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Intervista di Amani Salama ad Enza Li Gioi per lo spettacolo Soap Operetta: la storia della saponificatrice di Coreggio

Creato il 13 febbraio 2016 da Alessiamocci

Enza Li Gioi è una scrittrice e attrice goriziana che vive a Roma da molti anni. Ha fondato nel 1999 un caffè letterario con il nome di “Lettere Caffè” nel cuore del più storico quartiere romano, Trastevere.

Ha scritto tre romanzi: “Civico 38”, “Amici di Penna” e “Il Posto dei Palloncini”. È anche autrice di commedie noir come “A Chi Gioverebbe – Delitto e Castigo in una Casa di Piacere” recentemente messo in scena con successo in alcuni teatri romani.

Infine dal 16 al 20 febbraio Enza Li Gioi debutterà al Teatro Abarico con lo spettacolo Soap Operetta” prodotto da Lettere Caffè e in collaborazione con il regista Luca Olivieri.

A tale proposito abbiamo intervistato l’autrice e anche protagonista di “Soap Operetta”, Enza Li Gioi, che è stata molto disponibile nel parlarci del suo nuovo spettacolo.

A.S.: “Soap Operetta” è uno spettacolo ispirato alla storia di una donna realmente esistita, la cosiddetta “saponificatrice di Correggio”. Come le è venuta in mente l’idea?

Enza Li Gioi: Mi è venuta semplicemente leggendo un libro intitolato ‘Donne Assassine’ di Cinzia Tani. Tra le varie biografie di donne che avevano commesso crimini orrendi c’è quella della Cianciulli che mi ha particolarmente colpito per le caratteristiche psicologiche della donna. La Cianciulli infatti era una donna buona e gentile e una madre amorosa anche se sfortunata perché aveva perso diversi figli. Nella cittadina dove viveva riusciva a farsi molti amici e amiche, era una donna intelligente e simpatica. Perfino servizievole e premurosa. Ed è questo che mi colpisce sempre nel genere umano. La famosa banalità del Male di cui parla Annah Arendt nell’omonimo saggio. Il male cioè che abita persone normali e perfino gradevoli.

A.S.: Quale è la storia della protagonista Lavinia del Castagno? Come ci può descrivere il suo vissuto da donna e da madre?

Enza Li Gioi: Si evince dai dialoghi ma specialmente da una lettera della sorella che la donna riceve all’inizio dello spettacolo, che Lavinia, di nobile schiatta, ha avuto una giovinezza turbolenta e ribelle, stravagante e promiscua. Da alcuni elementi del suo abbigliamento si intuisce che probabilmente è stata una hippie o comunque una fricchettona, e il fatto che abbia due figli di padri diversi di cui uno addirittura di colore la dice lunga sul suo passato.

A.S.: Chi sono i personaggi che ruotano attorno alla figura di questa nobildonna e che ruolo hanno nella sua vita?

Enza Li Gioi: Lavinia Rododendra del Castagno vive in una casa modesta che le è stata data in affitto da un usuraio della borgata che gestisce loschi traffici anche con delle prostitute. Due delle quali, sue future vittime, si iscriveranno a una sedicente scuola di inglese che la nobildonna fonderà, basata sull’apprendimento della lingua tramite le canzonette infantili inglesi. Sarà il figlio minore, quello di colore, che vuole cambiare sesso, a provocare quanto accade poi, insistendo con la madre affinché questa si procuri il denaro per l’operazione necessaria a farlo diventare una donna.

A.S.: Quale vuole essere il messaggio principale della protagonista?

Enza Li Gioi: Lavinia direi che rappresenta la disobbedienza agli schemi. È una donna che ha rifiutato le regole della sua casta, che ha corso dei rischi, che ha avuto delle esperienze coraggiose. È un misto di madre affettuosa e di donna egoista e viziata. Una persona in qualche modo normale, né buona né cattiva, che però può da un momento all’altro trasformarsi in un mostro.

A.S.: Lei è sia la protagonista che la scrittrice scenografica. È stato più difficile interpretarla o scriverla la sceneggiatura?

Enza Li Gioi: Beh, scrivere mi riesce più facilmente che interpretare e recitare. Non sono un’attrice professionista ma trovo il teatro un’attività davvero terapeutica. Questo entrare e uscire da un personaggio, questo “ubbidire” a un personaggio mettendosi temporaneamente da parte è una cosa catartica ma non facile. E il fatto che l’abbia scritto io non alleggerisce le cose.  

A.S.: Come dicevamo prima, lo spettacolo prende spunto da una storia vera tuttavia si realizza con l’intreccio di una serie di tematiche attuali. Quali sono e come mai le ha scelte.

Enza Li Gioi: C’è il tema della integrazione, di cui tanto si parla (il figlio di colore). Un figlio che nasce da una madre italiana e per di più nobile ma che è nero. Un fenomeno di fronte al quale ci troviamo tutti e che in altri paesi è ormai cosa consolidata. Una madre nubile che ha un figlio di colore ha un problema in più rispetto a un’altra. Deve molte più spiegazioni e non solo al prossimo ma anche al figlio stesso, che in questo caso non solo è nero ma vuole anche diventare una donna. E poi c’è il problema della prostituzione e del suo sfruttamento. Dell’usura. Della vita nelle periferie. Ma il tutto è trattato con ironia, in una forma comica. Io credo che il Male, condizione ineliminabile dell’uomo, vada esorcizzato prendendolo in giro.

A.S.: Lo spettacolo è prodotto da Lettere Caffè. Ci può parlare di questo spazio e progetto rigorosamente fondato da lei

Enza Li Gioi: Il Lettere Caffè è un caffè letterario fondato nel 1999 che prende il nome da una bellissima rivista letteraria, sempre ideata da me, intitolata Lettere -Il mensile dell’Italia che Scrive. Una rivista che si basava soprattutto sulle lettere. Ossia sulla corrispondenza. Ma c’erano anche rubriche di poesia, di racconti, critiche letterarie e di cinema. Diretta dal giornalista Saverio Tutino (fondatore dell’archivio Diaristico di Pieve santo Stefano) e da me per la direzione editoriale, la rivista aveva come art director il grande disegnatore Riccardo Mannelli. Nel comitato di redazione c’erano grandi nomi quali Dario Fo, Mario Monicelli, Monica Vitti, Vittorio Sgarbi, Giorgio Albertazzi, Maurizio Costanzo, Margherita Hack, Carmen Moravia, Elena Gianini Belotti e altri. E tutti ci scrivevano gratis. Fu editata per due anni da Pineider e l’ultimo numero uscì nel gennaio del 2000 quando le Cartiere Miliani di Fabriano, che vennero privatizzate (facevano parte del gruppo Poligrafico e Zecca dello Stato) ci tolsero la sponsorizzazione che consisteva nella fornitura della carta. Il Lettere caffè prende il suo nome dalla rivista. Oggi è gestito da me e mia figlia Costanza Dragotta che ha delle qualità imprenditoriali assai più spiccate delle mie, ed è un locale molto conosciuto e stimato per la sua intensa attività culturale e per l’opportunità che offre a molti giovani e meno giovani di esprimere le loro capacità artistiche in molti modi: dalla musica, alla poesia, al teatro, alle arti visive. Nato con il patrocinio del Ministero dei Beni Culturali (Melandri) e dell’assessorato alla cultura del Comune di Roma (Borgna) Il locale non ha mai avuto alcun aiuto dalle istituzioni ed è totalmente autogestito e autofinanziato.

Written by Amani Salama


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