizione. Il mondo dell’editoria italiana è misto di grandi fregature, le case editrici a pagamento sono sempre in agguanto pronte a riempirti di elogi e prometterti il paradiso in cambio di cospicue somme di denaro. Solo fuochi fatui. La Watson è onesta, nata da poco ma ha all’attivo già un bel numero di titoli pubblicati e altri di prossima pubblicazione. La cura scrupolosa per ogni fase della pubblicazione, dall’editing alla grafica è stata più che soddisfacente. Del resto siamo noi autori che facciamo il successo di una casa editrice. Anche in questo caso è un confronto ed un arricchimento reciproco.
A.M.: Salutaci con una citazione… (indicare nome e cognome del proprietario della citazione)
Vincenzo Restivo: È un estratto da un libro che credo abbia condizionato molto la mia vita e che mi rispecchi sotto molti punti di vista. Ti invita a non aver mai paura di dimostrare quello che sei realmente. Fa così:
“…veniamo tutti al mondo con una dose di magia in corpo. Non la magia che ti fa camminare sulle acque, ma la magia che ci permette di essere eccezionali, speciali. Ora, se tu rifiuti quella magia, se ne soffochi la crescita… diventa marcia, incancrenisce dentro di te, cresce come un serpente, finché tu stesso non diventi una specie di mostro. Un diavolo, se vuoi.” – “Gli occhi di Mr Fury”- Philip Ridley
Written by Alessia Mocci
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